Di che immagine andiamo parlando? L’immagine della Cina è peggiorata solo per chi non aveva nessuna immagine della Cina.
L’immagine è sempre quella: il singolo che finisce schiantato sull’altare di una collettività inafferrabile, e nel caso stiamo parlando di decine di migliaia di bambini che sono stati lasciati intossicare o morire per non disturbare le Olimpiadi. È una qualsiasi storia cinese, è uno dei milioni di orrori infrattati in quell’inferno della Storia che assomma il peggio del comunismo e del capitalismo. La differenza è che si parla di bambini e noi occidentali diveniamo ipersensibili, cominciamo a chiederci quanto la Cina sia effettivamente lontana, e un’altra differenza è che la faccenda riguarda le Olimpiadi, e noi purtroppo c’eravamo. Ecco perché la storia è lentamente scivolata sulle pagine dei giornali di tutto il mondo.
In realtà era almeno dal 2005 che le aziende casearie cinesi sofisticavano il latte aggiungendo quella melamina che all’apparenza lo rendeva più proteico: una sorta di doping. Parliamo dello stesso latte per l’infanzia che i non aggiornatissimi pediatri cinesi hanno prescritto per anni a famiglie che vedevano tuttavia languire i loro bambini: il fegato bloccato, le ossa deboli, dolorosissimi calcoli renali, i sintomi più vari e preoccupanti.
Poi la storia cinese entra nel vivo. Il 2 agosto scorso il sindaco di una città del Nord-Ovest, a 300 chilometri da Pechino, lesse un rapporto dove si spiegava che le aziende che sofisticavano il latte erano ben 22. Il disastro era prossimo e c’era da muoversi subito: e infatti chiusero il rapporto immediatamente in un cassetto.
Nulla doveva oscurare la sfavillante macchina olimpica che il regime oliava da anni. Oltretutto una delle aziende, la Yili, sponsorizzava alla grande proprio le Olimpiadi, e morale: il sindaco ha tirato fuori il rapporto solo il 4 settembre, e il capo dell’Authority che vigila sulla qualità del cibo in Cina (ne esisterebbe una) non ha avvertito l’Organizzazione mondiale della sanità sino all’11 settembre: le Olimpiadi erano finite da abbastanza tempo. Diversi bambini, intanto, erano già morti, e decine di migliaia intossicati.
C’è un miliardo e 200 milioni di cinesi che di base resta un popolo che non può permettersi il latte, tanto che in buona parte delle regioni interne non è neppure in vendita: altrimenti staremmo parlando non di migliaia, ma di milioni di bambini. Intossicati. E morti.
C’è un miliardo e 200 milioni di cinesi che di base resta un popolo che non può permettersi il latte, tanto che in buona parte delle regioni interne non è neppure in vendita: altrimenti staremmo parlando non di migliaia, ma di milioni di bambini. Intossicati. E morti.
Di che immagine stiamo parlando? La Cina è il Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l’epidemia del virus Sars per ragioni pure quelle d’immagine: i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Solo il coraggio di un medico dapprima perseguitato e incarcerato, Jiang Yanyong, permise di diradare la cortina fumogena e a rivelare che le autorità cinesi erano dovute ricorrere alle forze armate per cercare di contenere l’epidemia. Sicché il vicepremier cinese, nell’aprile 2003, dovette fare ammenda davanti ai giornalisti di tutto il mondo: «Scusateci se i nostri servizi sanitari non hanno collaborato coi vostri media. Abbiamo fatto un cattivo uso dei nostri scienziati». Scusateci. Peccato che intanto il virus era passato in Canada e in Europa.
Ci ricordiamo di ciò che ci riguarda. Tante madri europee e statunitensi ricorderanno senz’altro lo scandalo dei giocattoli cinesi verniciati al piombo: tutti esportati in Occidente e destinati a bambini di età prescolare (parliamo di Mattel, Fisher Price e giganti del genere) giacché la Cina produce il 75 per cento dei giocattoli mondiali. Un rapporto del 2005 stimò che il 60 per cento delle fabbriche cinesi usava vernici con un contenuto di piombo superiore ai limiti di sicurezza internazionali. E uno studio dell’anno prima aveva stimato che il 10,5 per cento dei bambini occidentali presentava almeno 100 microgrammi di piombo in un litro di sangue, livello considerato nocivo dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Il problema, come detto, è che a certi temi siamo ipersensibili, ad altri meno. Quanti sanno che la RC 2 Corporation di New York nel 2007 respinse 1,5 milioni di binari ferroviari di legno perché dipinti con una vernice al piombo dannosissima? E allora dovremmo parlare, restando all’Italia, dei pomodori avariati, dei dentifrici al dietilenglicole (un solvente chimico usato per i prodotti antigelo) e quindi del miele cinese, aglio cinese, funghi cinesi, un futuro cinese per una Cina che è sempre più vicina, per ora, al frigorifero.
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Concordo. Avrei anche aggiunto che questa come altre catastrofi (vedi crolli di dighe e inondazioni varie) possono anche essere viste come conseguenza della decennale chiusura delle università (e ricerca) nel corso della cosiddetta “Rivoluzione culturale”. Domanda: ma quando le hanno riaperte, le università intendo, chi ci è andato a insegnare? E ad insegnare cosa? E chi ha progettato, curato, scritto, osservato, cercato, riparato.. da quel momento in poi (ma anche nel corso della chiusura)? Guardate che non si parla di mille anni fa, nè.