Se non avete mai sentito la canzone di cui mi appresto a parlare, se vi ricordate solo che la canta uno con il vocione e che arrota le erre, vi chiedo soltanto qualche minuto di sospensione della realtà. Quel tanto che basta per immaginarvi macinare chilometri sull’autostrada un pomeriggio qualsiasi tra i tanti pomeriggi possibili.
Siete in macchina da ore, siete stanchi: avete bisogno di un caffè. Mettete la freccia a destra e vi imbucate quasi furtivi nella piazzola di sosta di un autogrill senza la “A” maiuscola, senza ponte sopra le carreggiate: uno di quegli autogrill che nemmeno si fa annunciare e quasi d’improvviso ti ritrovi sfrecciare sul finestrino del passeggero di destra.
Questa volta no: questa volta non te lo sei perso. Perché, appunto, è un pomeriggio qualsiasi tra i tanti pomeriggi possibili, stai vagando per i tuoi pensieri, e nemmeno ti sei accorto che stavi viaggiando a velocità di crociera sulla corsia centrale. Per questo non l’hai mancato: stavi andando piano. Non c’era niente che ti spingesse a premere sull’acceleratore e probabilmente nessuno a casa ad aspettarti. Hai tutto il tempo che vuoi. Che è poi il momento migliore per godersi un caffè.
Scendi dalla macchina e ti guardi attorno – magari con le mani sui fianchi, mentre lo spostamento d’aria del passaggio dei tir ti scombina i capelli – mentre ti sgranchisci le gambe e poi ti dirigi verso l’ingresso di questo che più di un autogrill è un bar che dà direttamente sull’autostrada. La porta cigola e ti fa strada verso un’atmosfera irreale; un silenzio – a parte il rombo dei tir – quasi insostenibile ma in fondo rassicurante: ci sono una cameriera che nemmeno ha alzato la testa quando sei entrato; ci sono pochi tavolini e qualche sgabello davanti al bancone; c’è un vecchio juke-box e, a ingentilire le finestre, delle semplici tende di nylon rosa.
Scegli di sederti su uno sgabello per un caffè veloce e davanti a te – siete divisi solo dal bancone – c’è l’unico essere umano al momento presente in questo bar, nonché l’unica cameriera. Sta mescolando della birra chiara con la Seven Up. L’hai sempre sentita dire questa cosa della birra con la gazzosa, ma non l’hai mai provata. Forse nemmeno la proverai. Ma non è questo. A colpirti è il suo sorriso perfetto, d’ordinanza, eppure forse sincero; sono i suoi denti bianchi, lucidi, puliti e in fila perfetta come in un presentat-arm. E il suo viso da ragazzina, con le fossette, simile a quelli sulle copertine dei settimanali venduti accanto alla cassa.
E’ bella, bella di quella bellezza che nessuno ha ancora scoperto, e ha i capelli biondi a tentare di celare quel velo di riconoscibile tristezza sul viso.
Che poi a te le bionde nemmeno piacciono, in genere. Ma questa… questa è diversa, questa potresti persino amarla. Se non altro perché è l’unica persona che, vista da fuori, riesce a sembrare più triste perfino di te. E chissà se invece lei ce l’ha, a casa, qualcuno che l’aspetta: un fidanzato, un marito, un amante, un gatto. Chissà se anche lei, come te, non ha niente da perdere se non il tempo.
Cerchi goffamente di darti un tono e perdi un minuto a contemplare assorto le alternative offerte da un juke-box più triste e solo e dimenticato di voi due messi assieme. Hai bisogno di musica. Ne hai bisogno se non altro per evitarti l’imbarazzo di un tentativo di conversazione generica sul tempo, sul viaggio, sulla vita e tutto quanto. Premi i tasti, una lettera e un numero che corrispondono ad una canzone lenta. Voce e chitarra. Se hai cinquant’anni, quasi sicuramente un pezzo vecchio di Dylan. Se ne hai quaranta, Simon & Garfunkel. Se ne hai trenta, Tracy Chapman o Suzanne Vega. Se ne hai venti non ci sono quasi canzoni solo voce e chitarra scritte per la tua generazione, e quindi qualcosa tipo Dido.
