Vanessa era una stordita che te la menava con la cultura delle droghe, ma che in definitiva le prendeva perchè non ce la faceva. Non ce la faceva in generale: riccastra, viziata, demotivata, la sera non reggeva se stessa e doveva stemperarsi, doveva affumicarsi perchè il macigno della realtà sennò la spiaccicava.
Era sempre a caccia di nuove esperienze tranne una: essere lucida. Era sempre storta, perdeva le cose, rompeva tutto, prendeva pscofarmaci, straparlava della sua depressione, incolpava il nostro modello di sviluppo. Ogni tanto pippava cocaina assieme a mezza Milano e però non le piaceva tanto perchè diceva che la cocaina era una droga di destra che esaltava il delirio di onnipotenza, e che a lungo andare portava al nazismo.
Parlare con Vanessa spesso portava al nazismo me, però la sera che l’avevo conosciuta mi aveva invitato a vederci subito (l’indomani) e avevo creduto che puntasse immediatamente al letto. Ma era il contrario. Era così stordita che piuttosto di restare sola un pomeriggio – non lavorava, cioè non era chiaro – era disposta ad uscire persino con me. Naturalmente era giovane e carina, sennò chi se ne frega.
Ci demmo appuntamento davanti all’Auditorium, voleva mostrarmi un posto che lei aveva già visto ma che uno come me doveva assolutamente conoscere.
Era un negozio che si chiamava Lounge smartshop e che in pratica vendeva droga legale e prodotti vari. Loro li chiamavano sostanze naturali alternative o stimolanti sessuali o smartdrug o semplicemente erbe, ma è come se il sale l’avessero chiamato insaporitore per cibi.
C’era un cartello che vietava l’ingresso ai minorenni e delle pareti viola con dei disegni psichedelici. Alcuni prodotti erano appoggiati su degli scaffali, altri andavano a prenderli sul retro. C’erano anche dei libri: Vere allucinazioni di Terence McKenna (“edizione riveduta, in trip con i funghi”) e poi Il testo drogato, letteratura e droga tra Ottocento e Novecento e ancora i demenziali Campa cavallo che l’erba cresce e L’erba di Carlo Erba.
Per Vanessa era il paese dei balocchi. C’era roba da mangiare, cosmetici, tutto a base di droghe varie, aggeggi assurdi per fumare e rollare, semi di piante irripetibili.
Lei disse «Guarda, c’è la Damiana»
Chi è la Damiana?
«E’ un’erba. Agisce sui genitali femminili»
Costa molto?
«Non lo so, la usavano i Maya. Cambia le percezioni, devi fare un infuso con un’alcolico e poi fa eccitare le donne»
Ma sei sicura? Ma è legale questa roba?
«Dipende. Le vendono anche nelle erboristerie e nelle farmacie, ma qui l’hanno combinate in un certo modo. Guarda, c’è l’Absinth»
Eh?
«L’assenzio»
Era una bottiglia giallognola con scritto La fata verde.
Ma non è illegale?
«Così no, non fa niente. Devi aggiungerci il Laudano, che è allucinogeno»
E il laudano dove lo trovo?
«In molte farmacie»
Ma è legale?
«No»
E allora?
«Lo trovi lo stesso, se ti sbatti. Trovi tutto. Su internet puoi comprare i semi di marijuana e il peyote»
C’era anche una specie di ecstasy vegetale che si chiamava Stargate.
Ma è legale?
«E’ classificato come integratore alimentare. Non devi prenderlo col Prozac e se sei incinta»
– Starò attento.
In posizione importante c’era una bombola con un boccaglio.
Cos’è questo?
«Ossigeno»
E che ci fai con l’ossigeno?
«Produce un leggero svarione»
Un posto di deficienti.
Ma la stordita pareva scontenta, muoveva la testa come a cercare qualcosa.
Ma cosa cerchi?
«Vedo i Bong ma non vedo la divinorum. Scusa un attimo»
Lei vedeva i Bong.
Parlicchiò con un tipo coi baffetti, sinchè lui andò a prenderle qualcosa sul retro.
«Fatto»
Cos’è?
