Io preferivo quando nella politica italiana c’erano meno donne e magari pure più brutte: almeno avevi la certezza che non passavano di lì per caso, che i meriti dovevano averli per forza, anche perché in caso contrario il cinismo maschile le avrebbe spazzate via. Ora, invece, la logica politicamente corretta delle quote rosa (delle quote marketing, delle quote copertina, delle quote «noi-sì-che-siamo-moderni) ti costringe a guardare con sospetto anche donne magari bravissime, signore che sono riuscite in politica non perché sono belle: ma nonostante siano belle.
Il problema è che il reclutamento di femmine a manciate, durante la campagna elettorale, è stato penoso a sinistra come a destra: non erano una variante qualitativa, ma quantitativa, erano «tot donne» da sbattere in lista: il criterio di selezione era un problema che veniva dopo. Anche questa ossessione di dover piazzare assolutamente tot donne in tot ministeri sa di forzatura e convince poco: soprattutto se, nel totoministri quotidiano, capitava di veder saltabeccare certi nominativi da un ministero all’altro come se fossero intercambiabili, come se le attitudini e le competenze fossero un optional. Scegliere una donna solo se è più brava di un uomo: è questa l’emancipazione. Il governo potrebbe essere composto solo da donne oppure da nessuna: perché è un governo, non è mica una scampagnata.
(Il Giornale – 7 maggio)