ALLA FINE, SE IL PETROLIO FINISCE, CI RITROVIAMO COMUNQUE TUTTI SULL’ALBERO
Che succede se il petrolio diventa *troppo* caro? Si torna a piedi? Beh, prima di arrivarci c’è tutta una serie di cose che potremmo fare, e in parte stiamo già facendo. Vediamo quali, e le relative obiezioni.
1) Prendere a legnate quelli che hanno ancora un po’ di petrolio e portarci via le loro taniche.
– Ci stiamo provando, ma è meno facile del previsto: in ogni caso, una volta bruciato il loro petrolio (e via via quello degli altri) il problema è solo rimandato.
2) Abbassare il prezzo al pubblico controllando un pochino le megacompagnie.
– Ok: però glielo vai a dire tu, io non c’entro e nemmeno ti conosco: mica voglio fare la fine di Enrico Mattei.
3) Andare a piedi ogni tanto.
– Uhm: ci viene il fiatone. Difficile togliersi abitudini consolidate.
4) Andare a piedi sempre.
– No. Preferiremmo senz’altro eliminare il pianeta.
5) Andare in motorino ma non in bombardiere o carrarmato: il motorino almeno consuma poco.
– Bravo. E poi quando quelli rivogliono il loro petrolio con che cosa li bombardi, col motorino?
6) Tornare al nucleare, magari dopo una bella campagna-immagine sul “nucleare pulito”.
– Non male. Però chi lo racconta alla Esso? Bisogna almeno darle il tempo di fare il nucleare lei. E nel frattempo?
7) Sviluppare le energie alternative: ‘sta faccenda della benzina ormai dura da più di cent’anni. E mica ci siamo tenuti per tutto ‘sto tempo i brigantini a vela o le diligenze!
– Sì, però i fabbricanti di vele e i padroni delle diligenze non erano organizzati in multinazionali, e quindi non potevano *impedire* le nuove tecnologie. Ora invece lo possono fare, e quindi noi restiamo coi motori a benzina.
8) Sperare che finisca bene, e pregare Padre Pio.
– La cosa più realistica. Però attento a pregare, perché di ‘sti tempi se ti beccano a pregare roba sbagliata prima ti menano e poi ringraziano Dio.
Alla fine, comunque, se il petrolio finisce si torna tutti sull’albero e chi s’è visto s’è visto. Pazienza: vuol dire che la prossima guerra ce la risolviamo a clavate: ricicleremo generali e politici, e andremo avanti.
Per l’acqua, invece, non c’è proprio nulla da fare: se non hai acqua, non è che vai a piedi, vai giù per terra. Ora, le cifre dell’acqua sono queste (ne parlavamo due settimane fa): la disponibilità va calando da trent’anni; un quinto del pianeta è già in emergenza; fra due generazione metà degli esseri umani semplicemente non avrà acqua. Io già qui, nel civile occidente, ho davanti un bicchiere di acqua minerale.
È molto più importante del petrolio, l’acqua. Per l’acqua non esistono alternative. Chi ce l’ha, vive e chi non ce l’ha è schiavo. Da diversi anni, la crisi del Medio Oriente (e del suo punto-omphalos, Israele/Palestina) è dominata non dalla lotta per il petrolio, ma da quella per l’acqua. In particolare, ne è determinata la politica israeliana. Gli insediamenti dei coloni sono (molto prima che soggetti religiosi, o anche politici) nuclei di percettori d’acqua, tolta a chi prima l’aveva. La strategia che ne consegue non è di espansione territoriale ma di controllo delle risorse idriche anche lontane. In questo ha bisogno di partner, e l’ha trovato nel governo turco.
Da diversi anni la Turchia cerca di controllare (con tecnologie e sostegno israeliani) il flusso dei tratti a monte dei principali fiumi della regione. È un’operazione epocale, infinitamente più decisiva di ogni oleodotto. La civiltà umana è nata lì, sui fiumi e grazie ai fiumi. Babilonesi e Hittiti, Mitanni e Assiri vincevano o venivano spazzati via solo in base al controllo di quelle sorgenti. È un’elegante ironia, del dio che chiamiamo storia, che dopo tanti millenni le poste sul tavolo siano tornate le stesse: quasi gli stessi i popoli, assai simili i ruoli.
