Franco Foschi è un pediatra bolognese, uno scrittore, un amico raro e di tanto in tanto è uno di quei matti che prende su, lascia la relativamente placida vita sotto le due torri e per una mesata s’inifila in uno di quegli ospedali africani dove tutto occorre (soprattutto qualche Franco Foschi). Al ritorno dalla recentissima esperienza nello Zimbabwe ha scritto una lucida memoria sulla situazione di quel paese, teoricamente più avanzato di altri che si trovano circa alle stesse latitudini. Ve lo offriamo con molto piacere, visto che non lo leggerete ne’ su Diario, ne’ su Carta, ne’ su Internazionale, e mi fermo alle testate che sono o dovrebbero essere sensibili alle tematiche qui trattate. Una pagina di realtà dalla voce di chi l’ha masticata da poco e ne conserva il sapore amaro in bocca.
Tutti i dipendenti statali, di recente, hanno visto raddoppiato il loro stipendio. Ma a quale pro, visto che l’inflazione ha raggiunto il 200%? Lo stipendio equivale a una montagna di fogli, coi quali puoi comprare quasi niente. Le ONG locali, quasi al termine del budget, che già risicavano spese allo spasimo, hanno visto crollare lo stesso budget perché i prezzi d’acquisto di materie prime sono aumentati in poco tempo di quattro volte.
La situazione politica non è delle più rosee. Il presidente Mugabe, quasi ottantenne, sembra essersi ritirato dalla vita pubblica. Le sue apparizioni si limitano a qualche inaugurazione o a un breve discorso durante qualche festività. Solo in questi casi esce dal suo castello dorato, con il suo codazzo di macchine blindate e scortate in maniera impressionante. In una delle ultime occasioni, il funerale di un ministro, il presidente si è ritrovato a parlare davanti a una grande massa di gente. Non si tratta di propaganda, in questi casi, ma di fame: è noto che ai funerali dei personaggi famosi c’è molto da mangiare per tutti… Comunque Mugabe, nel suo discorso, a un certo punto ha preso una pericolosa scorciatoia: “Qualcuno dice che io sembro Hitler, ebbene sì, sono Hitler, perché voglio proteggere il mio popolo! Viva il partito!”. Questo, un richiamo che vent’anni fa avrebbe provocato un grandioso unisono in risposta, ha prodotto in questa occasione solo un enorme silenzio. Immaginiamo l’imbarazzo del dittatore: il quale ripropone per la seconda volta ‘Viva il partito!’, ottenendo ancora una volta un bestiale silenzio. La polizia viene istruita, distribuisce manganellate a dovere, e al terzo richiamo il dittatore riceve comunque una flebile risposta. Una storia vera, molto africana.
L’opposizione ha sempre avuto scarsa consistenza, e anche se le ultime elezioni sono state palesemente contraffatte, come da deposizioni firmate di osservatori internazionali, tutto ciò non ha provocato alcun sommovimento sociale. C’è chi accusa l’inerzia degli oppositori, la mancanza di figure carismatiche, il naturale fatalismo degli africani. La stessa drammatica situazione economica, in Argentina, aveva provocato sommosse popolari e indignazione, qui nulla. Eppure, per esempio, le università sono state chiuse cinque mesi prima delle elezioni, e gli studenti hanno perso un intero anno accademico: c’era di che andare in piazza a manifestare, e allora?