«Salvia messicana, figata assoluta. La vendono in due concentrazioni diverse, ho preso quella forte »
Ma cos’è? Cosa fa?
«E’ un allucinogeno. Poi ce lo spariamo»
Un cazzo, io ho paura. Mi brucia i neuroni.
«Ma figurati, è roba vegetale, non fa niente, i messicani la usano da tremila anni»
A me i messicani mi stanno sui coglioni. Io non la prendo.
(Poi però te la scopi. Di sicuro).
«Dopo vediamo. Adesso però debbiamo prendere il Bong»
Stavo per dirlo.
Su un bancone c’erano degli alambicchi di plexiglass dalla vaga forma fallica. Quello che prese lei costava 94 euro.
«Devi metterci dentro dell’acqua e infilare un po’ di salvia nell’imboccatura, poi accendere e aspirare tenendoti dentro il fumo il più possibile»
E poi?
«Figata»
Ma tu l’hai provato?
«No»
Una deficiente.
Alla cassa.
«Hai spiccioli? Moneta?»
Come spiccioli? Sono 206 euro.
«Faccio io con la carta»
Cafone. Poi non te la scopi. Impara da Saverio.
No, ferma.
Pagai.
Era quasi ora di cena e andammo a casa sua.
Mi parcheggiò davanti a una libreria che sembrava un supermarket della spiritualità. Poi andò in bagno. Sbirciai e c’erano dei volumi di Allen Ginsberg e Jack Kerouak con dei foglietti per tenere il segno. Sul muro e c’erano delle cose fissate con delle puntine, una foto di Shirley MacLaine, un disegno con un arcobaleno, un altro disegno con un triangolo da cui spuntava un sole semicircolare.
Suonò il campanello e lei andò ad aprire, baci e abbracci, un tizio alto e nervoso che aveva l’accento romano e che – mi disse – si chiamava Gianni e faceva l’imprenditore a Roma.
(Che minchia vuole questo).
Disse che aveva poco tempo, che doveva andare a casa a cucinare per i figli. Ma prima voleva provare l’allucinogeno.
Lei ci fece sedere sopra un tappeto e poi accese un incenso e poi si avvicinò a uno stereo giallo da cui cominciò a fluire un mantra, una cosa da terapia per la rigenerazione del sistema nervoso.
Gianni disse «Che cos’è quel cazzone di plastica?»
Incolto. E’ il Bong.
Nessuno in realtà ci capiva una cippa, sta di fatto che fumammo la salvia dentro al coso.
Zitti per tre o quattro minuti.
Il sottofondo del mantra.
(Perchè sono qui?)
Poi fu tutto un loop di frasi a rotazione.
«A me non mi fa niente»
«Aspetta… io…».
«Non abbiamo tirato bene».
«Ci vuole un po’»
«A me non mi fa niente»
«Aspetta… io… »
«Non abbiamo tirato bene»
«Ci vuole un po’»
Il sottofondo del mantra.
Il problema è che il primo che avesse detto di avere le allucinazioni sarebbe parso un cretino. A spezzare l’imbarazzo fu ovviamente Vanessa.
«Mi sento trascinata da una strana forza»
«A me non mi fa niente»
«Ci vuole un po’»
«Non abbiamo tirato bene»
Io ero completamente rincoglionito, ma non volevo dirlo. L’imprenditore fece uno strano discorso su Maupassant per approdare infine a un amico di suo fratello che era stato in Colombia e che non voleva tornare.
Il sottofondo del mantra.
«A me non mi fa niente»
«Secondo me non abbiamo tirato bene»
«Aspetta»
«Mi sento trascinata da una strana forza»
Se abbassavo le palpebre, le percezioni luminose che in genere rimangono impresse sulla rètina cominciavano a plasmarsi e a diventare delle righe orizzontali e verticali, ma se aprivo gli occhi spariva tutto. Se li richiudevo, una specie di forza centrifuga mi spingeva verso l’esterno, ma aprivo gli occhi e tutto era come prima.
Il sottofondo del mantra, sicuramente il più lungo della storia.
«A me non mi fa niente»
«Forse dovremmo stimolare l’immaginazione, vedere un film»
L’imprenditore prese una videocassetta a caso dalla libreria, ma era inspiegabilmente I cento gol più belli del calcio mondiale.
