Scrivo dal fronte e le mie trincee, le mie barricate non hanno il colore camaleontico della sabbia, della terra. Non sono avvolgenti e protettive. Non deve piovermi addosso il piombo. Scrivo sotto muri alti tre metri, spessi uno, coloratissimi e nauseabondi. Signori vi scrivo dal fronte della munnezza. Ne ho sentite tante: che quella trincea l’abbiamo costruita noi, col nostro silenzio, con la nostra indolenza, con la nostra insipienza. Vi scrivo dal fronte degli uomini senza dignità, che per una visita dal medico chiedono il favore all’amico dell’amico, e restano in obbligo per anni. Dal fronte degli inetti, incapaci di tenere per un attimo la schiena dritta. Smidollati, incapaci, inutili i miei compagni al fronte. Sanno guardare solo quell’orizzonte che si presenta a un palmo dal loro naso, dal nostro naso. E accusano: prima uno, poi l’altro, poi quello che verrà.
Sopportano, i miei compagni. Quella puzza, quello schifo, quelle fiamme.
Sopportano e alzano la voce solo quando avvertono il peso della scena. Sicché si fanno fotografare nella loro posa preferita: la faccia incazzata con il mondo. Finché quella faccia può restare anonima. Anonima, come quando prendono quel vecchio materasso smollato dalla cantina e lo riversano per strada. Ditemi voi: quanti televisori vecchi, quante lavatrici, quanti frigoriferi spuntano all’improvviso, quando il muro della trincea è già alto?
E poi sono dei creduloni i miei compagni del fronte: credono a qualunque cosa gli si racconti. Che qui verranno i turisti, che le loro terre, lande deserte del nulla, diventeranno paradisi per metropolitani stressati. Credono che quelle lande deserte, che per raggiungerle ci vorrebbe un elicottero, diventeranno le basi della nuova industria mondiale; credono che quelle stesse lande sconosciute saranno serbatoi ineasauribili di grano.
E non riconoscono che per una vita hanno elemosinato il “posto” in una segreteria politica, sempre la stessa. Denunciano, si offendono, protestano a sentirsi chiamare “inetti”, incapaci di cambiare, di pensare, di scegliere. Si offendono a morte a sentir dire che i loro pensieri, le loro azioni dipendono da quei cavi di acciaio che muove la camorra. La camorra di quando parcheggi l’auto e ti chiede il pizzo; la camorra dell’impiegato del catasto che un certificato te lo molla solo se hai la faccia di metterti in ginocchio e implorare e aspetti una settimana; la camorra che ti fa sempre la grazia di tenere aperto il tuo negozio, di avere la tua bottega all’opera. Tutto si chiede per piacere, per carità di Dio, tutto si ottiene per grazia ricevuta.
Puzzano i miei compagni: di vecchio, di marcio, di stantio. Come quelli che comandano, che pomposamente “goverano” da dieci, venti, trent’anni. Sempre gli stessi.
Il terzo mandato ai sindaci nei piccoli comuni? Signor presidente emerito della Repubblica Carlazeglio Ciampi, quando ebbe la felice idea, mi caddero le braccia. Il mezzo mandato ai sindaci dei piccoli comuni, incancreniti e calcificati alle loro poltrone!
Vi scrivo dal fronte del brutto, dell’orrido, dove immense colate di cemento disabitato hanno storpiato paesaggi e storie. E su quel cemento ora c’è la munnezza. Tanta, più di quanta se ne può ragionevolmente immaginare. Munnezza, munnezza, munnezza.
Ti scrivo dallo stesso fronte, e non posso che darti ragione, purtroppo…
Io sono stanco, penso che a breve emigrerò verso lidi più civili.
Cara Gab, ti posso suggerire una soluzione?
mettetevi d’accordo tutti i cittadini e ogni mattina il vostro bel sacchettino della monneza lo portate davanti casa del sindaco… e lì lo depositate. Quando non ci sarà più posto e la casa del sindaco sarà sommersa andate in comune e depositate il vostro sacchettino direttamente sulla scrivania del sindaco.