Attualmente però le cose hanno subito una brusca accelerazione. L’opposizione, che riunisce diverse formazioni politiche sotto la sigla MDC (più o meno Movimento Democratico per il Cambiamento) ha proclamato di recente, martedì 18 e mercoledì 19 marzo, un grande sciopero generale, qui chiamato ‘stay away’, difficilmente traducibile in italiano, ma che consiste essenzialmente nel non far nulla, astenersi da qualsiasi occupazione, nel non presentarsi al lavoro. Una forma di lotta non violenta, non scendendo in piazza a manifestare, e che quindi non espone nemmeno alle abituali feroci repressioni della polizia. Lo sciopero ha avuto un’adesione massiccia. Ciò ha indotto l’MDC a proporre una specie di ultimatum al governo: se non ci saranno risposte precise ad alcune richieste (miglioramento delle condizioni di lavoro, progetti contro la disoccupazione, contro la fame, miglioramento dell’assistenza sanitaria, inizio (finalmente!) della lotta all’AIDS che qui è un flagello, e altre) entro il 31 marzo, inizierà dal 1 Aprile uno ‘stay away’ ad oltranza. Tutti pensano che questo possa minare le fondamenta del governo. La realtà è che all’interno dello stesso partito di governo la fronda si va facendo significativa. Le correnti politiche contrarie al presidente hanno di recente fatto sentire la loro voce di dissenso sui giornali più liberi (non certo nell’unica televisione del paese, feudo intoccabile di Mugabe).
Come farà il presidente a rispondere a questo vento di tempesta? Bisogna dire che già da tempo la deriva del governo ha preso forma ancora più atroce grazie alle formazioni miliziane note come green bombers. Sono queste una emanazione delle vecchie formazioni dei Reduci della Rivoluzione: la loro ‘modernità’ consiste nel creare sapientemente il terrore, grazie a soprusi incredibili, illegalità a tutto spiano, ma non solo: si narra di torture, di stupri sistematici (una delle storie più terribili che ho sentito riguarda i periodi obbligatori, ai quali molte ragazze sarebbero sottoposte, all’interno dei ‘campi di lavoro’ di queste milizie, dove tutte le donne hanno l’obbligo di sottostare ai desideri sessuali della truppa maschile), di assassini impuniti, mutilazioni, sparizioni. Questo è il braccio squadrista del governo, che non potendo più far politica fa terrore, come ultimo spasimo di sopravvivenza.
Uno dei problemi fondamentali dello Zimbabwe è quello della terra. Dopo la Rivoluzione, il presidente Mugabe aveva promesso l’espropriazione dei territori di proprietà dei bianchi a favore delle popolazioni locali. A parte il fatto che questo non è avvenuto in maniera decisa a causa della forza del sindacato agricolo ZNFU (Zimbabwe National Farmers Unit), in mano per la maggior parte ai bianchi, quando le terre in qualche modo venivano espropriate i criteri di ridistribuzione erano del tutto aleatori. Dopo alcuni tentativi di collettivismo tipo-kolchoz, miseramente falliti in breve tempo, ogni programma è andato allo sfascio. Bastava scrivere su un modulo apposito che possedevi un trattore, che avevi nozioni di agricoltura, e la tua domanda veniva inoltrata. Nessuno controllava la veridicità delle tue affermazioni. A questo punto l’unico criterio di scelta spettava ai faccendieri: e guarda caso quasi nessuno di coloro che otteneva la terra poi la coltivava. La possedeva e basta, era una proprietà e basta, un investimento per il futuro e basta.
I bianchi che non hanno Preso il Volo, come si dice da queste parti, cioè non sono andati in Sudafrica o Botswana o non sono volati in Inghilterra a godersi le loro ricchezze, sono rimasti pochi. Attualmente le grandi fattorie gestite da bianchi sono impossibili da censire, dopo essere state, negli anni d’oro, circa 200. In queste fattorie vige il regime del Lamento Continuo, contro lo Stato, contro Mugabe, contro tutto e tutti. I farmer bianchi sostengono di essere fondamentali per l’economia dello Zimbabwe, e di dare lavoro a centinaia di persone. Cosa peraltro vera, ma a un grave prezzo per i lavoratori stessi: chi lavora con i bianchi è in qualche modo squalificato, non ha ferie, non ha pensione, nessun riconoscimento da parte dello Stato insomma, e probabilmente viene sottopagato. E non sono certo i bianchi a soffrire: i conti in banca in Sudafrica o a Londra mettono al riparo da qualunque incertezza sul futuro.
