Ho letto attentamente le risposte al mio post della scorsa settimana, che era volutamente estremo e provocatorio. La mia intenzione era di “tastare” il polso ad una “classe” nuova, importante per numerosità e per livello di influenza, che vive sulla propria pelle tutte le incertezze di questo grande periodo di transizione che stiamo attraversando. E che credo sia ampiamente rappresentata tra i lettori di questo blog.
C’è chi definisce questa classe “neoborgesia”, con un termine che è antitesi agli attuali “borghesi” grandi e piccoli, focalizzati prevalentemente su operazioni finanziarie e pressoché disinteressati ai piani industriali, alla condizione “umana” di chi lavora, al progresso della comunità ristretta ed allargata. Io preferisco il termine “capitalisti personali”, ovvero un ossimoro che mette assieme due termini che sembrano incompatibili: capitale e persona.
“Fino ad oggi tutto ciò che riguardava il capitale rimandava allo spazio dell’azienda con il denaro come cifra del valore e alla persona si lasciava la vita privata distinta dal lavoro e dalla produzione. Oggi no. In milioni di esseri umani coincide il fare impresa e l’essere lavoratori, il padrone e l’operaio” scrive Aldo Bonomi, il sociologo a cui devo il fatto di essere rimasto a lottare in questo paese (non so se tra qualche anno gliene sarò grato o meno).
Sono capitalisti personali quei lavoratori autonomi (e precari) che senza spazio, senza capannone o azienda, stanno sul mercato utilizzando un’organizzazione elementare come la partita IVA. Co.co.co, lavoratori a progetto, lavoratori interinali ma anche dirigenti e consulenti a contratto.
Come lo sono i “lavoratori della conoscenza”, che spesso dentro e fuori le aziende sono tecnici, manager, ricercatori, designers, comunicatori, professionisti dell’intrattenimento o lavoratori dello spettacolo.
In Italia si stima che siamo 13.000.000 di persone. Non siamo pochi e votiamo e contiamo almeno come gli operai, i dipendenti pubblici, i salariati. Eppure non abbiamo alcuna rappresentanza.
Non ci rappresenta di certo un sindacato ormai anacronistico, fordista, sorpassato e difensore di privilegi, persino di quelli che fanno poco o nulla (d’altronde lo sa chi sta in azienda, il sindacalista è spesso un privilegiato che riceve lo stipendio senza lavorare un’ora).
Ma non ci rappresenta neppure Confindustria con il suo stuolo di imprenditori dai grandi nomi e dai grandi progetti, che però mi sembra limitarsi a cercare consenso prevalentemente attorno al tema capitale, ignorando quasi completamente i discorsi legati alla “persona”, intesa come concetto esteso, ovvero non solo le sue condizioni di vita e di lavoro ma anche (e soprattutto) i grandi temi sociali legati all’ambiente e allo sviluppo armonioso di tutto il Paese.
Siamo un fantasma insomma. Se non pronti alla rivoluzione, come gli spettri di Marx, speravo almeno fossimo un po’ incazzati.
Dalle risposte ricevute però mi sembra che la parola giusta sia rassegnati.
Rassegnati a non tentare la strada di affermare la propria identità e cercare di ottenere condizioni (ammortizzatori del rischio, accesso al credito, pensione) simili ai “salariati”. Rassegnati al desiderio di entrare nel gruppo dei rappresentati (e privilegiati) anche a costo di perdere passione, identità e unicità.
Milton, nel tuo post precedente parlavi di sogni, volontà e passione. tutto quello che hai avuto indietro è stato un campionario di tristezza fra rate, mutui e – come dici tu – rassegnazione.
evidentemente, quello che succede in ogni ordine di attività intellettuale e produttiva in questo Paese, succede anche su Macchianera.
guarda la politica: quando un governo “riformista” non fa altro che parlare di irpef, conti bancari e pensioni, o significa che stiamo tornando indietro di 40 anni (e allora siamo agonizzanti) o che siamo già arrivati (e allora siamo morti).
ormai sembra che in questo paese si viva solo per la casa di proprietà, l’auto di proprietà e i figli in comproprietà (con l’ex coniuge).
personalmente mi ritrovo completamente nelle tue parole. ho lasciato anch’io un contratto a tempo determinato per la P.I., con risultati che tuttavia non posso che definire almeno mediocri..
:-)
ma se qui non riuscirò a realizzare qualcosa, so che abbiamo la fortuna di essere cittadini europei e che ci sono tanti posti dove le cose andranno meglio. posso andarmene quando voglio: non sono io quello che si è crocefisso a una banca per 30 anni.
Con questo post sono un po’ più d’accordo con l’altro proprio no.
Non commento invece il commento, che dopo l’equazione lavorofisso=lobotomia, non mi mancava certo un’altra vagonata di luoghi comuni.