Non ci crederai ma qui dalle mie parti ha funzionato.
Già fatto, Lunar. Un anno fa una ventina di studenti, durante l’ennesima emergenza, senza neppure i guanti, preseun bel po’ di sacchetti e allestì una bella collinetta di munnezza davanti all’ingresso del municipio di Avellino. Non fu una goliardata, ma credi che l’abbiano presa per una cosa seria. Comunque, per un appartamento di 150 metri quadri, occupato da due persone, ad Avellino 4 anni fa pagavo 570 euro l’anno di tassa sulla munnezza, per averla sotto la finestra. Proprio sotto la finestra. Abitavo in una zona pomposamente definita residenziale. Quando sono scappata sotto casa mia c’era una muraglia cinese di munnezza: 4 metri di altezza, due di larghezza e 15 di lunghezza. Era di giugno. 27-30 gradi.
sulle responsabilità della politica tutto è detto e stradetto. iniziare a pensare qualcosa sui cittadini che se ne sbattono le palle di tutto per 364 giorni l’anno per poi accorgersi l’ultimo giorno che c’è “l’emmerggenza”? le centinaia di fancazzisti (mostrati perfettamente da report) che non raccolgono l’immondizia e stanno tutto il giorno a girarsi i pollici perchè i camion non funzionano? e quando ce n’è uno che funziona san gennaro miracolosamente lo rende non funzionante il giorno dopo? io sono meridionale (pugliese) per cui non posso essere leghista costituzionalmente, però ‘sti “meridionali” iniziano proprio a scassarmi le palle. nessuno che fa un cacchio e sempre a piangere. i politici non sono altro che la perfetta rappresentazione di quello che è il popolo (ovviamente con le dovute eccezioni). l’idea di mollare l’immondizia dal sindaco (e soprattutto dalla sua famiglia) è giusta ma deve essere fatto tutti i giorni continuamente per avere effetti.
Un’immagine che dice più di 1000 discorsi.
http://i194.photobucket.com/albums/z278/lordcima/Unideapulitadellapolitica.jpg
mi permetto di aggiungere questa.
http://tinyurl.com/27w3mx
Gabbriè, la sede del comune è neutra. Il mio invito voleva essere più diretto:
1) La casa del sindaco.
2) L’ufficio del sindaco.
Il contatto tra il sindaco e la monnezza deve essere diretto. Non vorrei che proprio sotto casa sua magari opera una squadra che pulisce giorno e notte.
E con quale coraggio continuano a spedirvi i bollettini per pagare la raccolta dei rifiuti?Praticamente “cornuti e mazziati”
che profonda, immensa, imbattibile stanchezza. che paura.
Gli inceneritori non si possono “attivare” da un momento all’altro. Infatti richiedono tempi di costruzione e di valutazione di impatto ambientale. Quello di Acerra entrerà in funzione ad ottobre,l’altro nel 2008. Se è vero che quando entrerà in funzione sarà risolto in parte il problema della raccolta e dei rifiuti per strada,un giorno non si parlerà più degli effetti degli incenritori sulla salute ,in Campania e non solo.
Fratello Yurj, ricordati che devi morire. (una volta risposi: muori tu che io sto bene). Ma non vale. ;)
Lunar, la strada del sindaco è passata anche a cera, se vuoi saperlo.
Anna, una volta, parlando con un geologo che ha resistito come consulente della Regione Campania per tre giorni, sulla questione munnezza, mi permisi di dire che si potevano usare quei tritarifiuti casalinghi che si applicano al lavello della cucina. Mi fece una sonora risata in faccia: non abbiamo i depuratori per gestire un processo simile. Eppure nella bolletta dell’acqua c’è la voce “depurazione”. Eh!
Intanto, già progettare l’eliminazione delle discariche camorriste mi pare un rapido passo avanti…
Yurj magari facciamo un bel corteo, una bella fiaccolata… portiamoci una nave carica carica di… studenti e boy scout!
Sarebbe bello.
Gabriella, Gabriella, ti dò del tu, dopo qualche breve scambio epistolare altrove.