Una delle battute che circola più di frequente è: “Paese in via di sviluppo? Ah-ah!”. La realtà è che tutto è orientato a una economia di sussistenza: coltivo il mio campo di granoturco, preparo la mia sazda, alimento quasi completamente privo di proteine (da qui lo spaventoso numero di bambini che soffrono per malattie da carenza nutrizionale grave, il kwashiorkor e il marasma), e tiro a campare. Interventi sociali ad ampio respiro non se ne vedono, e le poche iniziative per emancipare la popolazione dalla povertà galoppante o sono inadeguate o sono fallite in breve tempo. I programmi di vaccinazione ottengono risultati ridicoli, gli ospedali non garantiscono né farmaci né indagini diagnostiche (a malapena la sazda), i titoli di studio sono carta straccia.
Che succederà, tra breve? Ci sarà una transizione democratica o violenta alla morte di Mugabe? Attualmente lo Stato mostra i suoi funzionari nella piena frenesia di accaparramento di chi sta ‘tirando le cuoia’: e dopo? Il dopo è un mistero imprevedibile e incerto, ma questa non è una favola: difficile prevedere un lieto fine.
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Ho letto. Interessante.
Sulla questione non so praticamente nulla di più di quanto c’è scritto sul Dizionario Enciclopedico Zanichelli (ed.2001, quindi sono anche indietro di 2 anni).
Sono ignorante, ignoro.
Domanda per chi ha inserito l’articolo, ROBGRASILLI: perchè un articolo come questo, o meglio, che dice queste cose, non apparira mai me’ su Diario, ne’ su Carta, ne’ su Internazionale?
La prego non mi dica che è perchè sono comunisti perchè il mio vecchio cuore non reggerebbe.
Fiducioso in una sua risposta,
Gabriele
Ho letto attentamente tutto il reportage e la prima cosa che ho pensato è stata: “il dottor Foschi è davvero una persona umile”. Nell’articolo racconta dello stato politico/economico/sociale riscontrato in Zimbabwe, evitando di parlare della parte più “intima” e direttamente collegata a quello che è “vivere sulla propria pelle” la situazione che si incontra. Io vorrei poter spendere due parole in merito. Ieri mattina, infatti, in una chiesa sperduta nella campagna bolognese, io e pochi altri (una quarantina circa) abbiamo avuto la fortuna di ascoltare il racconto della sua esperienza nell’ospedale africano, esperienza condivisa da un altro medico che è partito con lui. A mio avviso sono emerse due cose importanti, forse dei luoghi comuni: la prima è che veramente quello che per noi è poco (davvero poco) là, in quel contesto, è tanto (ma davvero tanto); strumenti per l’assistenza sanitaria che in certi paesi si sognano di poter acquistare e che noi, invece, con un minimo sforzo facendo una colletta, riusciamo a portare loro. La seconda: ti viene da pensare “ce ne fossero di persone come il dottor Foschi” oppure “vorrei essere in grado anch’io di farlo”. Semplicemente così: individui che, a proprie spese e utilizzando le proprie ferie, decidono di partire e di dedicare un mese o anche più a persone in grande difficoltà, a volte rientrando in Italia ammalati dopo un’esperienza così impegnativa e “totale”. Sono grata a uomini come il dottor Foschi e altri come lui, voci fuori dal coro, che ancora portano una testimonianza attendibile e veritiera. Aiutandoci a guardare oltre la nostra piccola finestra. (Un grazie anche a RobGrassilli che ha avuto la sensibilità di inviare questo post).
un altra atroce e triste realta’. e’ terribile la mancanza totale di verita’. mancanza di informazione, dilagare di ipocrisia e di omerta’. ditemi un po voi se i responsabili di tutto cio’ non siamo noi?
perche’ cio si viene a sapere solo da persone come il buon franco foschi, e non da i nostri efficientissimi mezzi di comunicazione di massa?
meglio che noi benestanti e non pensanti continuiamo a non sapere. meglio non cambiare la vita di chi soffre ma lavora per mantenere il nostro benessere.
grazie roberto. grazie franco.
un abbraccio. lauro
intanto un saluto, passerò con più calma a trovarti. ciao