Negli ultimi dieci anni, fra turchi e israeliani gli interessi sono stati comuni. Stessi rivali (Siria e Iraq), stesso laicismo tecnocratico, stesso status di popoli vitali e forti isolati però in una regione ostile: gli Israeliani perché coloni, i Turchi perché ideologicamente non-religiosi. Le caratteristiche dei due paesi sono andate modificandosi col tempo: in entrambi si è andata affermando una forte ripresa religiosa, che però ha operato in senso opposto: ulteriore isolamento per gli uni, apertura di dialogo (con gli altri “islamici”) per gli altri.
La guerra americana è piombata su tutto ciò come su un formicaio. Gli americani non hanno più alcun bisogno di una Turchia “laica” e “occidentale” per coprire un confine (Urss) che non c’è più; hanno invece bisogno, là come in Afganistan, di piccoli alleati strettamente locali, senza capacità d’autonomia né d’espansione, facilmente ricompensabili e utilizzabili a discrezione: “laici” o tribali, occidentalizzanti o islamisti, non importa. Un soggetto del genere sono i curdi: che soddisfano a tutte le necessità americane nella zona e che però sono assolutamente incompatibili con ogni possibile interesse nazionale turco. E infatti la crisi qui è esplosa istantaneamente, non appena è stata pronunciata la parola “curdi”.
Nel giro di ventiquattr’ore, la Turchia ha abbandonato lo schieramento filo-americano (e filo-israeliano) che deteneva da cinquant’anni, ha alzato bandiera araba (vedremo poi di che arabismo si tratti) e s’è candidata a potenza egemone della sua zona.
Contemporaneamente, l’Iran raccoglieva – senza muovere un dito – la massima vittoria della sua storia e diventava a sua volta potenza egemone sull’altro lato del Medio Oriente. Per gestire questa nuova posizione, possiede una classe dirigente “borghese” (i pasdaran in realtà contano molto poco) che sa muoversi con ragionevolezza, senso della misura ed estrema determinazione. In questo momento, ad esempio, il più attendibile fra i possibili piani di gestione postbellica è proprio quello iraniano (interetnico, moderato e compatibile con l’Onu), attorno al quale si stanno muovendo – senza dar troppo nell’occhio – i progetti delle principali diplomazie non-americane. Dopo la guerra, l’Iran non solo non sarà affatto isolato nella regione, ma avrà molti interlocutori in più e un nemico in meno. Insieme con la Turchia, avrà già raggiunto la massa critica per porsi come rappresentante di fatto del mondo islamico, che dopo tre secoli tornerà dunque a pesare realmente, e non solo nelle fantasie dei politologi, sul piano internazionale.
E questo, nell’immediato, è il primo risultato dell’avventura americana. Si ripercuoterà rapidamente dappertutto. Il secondo passo sarà l’allargamento del nuovo polo. Il terzo l’appoggio che essa riceverà, in ordine di tempo, dalla Cina, dalla Russia e – prima o poi – dall’Europa. Un’attrazione gravitazionale anti-americana, che tenderà a concentrarsi esattamente là.
“Non ci sono indiani buoni”. “Non rinunceremo a una parte anche minima dei nostri consumi”. “Non vogliamo governare in alcun modo il nostro sistema economico, e anche se volessimo ormai non potremmo più farlo”. Su questi tre principi si basa, dalla caduta dei Democratici in poi, la politica americana. Non è che i politici americani, nel giro di due anni, abbiano cambiato idea: è il ceto politico in sé, in quest’arco di tempo, che è cambiato. Non più proconsoli patrizi ma rappresentanti (procuratores) di fortune private: la Sicilia o la Gallia erano province romane, ma l’Egitto era proprietà personale della famiglia imperiale. Non più un’aristocrazia nazionale, ma occasionali cordate di avventurieri e generali. Non più selezione politica ma prevalenza casuale di questo o quel clan familiare. Candidato da suo padre, eletto da suo fratello: così è salito l’ultimo imperatore.
Nulla è cambiato tanto quanto l’America, in questo mondo cambiato. L’Europa, che la sera prima se n’era andata a letto con un principe azzurro, al mattino s’è ritrovata accanto un Nerone ubriaco. Non sa come comportarsi, naturalmente. Ci vorranno un paio d’anni solo perché essa riesca a guardare in faccia la grottesca realtà. Un bel fidanzato, che però ogni tanto a mezzanotte salta sul tetto, scopre le zanne e ulula alla luna. Poi le sorride, e s’arrabbia se lei ha paura.