Ti dò del tu perchè di queste cose scrivi bene. E ti dò del tu perchè queste cose sono anche mie. Su cosa poi sia mio, questo è un altro discorso ;)
Ti dò del tu – infine- perchè condividere le stesse cose, combattere la stessa guerra, condividere la stessa trincea o lo stesso fronte, indossare -insomma- la stessa invisibile divisa, fa sentire più sopportabile e naturale ogni scenario, ogni scempio, ogni contesto e ogni tristezza. Si arriva ad un punto, almeno per alcuni, in cui manco si combatte più, si dimentica ale volte anche che siamo in guerra. E vedi giovani appassiti o rassegnati come vecchi, e vecchi che ricordano il prima, il prima di tutto, il “prima” dei tempi loro, quel “prima” che inevitabilmente invidi perchè doveva essere piu bello e perchè tu ancora non c’eri, e le spiagge erano spiagge, e Bagnoli non era Bagnoli, e le lavatrici non erano birilli per uno slalom sulla provinciale.
E sotto sotto, biecamente, prendi distanze dal tuo stesso fronte, lanci messaggi disperati come questo oppure critichi dal di dentro, non come un militare esperto che conosce tattiche o pericoloso perchè rivela strategie, ma come un figlio degenere, una spia intestina che non può fare niente altro che ammettere che esistono tante piccole guerre, ogni giorno, ogni minuto e inizia a rinnegare non solo quelle guerre, ma anche quei posti.
E questo distacco è quello che fa più dolore, ritrovare a guardare i posti in cui sei cresciuto, quelli con la pizza e il mandolino della televisione -della munnezza, adesso – con gli occhi profondi di chi li ama, ma che prova persino vergogna ad ammetterlo con se stesso, e si ritrova cosi, in un intercity qualunque per il Nord, a parlare di quella guerra, scongelando una pressapochistissima saggezza di chi la vive dal di dentro, ma con la stessa distrazione del passante polentone che lo ascolta.
In più, senza neanche accorgersene, egli “prende distanze”.
In pratica, l’eterna schizofrenia di noi terroni.
Siamo incontentabili noi meridionali e noi campani in particolare.
Siamo sempre pronti a criticare le perfette città nordiche a nostro dire fredde, asettiche e monotonamente colorate solo dal grigio dell’asfalto e del cemento.
Ma allo stesso tempo non apprezziamo l’opportunità unica che ci viene concessa di vivere a stretto contatto con una delle cose più pittoresche, variopinte, vitali e multiformi prodotte dal genere umano: la spazzatura.
Come sono meravigliosi quei multicolori cumuli che, guidati dalla mano geniale di un ardito scultore, disegnano forme plastiche nelle altrimenti fredde vie geometricamente e tristemente squadrate.
Gli altri popoli possono sognare e perdersi nei pensieri solo volgendo lo sguardo in alto alle nuvole nel cielo che disegnano figure misteriose: a noi è concesso il dono di farlo guardando sulla terra, proprio davanti alle nostre case.
Ogni giorno le composizioni artistiche assumono contorni, colori, sfumature ed odori diversi e ci inducono a pensieri profondi ed a riflessioni sulla fugacità della nostra esistenza.
Chi siamo, da dove veniamo, quanto sopravviveremo alla puzza….
E sono mille mani a formarle e scolpirle: è arte collettiva che esprime l’essere di un intero popolo, di una intera cultura.
Da esse un pò alla volta si sviluppa la vita che partendo da microscopici esseri monocellulari si evolve in creature superiori che strisciano e volano per diffondersi e moltiplicarsi rapidamente nel mondo: “dal letame nascono i fiori” cantava il poeta ma il suo insegnamento echeggia nel vuoto di coscienze insensibili al dono che ci è stato riservato dai nostri amministratori.
E nessuno si commuove al pensiero dei meravigliosi oggetti antichi che mani umane pietose ripongono fra i sacchi ad imperitura testimonianza di esistenze altrimenti a noi sconosciute: mobiletti, assi da stiro, stendipanni, sedie rotte,lavandini.