Il brano parte. Il volume è molto più alto di quanto ti aspettavi, e speri che lei non ti sappia leggere dentro, perché dentro ti senti incredibilmente scemo.
La osservi e non ti preoccupi che se ne accorga: sai che visto da fuori il tuo sembra solo lo sguardo sperso di uno che fissa un punto a caso. Fingi di distrarti e invece il tuo pensiero è uno solo: cosa le diresti in un altro mondo, quello in cui la potresti anche amare, quello in cui avresti il coraggio di rivolgerle la parola.
E siccome è solo un gioco, siccome sai che non riusciresti a farlo mai, ti immagini figo e al contempo tormentato come non sei mai stato, sfiorarle la mano che sta pulendo il bancone, poi stringergliela e dirle cose inutili perché tanto a lei sarebbe bastato uno sguardo per capire che sei come lei, che quella scenografia di sole basso che filtra dalle tende rosa non è vita, che forse la strada è vita, se sa portarti abbastanza lontano, se potete percorrerla in due.
E’ lì, in quel preciso momento, che il disco finisce restituendo a entrambi un silenzio imbarazzante, e che la porta fa “ding”.
Tutte le porte dei bar degli autogrill, di quelli un po’ sfigati, fanno “ding”, se ci fate caso.
Ebbene, quella porta fa “ding” perché si apre: entra una coppia e se ne esce tutta la magia di quel momento.
In questo mondo, quello in cui rimarrete soltanto due che probabilmente si stavano cercando ma si sono solo sfiorati, l’unica cosa che le chiedi prima di riprendere la strada è: “Quant’è”?
E l’ultima cosa che senti, il rumore della moneta che lasci cadere nel boccione di vetro delle mance.
Per la cronaca – e so di non essere stato affatto enciclopedico nella presentazione: alla fine non si riesce a parlare in modo oggettivo delle cose che ami molto – la canzone si chiama “Autogrill” ed è una delle più belle mai scritte da Francesco Guccini, peraltro ricca di immagini poetiche e azzardi metrici perfettamente riusciti.
Da qui è stato difficile arrivare. Perchè “tamburellava” è già lungo, “tam-bu-rel-la-va”, e sono cinque sillabe, allora… “pic-chiet-ta-va” sono quattro e intanto ho già risparmiato una sillaba…
Tutto ciò per dire che credo di aver trovato il celebre “un indù in latta di una scatola di tè” di Gucciniana memoria di cui parlava Luca Sofri in un suo articolo per Internazionale.
Dovrebbe essere questo.
Chissà perchè ma l’Indù mi era sempre sfuggito ascoltando autogrill. Visto comunque il tuo stato d’animo in questi giorni mi aspetto domani “canzone per un’amica”.
Comunque per me nei momenti malinconici “keaton” resta insuperabile.
In Austria (e dintorni) si chiama radler, birra chiara + gazzosa (o limonata). Panaché in Francia. Molto dissetante.
Meravigliosa canzone…
velocità di crociata ? Ma non era di crociera ?
Vecchio “Riccardo Cuor Di Leone” che non sei altro….
(in Austria, Germania , perlomeno anni , andava molto : birra -limonata)
olà
la più bella di guccini.
E’ una battuta (non voglio rovinare la magia del post) ma forse la ragazza, cameriera dell’Autogrill, all’avvio della canzone di Guccini avrà pensato un: “oddio, un altro che mette su quella stramaledetta “Autogrill” !! “….:)
come non hai mai bevuto la birra con la gazzosa??!!?? E’ uno scandalo! Mio padre mi ci nutriva
Le occasioni perdute sono stati dell’anima, sono impossibità da superare, ostacoli da rimuovere, radici parassite da estirpare, spine da sfilare. C’è sempre una possibilità, niente è perduto per sempre: tornare anche dopo 5 anni, dopo che tutto è più certo e più chiaro, ed il desiderio si è fatto largo tra le insenature ormai prosciugate dal bisogno, e non hai più dubbi e paure e ti spinge un’incontenibile e cristallina forza. Tornare e dire a quella cameriera: “Scusa, mi prenderai per pazzo, ma non potevo resistere oltre senza dirti che ho sempre pensato a te in questi cinque anni, da quando ti ho vista la prima ed unica volta, qui. Ti posso venire a prendere stasera, alla fine del lavoro. Non mi dire di no, ti prego!”