Ma quanto è grande, in realtà, la superiorità militare – convenzionale – dei generali? Sappiamo benissimo che possono benissimo cancellare dal mappamondo uno o due Vietnam senza problemi: ma quanti singoli vietnamiti riescono a fare fuori, uno per uno, nel giro di ventiquattr’ore, o di una settimana o di un mese? L’ultima volta, il test non è risultato molto favorevole. C’è molta gente, nel mondo, che si pone con curiosità questa domanda ora.
Informazione 1. Rai. Lucia Annunziata accetta, dopo la prima umiliazione su Santoro, la seconda su Cattaneo. Bacchettata sul primo, costretta ad astenersi sul secondo, non ha battuto ciglio ed è rimasta in poltrona. Peccato. Ai miei tempi era una brava e attendibile giornalista-compagna, con questa bella – e sfiorita – doppia dignità.
Informazione 2. Rai e Bbc. Sono italiani e inglesi, stavolta, gli inviati di guerra più liberi e meno autocensurati; il record del bavaglio stavolta va agli americani, Cnn in testa (ad Atlanta l’autocensura è stata formalmente proclamata già dai tempi dell’Afganistan). Generalizzando arbitrariamente, si potrebbe dire che l’informazione pubblica dimostra professionalmente più fiato di quella privata.
Informazione 3. Rai e folklore. I soliti imbecilli contro il solito Tg3: ieri TeleKabul, oggi naturalmente TeleSaddam.
Informazione 4. Una piccola manifestazione (circa duecento persone) in un quartiere di Roma: oggetto della protesta, un’antenna per la telefonia mobile che secondo gli abitanti potrebbe essere dannosa alla salute. Leggendo le pagine di cronaca dei quotidiani romani, tuttavia, non sono riuscito a sapere a chi diavolo appartiene quell’antenna: Telecom? Wind? E chi lo sa: sui vari giornali appare semplicemente “la compagnia telefonica coinvolta”, “i tecnici dell’azienda” e così via. Nome dell’azienda, niente. Un tempo sul giornale della Fiat non veniva mai pubblicata la marca delle automobili coinvolte negli incidenti stradali. Ma possibile che adesso siano tutti diventati giornali della Fiat (o di Wind, o di Telecom)?.
Informazione 5. Una tendinite e una borsite al braccio sinistro hanno reso improvvisamente inutilizzabile una velina di Striscia la Notizia, Elena Barolo. L’esemplare abbattuto è stato imediatamente sostituito dalla giovane Giulia Olivetti, di ventitré anni.
Profeti. “Pro-phemì”, dirlo prima. Don Milani scrisse la sua “Lettera ai cappellani militari” il 23 febbraio del 1965; morì povero prete, esiliato dalla Chiesa e condannato dallo Stato. Ora, nella primavera del 2003, è il papa in persona che parla ai cappellani militari per dire esattamente le stesse cose. Trentotto anni: per noi umani, una vita. Per un dio, non lo so.
(Bookmark: http://www.liberliber.it, biblioteca, lettera M, Don Milani)
Cronaca. Roma. Rinviata a giudizio per concorso in usura la Banca di Roma, nella persona di quattro dei suoi massimi dirigenti nazionali. Perizia d’ufficio disposta dal Gip.
Cronaca. Roma. Arrestati Stefano Celi detto “er Pasticca” e altri quattro quattro ultras laziali: avevano ridotto in fin di vita a sprangate un ragazzo perché era marocchino. Il giudice ha dato l’aggravante dell’odio razziale.
Cronaca. Roma. Un paio di paparazzi mandati all’ospedale dalle guardie del corpo del figlio di Gheddafi, sorpreso a divertirsi in un locale.
Cronaca. Lecce. Il corpo di un neonato nella rete di un pescatore. Il piccolo, morto da parecchi giorni, apparteneva probabilmente a qualche famiglia di emigranti in cerca di un mondo migliore.