Io stesso oggi ho riflettuto a lungo su quante persone si fossero sedute sulla tavoletta del cesso che ho scorto innanzi alla mia finestra: ognuna di essa avrà una sua storia da raccontare e finalmente le potremo conoscere o immaginare tutte grazie all’ignoto benefattore che ce l’ha donata.
E sinceramente mi fanno paura coloro che parlano di caricare tale meraviglia su grossi e potenti mezzi da trasporto per gettarla in qualche enorme fossa comune in una landa desolata.
Mi terrorizzano i criminali che si propongono (senza provare vergogna e pudore) di incenerire questa mirabile testimonianza del genio umano che dovrebbe essere dichiarato patrimonio mondiale dall’Unesco.
Mi appello a voi ecologisti ed amibientalisti ed ai semplici cittadini: fermateli con ogni mezzo a vostra disposizione.
Blocchi stradali, petizioni, sottoscrizioni, sentenze del Tar, comitati di lotta, interpellanze parlamentari e se necessario bisognerà usare la forza.
Ma alla fine dovrà essere chiaro a tutti che questa spazzatura non si muoverà di un centimetro
perchè essa testimonia al mondo intero la nostra civiltà millenaria.
Ciao Gabriella ;)
Concordo. Associatevi, riunitevi in organizzazioni non profit con facciata di stampo ecologista; create una rappresentanza di cittadini, mamme con bambini, anziani, giovani nauseati che aprano un blog, anche in lingua inglese; rivolgetevi alla corte europea per i diritti umani (la salute lo è); usate internet, fate mailing list clandestine; cercate idee, aprite un blgo; rivolgetevi ad associazioni esistenti attive per lo sviluppo sostenibile; individuate un deputato che possa seguirvi, anche al livello europeo; studiate le soluzioni degli altri Paesi europei..utilizzate tutti i moderni mezzi di comunicazione, fondate una televisione di quartiere (si fa in casa); organizzate studenti universitari che facciano un reportage video. Poi però, bisogna suggerire soluzioni. Me ne viene una provocatoria: un’associazione, cinque euro a famiglia al mese, affidamento a ditta privata per lo smaltimento rifiuti…e poi ricorso al Tar per il rimborso; oppure, una soluzione vera, creare un businness collaterale: chi produce plastica, crea strutture proprie per smaltirla; lo stesso per il vetro, per la carta etc.: si potrebbe così attivare solo il servizio di raccolta differenziata, non ci sarebbere accumuli, si attiverebbe la ricerca e si creerebbero nuovi posti di lavoro.
Laura2 com’è il titolo del film?
:)
scusa, eh, per la battuta, ma, sarà il mio pessimismo cosmico, credo che sia irrealizzabile, perché nessuno qui troverebbe proseliti per un progetto del genere. La munnezza noi terroni ce l’abbiamo nel sangue. poi ci sono le brave persone che circolano col cane, il sacchetto e la paletta. Ma non sono tante.
Lupovecchio, De Crescenzo disse: “Dammi la tua munnezza e ti dirò chi sei” :D
Morosita, quella “rassegnazione” di cui parli è mia, molto mia. Eppure ho ancora la forza di incazzarmi e di fare quel che posso, separando la plastica dal vetro, dalla carta, usando il mio camino per carta e cartone. Ma non serve a niente, assolutamente a niente. Ed è questa consapevolezza che mi deprime.
No,no Gabriella, no! La cultura del pessimismo è indotta in Italia dagli anni ’70 ed è stata scientificamente finalizzata alla diffusione del nichilismo, dell’indifferenza, della sfiducia. Così è più facile dominare chi non crede in nulla. Basterebbe, per iniziare, che pochi di voi scrivessero al Foglio; chiedete aiuto ad un giornalista coraggioso che tenga acceso l’interesse sul problema, fatevi aiutare da qualche blogger…il video, mandatelo su u-tube; fatevi scrivere una canzone da Fabri fibra…comunque, per fare tante delle cose di cui sopra, basta una persona che ci creda veramente.