P.s.: potrebbe anche capitare, come in “Com’era verde la mia valle”, che lei è molto più sfatta, i denti ormai sono scuriti dalle MS, poggiate lì sulla mensola, e scoprire che ha fatto tre bambini in cinque anni. Ma usciresti, comunque, da lì sempre felice e contento per aver fatto ciò che andava fatto. Dalla porta dalla quale eri entrato con il sogno da non perdere ripasseresti con la certezza che non ti capiterà un’altra volta di lasciare andare un’occasione così. Guarderesti il cielo luminoso e azzurro d’estate facendo un sorriso a te stesso ed alla vita.
Non starò più a cercare,
parole che non trovo,
per dirti cose vecchie,
con il vestito nuovo.
Molto meglio la canzone del tuo post, e poi se vai piano in corsia centrale rischi multa e punti.
Se gli attuali ventenni non hanno canzoni con solo chitarra e voce, deve essere veramente triste avere vent’anni oggi.
“Bella, d’ una sua bellezza acerba, bionda senza averne l’ aria, quasi triste, come i fiori e l’ erba di scarpata ferroviaria”.
E’ una delle frasi più belle mai scritte.
Si parlava ieri del “Post Perfetto”. Ecco: questo è quantomeno il “Post Ideale” per cullare la nuova stagione.
Mi permetto di divagare, aggiungendo un pezzo di Farewell che se la batte quanto a bellezza con la frase di Autogrill segnalata qui sopra da Andrea.
“E sorridevi e sapevi sorridere / coi tuoi vent’anni portati così, / come si porta un maglione sformato / su un paio di jeans; / come si sente la voglia di vivere / che scoppia un giorno e non spieghi il perché: / un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos’è.”
…e come non potevo partecipare ad un post così..per una nata di marzo come me…nata balzana…ventomare eppure io credo che gli istanti difficilmente riesci a riacchiapparli, a volte neppure il giorno dopo…come dice il padre di questa canzone, “bisogna saper scegliere in tempo…non arrivarci per contrarietà…” ma questa era eskimo, ed è un’altra storia…ma come tutte le storie del nostro, così maleddettamente belle…
Giulia
Se citiamo frasi indimenticabili delle canzoni di Guccini e’ molto bella una strofa di Incontro:
“la tristezza poi ci avvolse come miele
per il tempo scivolato su noi due.”
Restando in tema di occasioni perdute:
“Non passo notti disperate, su quel che ho fatto o quel che ho avuto;
le cose andate sono andate ed ho per unico rimorso le occasioni che ho perduto.”
Buona giornata!
Autogrill è un pezzo bellissimo, ricordo ancora lo stupore provato quando la sentii la prima volta (e poi una seconda, una terza, e così via).
Colonna sonora di una maturità che sfuggiva sempre, e che forse è ancora di là da venire.
Anche io ricordo Eskimo, la ragazza di allora che le tette al vento non le metteva, e io che sapevo (per rivelazione gucciniana) che lo avrebbe fatto cinque o dieci anni dopo, ma con un altro.
La “mia” canzone è, e resta, “Vedi Cara”.
E’ difficile spiegare, è difficile capire… se non hai capito già.
Guccini è un punto di riferimento,non solo un cantautore.Ho cinquant’anni,da35mi dà splendide emozioni ma la cosa più bella è che ne dà a mio figlio che ne ha23.Bisogna saper scegliere il tempo,non arrivarci per contrarietà.Ciao ragazzi.