A ‘sto punto manca solo quello che “sai quanto costa aprire un baretto sulla spiaggia di Salvador?”…
“Fino ad oggi tutto ciò che riguardava il capitale rimandava allo spazio dell’azienda con il denaro come cifra del valore e alla persona si lasciava la vita privata distinta dal lavoro e dalla produzione. Oggi no. In milioni di esseri umani coincide il fare impresa e l’essere lavoratori, il padrone e l’operaio”
Queste parole descrivono una realtà aberrante e orribile, e sei tu, che ti senti parte di questo popolo con orgoglio, il vero lobotomizzato.
Se prima il capitale ci rubava otto ore al giorno, lasciandoci il resto della giornata per essere noi stessi ora è entrato dentro queste persone: il popolo delle partite iva ma che non ha un’azienda, gente che fa la vita del salariato ma si crede padrona. Ragionate come gli imprenditori senza avere la loro forza, e come loro vivete in funzione del capitale, del guadagno, macinando ore su ore, portandovi i pensieri a casa, facendo coincidere vita e loro.
E’ questa la vera lobotomia. L’altroieri il padrone ci chiamava schiavi, ieri dipendenti, oggi “imprenditori”..in realtà vi ha fatto metter su la partita iva per sfruttarvi meglio.
Lobotomia pura.
Per restare sullo stile “volutamente estremo e provocatorio”: rassegnati una beata fava.
Cambiare le relazioni, si deve. L’immaginario, i modelli distruttivi fatti solo per vendere, i falsi valori dell’apparenza. Diritti, giustizia, cultura cultura e cultura, politica che indirizzi l’economia nell’interesse del bene comune, e non, viceversa, interessi particolari -non raramente criminali- che determinano la politica.
In una parola: il mondo. L’orizzonte di speranza, la “società”.
Anche attraverso stabilità e sicurezza.
Tutte cose che vanno in direzione diamentralmente opposta alla retorica dell'”ognuno imprenditore di se stesso”, o di un “libero mercato” fatto a misura del monopolista, di una competizione disumana accoppiata alla sola difesa del proprio privilegiato fortino. Quasto si che è ultraconservatore.
Promuovere i diritti umani, non competere sul costo del lavoro con la Cina.
Può sembrare vuota retorica perchè assomiglia alle parole abusate da chi fa il contrario. E’ tutt’altro se sono principi che informano la vita quotidiana.
Questo di getto, altre considerazioni poi se ho tempo :)
http://notizieansia.info/home/index.php/2006/11/11/cambiare-si-ma-non-solo-il-lavoro/
C’è qualcosa che non funziona bene e che non mi quadra e, gesùcristo, sono pronto a scommettere che è nel post e non nei commenti…
Perché? Quanto costa aprire un baretto a El Salvador?
Pochissimo.
Che ci fai ancora qui ad ammazzarti di lavoro dietro a una tastiera?
Veramente sono a casa e chi si sta ammazzando di lavoro è il mio idraulico di fiducia, che però alla fine verrà pagato.
Io invece vengo pagato per non svolgere il mio lavoro. Sono uno jettatore di professione, a questo proposito vorrei divulgare una proposta di legge per l’istituzione di un contratto nazionale degli operatori della disgrazia su richiesta.
Ormai siamo in tanti e siamo costretti a stipulare il contratto base dei metalmeccanici che si applica ben poco alla nostra situazione lavorativa. Se vi ritrovate nella mia condizione vi invito tutti a scrivermi!
Jettatori di tutto il mondo unitevi!!!
PS. Pardon, non ce la faccio ad essere serio quando si trattano questi argomenti.
Sinceramente, Milton, mi fai pena!
Hai ragione Garp, hai usato la parola giusta…
E’ da folli sbattersi per cambiare regole assurde, per sè ma anche per gli altri… le cose vanno bene, anzi benissimo. E anche se non fosse così, non c’è voglia e di conseguenza nessuna possibilità di cambiare.
Torna a farti le pugnette
Concordo pienamente con l’approccio di Milton. Anche se il problema non è il fatto che io (partita IVA) sono sottorappresentato, il problema vero è che gli altri sono sovrarappresentati: i politici, democraticamente eletti da tutti (una testa un voto) devono concertare le loro azioni (leggi, provvedimenti, finanziamenti, finanziarie) con le parti sociali (sindacati, confindustria, ….). Ma chi ca…spita sono le parti sociali? Il parlamento non rappresenta già tutti i cittadini, e quindi anche tutte le parti sociali? Perchè io sono rappresentato solo dal mio voto politico mentre qualcun altro, evidentemente più importante di me, ha il diritto di essere rappresentato due volte: la prima in parlamento e la seconda dalla sua associazione di categoria???
sì, Milton, hai ragione. porcoggiuda
Forse che in altri paesi industriali esistono i co.co.co o i lavoratori a progetto? No!!!!!!!!!
Forse che uno si deve lamentare se ha una passione e la porta avanti come può? No!!!!!
Secondo te i sindacati volevano i cococo ecc? No!!!
Forse che in Italia ci si lamenta troppo e siamo autolesionisti? Si!!!!
Forse che in Italia, anche se ne avremmo bisogno, non si fa mai gruppo anche in impresa? Si!!!!!!
Forse che in altri paesi i lavoratori temporanei, internali ed esterni sono una minima parte? Si!!!!!
Lasciamo perdere la rivoluzione!!