Laura ti invito a passare una settimana da queste parti per identificare quella massa che legge il Foglio, segue i Blogger e conosce youtube.
“Un battito di ali di farfalla in Cina può diventare un uragano ai Caraibi”. Tu, stai battendo le tue “ali” (dita) qui, e noi rispondiamo a te: vedi? E se ti passa un Facci in forma, capace pure che riesce a farci imbastire una puntata in tv, da quale parte. Non disperare, tieni accesa l’attenzione.
Qui si sono “scassate” le ali. E non solo.
Passo.
sbaglierò, ma il pessimismo meridionale ha radici un pochino più antiche degli anni ’70.
forse certe turbe da eterno nemico, da soldato giapponese nel pacifico, questo sparare contro lo stesso bersaglio in qualunque occasione può darsi che abbia radici negli anni ’70
o nella psichiatria
Piti, il manuale del pessimismo meridionale potrebbe essere il Gattopardo.
Ma ci sarebbe tutta la scuola siciliana, da Verga a Sciascia, passando per De Roberto, che guarda caso era un napoletano cresciuto in Sicilia. Il pessimismo meridionale non è cosa da spiegare. In un caso o nell’altro verrebbe banalizzato da commenti che pure ho letto. E una volta per tutte: essere pessimisti meridionali non vuol dire grattarsi la pancia… tanto niente cambia, o tutto cambia perché tutto resti com’è. Di questo ne ho talmente piene le scatole che non voglio neanche discuterne
gabriella, certo che il pessimismo e il fatalismo del Sud ha radici di cui già le descrizioni romanzesche sono ormai antiche: figuriamoci il fenomeno in sè.
Il mio inervento precedente si riferiva a chi, per ragioni molto sue, vedeva la causa di questa forma di negatività negli anni ’70.
Che passino per gli anni di piombo, mi sta bene fino a un certo punto. Che passino anche per gli anni delle bucce del cocomero, proprio no.
Non si capiece proprio, a quanto vedo, che ci siamo scassati le ali, eh Gabriè? ;0)
Il riferimento agli anni ’70 non è un limite temporale che intende eliminare i possibili riferimenti precedenti. Nè è limitato al sud. E’ una certa cultura di sinistra, sottotraccia (e nemmeno tanto) che da allora molti di noi percepiscono e che ha influito sulla nostra mentalità di oggi. Io del resto sono del ’70 dunque nell’attualità, la vivo da quegli anni lì. Non c’è da fare tanto gli intellettuali o i sofisti, c’è da non cercare scuse o vetusti prodromi culturali.
laura2
a parte che una nata nel 1970 fa ridere quando
dice che vive la cultura degli anni ’70, e te lo dice uno che ha dieci anni più di te, che magari era un pelino più consapevole di chi si pisciava nel pannoloino
a parte la sicumera debordante tipica di chi non sa una fava
comunque, tranquilla, non dubitavo che “fare gli intellettuali” o “cercare vetusti prodromi culturali” non facesse parte del tuo modo di approccio alla camprensione
l’importante era dare addosso “a una ceta cultura di sinistra”, di qualunque argomento parlasse il post
vedi tu se non è un atteggiamento da psichiatria
passo e chiudo, aquilotta
Piti, io non pisciavo nel pannolino, perchè i miei mi mettevano le pezzette di cotone di una volta, hai presente? Perchè ero, e sono, molto, molto allergica agli escrementi. Pensa, soprattutto al camping libero d’estate nella mia meravigliosa roulotte, con i miei genitori para-figli dei fiori! E sì sai, a nove anni ero già capace di intendere, un pò meno di volere. Poi dallo psichiatra ci sono stata dieci anni, sai quando ho capito che le pezzette me le dovevo mettere agli occhi, e non al culo, per non entrare in contatto con gli stronzi.
Ma ad ognuno tocca la sua nemesi, e in questo momento io qui vivo la mia, con te…mi metterò una pezzetta agli occhi. Ti saluto, asinello!
ubi demostratur