E’ bello fare l’educatore professionale con ragazzi diversamente abili mentali e residenziali al Villaggio “E. Litta”. E’ bello quanto fare vignette e non ho intenzione né di lasciare il lavoro di educatore né la passione e la “necessità” delle vignette, dell’espressione grafica e scultorea. Sono per me attività complementari, e la vita quotidiana con la "differenza" e la "difficoltà supplementare" ha continuo bisogno di creatività nella relazione e nella quotidianità coi ragazzi (autori satirici veri, "duri e puri"), che ci costringono beneficamente all’attenzione a quel punto di vista “altro”, essenziale per “vedere” e ribaltare l’immagine stereotipata e stanca del nostro reale, al fine di ri-conoscere meglio la Realtà. Come una buona vignetta, parlano chiaro svelando le nudità dei re. E poi ti costringono al confronto con tutta la nostra umanità e disumanità. E colgono di sorpresa.
Lele ci ha spesso sorpreso, coi suoi slanci di affettività corporea e con le sue frasi ironiche, gettate a sorprenderti tra i suoi mille momenti iperattivi e le sue ossessive richieste. Sulla stanchezza prevaleva allora il nostro sorriso grato e commosso e la comprensione di una vera relazione, che svelava l’altro modo più Umano di guardare la vita. Lele, nonostante fosse molto spesso “incontenibile” e stressante, era un ragazzo molto amato, proprio per questo suo forte carattere, capace di scegliere e di instaurare relazioni durature e beneficamente selettive. E ci ha di nuovo sorpreso, parlando ancora di umanità alla nostra umanità. E ha parlato della morte. L’altra mattina, quando un’operatrice è andata a svegliarlo, ha continuato a dormire. Era morto nel sonno, a 17 anni. Il dolore immenso ha svegliato i ricordi e gli affetti, e le riflessioni sul senso del nostro operare lavorativo, finanche sulla vita.
Le frustrazioni dovute a pretese immortali, proprie della nostra società, e salvifiche, di certe malinterpretate professioni d’aiuto, hanno lasciato il posto alle svelate “contraddizioni”, anzi, per meglio dire, “condizioni” umane. Alla fine conta solo la Relazione e dividere pezzi di strada assieme. Nessuno salva nessuno, ci si “salva” solo insieme. La partenza di Lele ha drammaticamente colto nel sonno anche noi, risvegliandoci però, almeno per alcuni preziosi e duraturi momenti, alla vita.
P.s. ieri Roberto, un collega, mi diceva: – Un’immagine mi viene alla mente, ripresa da una delle tante situazioni in cui Lele c’ha fatto ridere nella sua semplicità ed immediatezza. Ricordo un giorno in cui sua mamma era venuta a trovarlo ed era sdraiata sul muretto. Allora Lele disse: – cori, cori, chiama l’ambulanza che mamma è morta!!! – E lei per tutta risposta aveva alzato in maniera plateale le corna…. Ecco, allora mi viene in mente questa immagine: noi tutti che gridiamo: – cori, cori, Lele è morto, oddio!!! – e Lele, mentre se ne va di spalle col pallone sottobraccio, ci mostra le corna… Non so se è poetica, però verrebbe una bella vignetta. – Accontentato, caro Roberto. Con un forte groppo in gola.
Bellissimo post, bellissima missione la tua. Anche se certamente non facile.
da educatore so cosa significhi!
esperienze forti…grazie per questo post!
Ciao Mauro e ciao anche a te, ragazzo che non conoscevo. Non so dire nulla di più
Già, fare l’educatore, o comunque vivere delle esperienze in quei contesti insegnano tante cose. Io c’ho fatto il servizio civile in una comunità alloggio e dopo ho continuato ad andarci per un anno da volontario. Io, queste cose, le metterei obbligatorie per legge, altro che la ex leva militare. tutti, almeno una volta all’anno, ad aiutare nei centri per diversamente abili. Son convinto che la società cambierebbe, perchè cambieremmo noi…
Grazie a tutti. Ho già scritto troppo, ma una cosa mi preme “emendare”. Capisco lo spirito con cui hai scritto “missione” cara phoebe, ma il lavoro di educatore professionale è per l’appunto un lavoro. Come tutte le professioni, per essere svolto al meglio, ha certamente bisogno di grandi motivazioni e di “predisposizioni” ma non meno di studio, aggiornamento e professionalità. Lo dico perché (e non è questo il tuo caso phoebe eh ;-)) quando dico che lavoro fo, la prima reazione dell’interlocutore è quella di un immediato atteggiamento contrito e serio, che poi in definitiva è: – che bravo, che bbuono, santosubito… – il che mi irrita assai per ovvi motivi.
Peraltro, alcune volte la traduzione potrebbe essere: – fortuna ci siete voi che così mi fate dormire tranquillo… – Non so se mi sono capito. E faccio mia la riflessione finale di Antonio.
Mauro