Un insegnante, via sms:
< Leggo spesso parti della tua e-zine ai miei alunni. Sono con te. Un saluto. R.P. Vicenza>
Pasquale Sabatino wrote:
< Sono uno studente di Castellammare di Stabia, ti seguo da parecchio con la tua “Catena”, e vorrei farti una domanda: Perchè Bush ha voluto attaccare l’Iraq e non la Corea del Nord, che è un regime dittatoriale e possiede, per loro stessa ammissione, armi nucleari pronte per essere usate? perché Iraq si e Corea del Nord no? Qualcuno mi ha risposto, dicendomi che è molta più fruttuosa una guerra contro un paese duramente provato da 12 anni di embargo, dotato di armamenti a dir poco antichi, stremato dalla fame e dalla miseria, e sopratutto dotati di immensi giacimenti petroliferi, pronti per essere occupati e sfruttati. Al contrario fare una guerra a un paese come la Corea del Nord, che rispetto all’Iraq non possiede nemmeno una goccia di petrolio o altre ricchezze, e che a differenza dell’Iraq, possiede ed è pronta ad usare armi atomiche, certamente non è conveniente per gli Stati Uniti. A questo punto non mi resta che pensare, che la guerra all’Iraq è una guerra combattuta per interessi e tornaconti economici, alla faccia della libertà e della democrazia del popolo iracheno. Tu cosa ne pensi?>
Quel che ne pensa la maggior parte della gente, in Europa, nei paesi arabi e ormai suppongo anche negli Stati Uniti.
Marco wrote:
< Caro Riccardo, ti scrivo per correggere un refuso non da poco dell’ultimo numero della e-zine. La legge 185 *non* elimina la trasparenza bancaria sul commercio delle armi. Anzi fino ad oggi ha garantito tale trasparenza e ha dotato l’Italia di una delle leggi più all’avanguardia in materia. Il governo ha tentato in quest’ultimo anno di sminuire questa legge, di creare delle falle attraverso le quali far diventare “far west” il commercio di armi. Adesso, nonostante un anno e più di lotte (nel silenzio della stampa e di gran parte degli onorevoli, di destra come di sinistra), sembra ci siano riusciti. È una notizia che riempie di sconforto e di senso di sconfitta, come se non bastassero la guerra, la morte di Rachel (per favore, non italianizzare i nomi stranieri, fallo per quel Riccardo Orioles che si incazzava quando pronunciavo taild invece che tilde) e i guai di ogni giorno. Ringrazio te e chi come te ogni giorno mi assicura che non tutto è perduto, che ha senso ancora indignarsi e ha ancora senso parlare (“testa chi non parra, chiamala cucuzza”). Se mai tu dovessi passare da Bologna o da Milazzo, fatti sentire!>
Firmare. Per la ragazza che hanno condannato alla lapidazione in Nigeria. Si chiama Amina. Le hanno confermato la condanna ora. Ha solo due mesi per finire di allattare il bambino. Poi la seppelliranno fino al collo e l’ammazzeranno a sassate. Amnesty sta facendo una campagne di firme. Un’altra ragazza, Safiya, fu salvata così. Adesso però la gente pensa solo alla guerra e le firme finora sono poche. Perciò scrivi e firma subito, e fai firmare subito tutti quelli che puoi.
Bookmark: http://www.amnistiaporsafiya.org
Libro di lettura (ad uso dei piccoli siciliani, e anche neri, marrocchini, africani, brasiliani e rumeni e di tutti gli altri Paesi).
I santi della Sicilia sono: Sant’Agata, Santa Rosalia, Demetra e Kore. Sant’Agata ferma la lava. Santa Rosalia ferma il colera. Demetra fa crescere le cose. Kore è una ragazza che ride e fa venire la primavera.
Alceo
< Dolce sorriso, chioma
di viola, bellissima Saffo…>
< Ebro, il fiume più bello, tu che scendi
dentro il mare di porpora fra i Traci
allevatori di cavalli! Vengono
alle tue rive le ragazze, i fianchi
accarezzati dalle mani lievi;
e l’acqua è dolce, là, come un profumo…>
< Sento nell’aria i fiori – è primavera.
Presto, mettimi vino nel bicchiere!>
< O conchiglia del mare,
figlia di spiaggia e di schiumante onda,
come intenti ti guardano i fanciulli!>
Io m’informerei un po’, prima di sparare baggianate sulle energie alternative. Basta anche google, con un minimo di buona volontà. Ah, tra parentesi col petrolio ci si fa anche la plastica, anzi la si fa solo con quello.
entropista – come sei letterale.