“Non so come cominciare
non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia non lasciamo che trabocchi: vieni,andiamo, andiamo via”
“Ma lei arrivò affrettata, danzando nella rosa di un abito di percalle che le fasciava i fianchi..”
“E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent’anni portati così…”
il maestrone è meravioglioso!
Se ne hai venti, ci sono i Belle and Sebastian. Bel post. Giuseppe
giulia: “amor c’ha nullo amato amar perdona”.
se esiste una reale possibilità di amore, questa possibilità non muore mai. la difficoltà, semmai, è dare voce a questa potenzialità tra i rumori di fondo che la sovrastano.
“scegliere il tempo” vuol dire trovare il momento nel quale le fasi dei rumori siano tali che le interferenze si annullino tra loro e lascino sentire forte il messaggio della consonanza.
ma, se io ho avuto modo di sentire il messaggio, torno da te e te lo trasmetto con la forza potente della verità, anche dopo 5 anni, l’emozione è inalterata.
o almeno si spera. :)
Bella come solo l’averla ascoltata la prima volta con chi avresti rimpianto per sempre.
Bel post, altroché… peccato che ormai rappresenti un caso raro in un blog sempre più noioso.
Bellissimo post e splendida canzone….
Ventomare e Michele grazie…incredibile ascolto eskimo da 18 anni, ovvero da quando a dieci anni misi su lp di “fra la via emilia e il west” e lo registrai in cassetta…una cassetta che mi avrebbe seguita per parecchio tempo suonata da uno stereo scassato quanto la panda che lo possedeva…non ho mai comprato il cd perchè adoro i salti della puntina e i rumori di fondo, del tempo…insomma ho storpiato una frase di una delle canzoni che più ho amato…
la panda c’è ancora…lo stereo me l’hanno rubato mille volte e Guccini resiste…
un saluto
Giulia
chi mi regala l’abito di percalle? chi porta via questa malinconia?
io seduta dietro al vetro di un bar impersonale.. un po’ di rosso routine dentro al bicchiere..
mi sento come venezia..
Macchia! Il post è fantastico, tuttavia….
maledizione! l’omino con la spada raffigurato sulla scatola di latte pare pare più un sihk che un indù, almeno a giudicare dal turbante!!!
Io ho sempre immaginato che nell’autogrill con Guccini ci fosse anche Bonvi. E che mentre il Guccio filosofeggiava e fantasticava, l’altro rimorchiava (per usare un termine civile) la ragazza…
gran bel post, a ogni modo.
ciao Gianluca ho traslocato,non c’è più la chioccia…
Siete una ridda di melanconici e gozzaniani gaglioffi. Ben altro autogrill avrebbe dovuto empire i vostri tremebondi e pusillanimi cuori, quello cantato dagli 883 nell’inno alla vita “Rotta per casa di Dio”.
molto gustosa la parte sulla scelta della canzone. comunque anche noi 20enni le abbiamo le canzoni chitarra e voce. ma chissà perchè io che di anni ne ho 25 continuo ad ascoltare simon & garfunkel.
sul fatto che le emozioni rimangano inalterate nel tempo… non è sempre vero, il tempo cristallizza, ma il cervello edulcora. è un meccanismo di difesa…
Radler: a Belluno e dintorni 2/3 di birra e 1/3 di lemonsoda. Per quando il sole ti spacca in 4…..
ma lo sai quale è la cosa più bella?
che ora grazie all’euro puoi lasciare il nichel di mancia.
certo se io fossi la cameriere i 5 centesimi te li tirerei appresso
bhe…bel post…forse pero’ hai esagerato con il presentare questo testo…hai reso mistica la donna quando era una “biona senza averne l’aria” …prende il resto,lascia il nikel…tutta una tattica secondo me per asepttare che la dolce visione che in qul momento era intenta a conteggiare i soldi gli concedesse un misero sguardo prima di un totale addio…
La bravura di chi ha scritto questo post mi lascia a bocca aperta.
É vero che a scrivere blog non si fanno rivoluzioni, ma si possa far poesia.