Me ne stavo disteso sul letto della mia cameretta (luci basse e porta chiusa) ed ero ancora un adolescente. Lo ero quando un adolescente solitario che ascoltasse musica nella sua cameretta (luci basse e porta chiusa) non lo si accompagnava direttalmente dallo psicologo.
Era il 1981.
Il disco che stavo ascoltando non aveva scritte ed era privo della copertina, l’avevo scovato tra le cianfrusaglie di mio padre. Nel vinile venivano accostati brani di musica classica tra loro molto diversi. E uno, in particolare, m’impressionava ogni volta. Ne percepivo mistero e vertigine.
Sfogliando un libro, qualche tempo dopo, m’imbattei in un quadro pure impressionante.
Raffigurava un’isola piccola e imperiosa che affiorava da un mare dormiente e su cui troneggiavano due leoni in pietra e dei bellissimi cipressi , con una barca guidata da una figura evanescente. Appresi che era titolato “L’isola dei morti” e che era stato dipinto nel 1880 dal pittore svizzero-tedesco Arnold Bocklin.
Appresi anche ben altro, ma lo appresi negli anni: intanto l’adolescente cedeva il passo, e il vinile finiva tramortito dal luccichìo dei compact disc.
Appresi, tutto sommato, una storia incredibile.
A commissionare il quadro era stato un mercante olandese, un certo Gurlitt. Non si sa perché. Non sin sa neancxhe perchè fu titolato così. Il successo immediato lo costrinse a farne altre cinque versioni che presero, fatalmente, a circolare per la storia del Novecento.
Sigmund Freud ne ornò i muri del suo studio con svariate riproduzioni.
Lenin, a Zurigo, durante l’esilio che precedette la rivoluzione del 1917, lo appese alla parete della sua stanza da letto.
Il poeta russo Majakovskij parlò del dipinto in un suo poema futurista.
Gabriele D’Annunzio non riuscì a comprarne una copia originale, e allora nel parco del suo Vittoriale fece piantare dei cipressi secondo lo schema del quadro.
Anche Salvador Dalì lo citò sovente nei suoi quadri.
Un drammaturgo svedese dal nome complicato l’utilizzò come scenografia per la Sonata degli spettri.
Il regista americano Val Lewton ne fece appendere delle copie in tutte le stanze in cui si muovevano i personaggi di un suo film, e il successo della pellicola lo costrinse a farne subito un altro (con Boris Karloff) che ambientò in un’isola dall’aspetto inequivocabile, titolo: “L’isola della morte”.
Anche Adolf Hitler ne fece una malattia. Lo comprò a un’asta nel 1936. C’è una foto del 1939 in cui lui e Molotov e Ribbeltrop firmano il patto russo-tedesco per la spartizione della Polonia: dietro di loro si vede chiaramente il quadro. L’anno prima, visitando Firenze, Hitler si fermò ad ammirare i cipressi di piazzale Michelangelo e disse ad alta voce: “Comprendo Bocklin, finalmente”. E quando l’Armata rossa entrò nel bunker in cui Hitler si era ormai suicidato, il quadro era lì. Un generale russo lo portò a Mosca. I tedeschi l’hanno ricomprato solo di recente.
L’isola l’hanno cercata per un secolo. Lo storico Marco Dolcetta, il più grande intenditore dell’argomento, ha ricostruito tutte le ipotesi a proposito.
L’ungherese Zoltan Maygar la cercò per anni e ritenne d’averla individuata al largo della Jugoslavia: un vescovo croato gli aveva detto d’aver visto l’autore proprio da quelle parti. Ma in nessuna biografia c’è traccia dell’episodio. Il pittore circa l’origine del quadro non ha mai lasciato filtrare nulla. Si è parlato di un castello a Ischia, dell’isola greca di Pontikonissi (dove fu abbandonato Ulisse, dice la leggenda) e persino di un meteorite che affiora nel lago della foresta di Tedbourg, in Germania. Altri si limitano a ipotizzare che l’immagine coincida col cimitero pagano di Firenze, dove il pittore è sepolto con la figlia: in effetti c’è una piazza che ricorda la forma dell’isola.
Quando tornai a frugare tra le vecchie cianfrusaglie, intanto, l’adolescente era diventato uomo.
Era il 1990.
Ritrovai il disco in vinile e trovai anche la copertina che non aveva mai visto. Potei finalmente conoscere le musiche che ascoltavo sempre da fanciullo, compresa quella particolarmente densa di mistero e vertigine che tanto mi aveva impressionato: L’isola dei morti, poema sinfonico di Sergej Rachmaninov. In copertina c’era il quadro.
Semplicemente bellissimo!
sisi certo
sisi certo
sisi certo
Ma non era Ribbentrop?
Bruno,
la nuova macchianera fa cosi schifo che ormai rimane soltanto il rovistare tra i cassetti.