«A me non mi fa niente»
«E impìccati»
«E’ una porcheria, non mi fa niente»
«E scolati una bottiglia di vodka»
L’imprenditore si era stufato e si alzò più nervoso di com’era entrato, disse che era tardi e che doveva fare la cena ai figli.
«E comunque secondo me quella roba fa male»
(E vattene.)
Quattro balle e poi sparì.
Il sottofondo del mantra.
L’atmosfera migliorò di colpo. Io e Vanessa ci guardammo per un attimo, e fu un buon attimo. Lei si alzò per andare ancora in bagno.
***
Sei andata in bagno, forse a lavarti, perchè era ovvio che avremmo dovuto scopare.
Poi sei tornata e mi hai sorriso e anch’io ti ho sorriso, ti chiesto che libri avevi sul tavolino e allora ti sei seduta tutta compiaciuta per darmi una risposta più lunga del previsto. Non mi ricordo i titoli dei volumi, però mi ricordo che erano roba di tali Edmund Husserl e Oswald Spengler, due studiosi esistenzialisti che avevano profetizzato la fine della civiltà occidentale. Poi mi hai fatto tutto un discorso sulle nevrosi e le psicosi e il cancro e i suicidi e l’ingiustizia sociale e la distruzione della natura: io intanto sfogliavo i libri e fingevo di soffermarmi su qualche passaggio e ogni tanto tornavo indietro di una pagina per reggere meglio la scena.
Poi finalmente mi hai portato in camera da letto e mi hai mostrato il tuo cuscino di filo di rame che serviva a schermare il sonno dagli influssi dei campi elettromagnetici. Poi hai cambiato musica ed era una musica ipnotica tipo Battiato ma senza neppure Battiato. Tu intanto mi parlavi di ponti fra presente e futuro e di armonia tra i popoli.
Io, ormai, da almeno venti minuti, desideravo la tua morte fisica. Ma non mi andava di darlo a vedere. Tu hai cominciato ad accorgerti che qualcosa non andava quando ti ho chiesto chi fosse un tizio che troneggiava incorniciato sulla copertina di un vecchio trentatré giri appoggiato per terra. Mi hai detto che era un vecchio disco dei Beatles e che il tizio era Aleister Crowley. Io ti ho chiesto chi minchia fosse Aleister Crowley e tu hai fatto una faccia strana come a dire che era impossibile che non lo sapessi.
Mi hai spiegato che era un occultista inglese che aveva fondato di una setta segreta e che aveva spinto un gruppo di sue devote ammiratrici ad avere un coito con dei caproni.
Io allora ho sospirato, ti ho guardato negli occhi e ti ho detto: senti, ma vaffanculo.
Ti ho spiegato che la fase da bar e da giochini elettronici e da motorini col sellone lungo l’avevo esaurita da un pezzo, e che la mia autostima non dipendeva dalla media di coiti annuali, e che non avevo degli amici che in serata mi aspettavano attorno a un biliardo perché raccontassi che me n’ero fatta un’altra.
Il sottofondo di Battiato ma senza neppure Battiato.
***
(rielaborazione di due articoli, miei, pubblicati non ricordo quando. Se li avevate già letti è un problema vostro)
Un’altra deficiente
Verso le otto di sera sento il cellulare che squilla. Lo prendo con fatica: con l’altra mano sto pompando benzina nel serbatoio, all’area di servizio. C’è Sergio a parlare ad un convegno. Sergio Lepri, direttore di un giornale
Un’altra deficiente
rielaborazione di due post, miei, pubblicati chissà quando. Se li avevate già letti, bè, l’ha fatto anche lui
“In sogno ho raggiunto tutti gli scopi. Talvolta mi sono anche risvegliato, ma cosa importa? Quanti Cesari sono stato! E i gloriosi, che meschini! Cesare, salvato dalla morte dalla generosità di un pirata, lo fa crocifiggere appena l’ha catturato dopo un’accurata ricerca. Napoleone fa il suo testamento a Sant’Elena e lascia un’eredità a un facinoroso che aveva tentato di assassinare Wellington. Oh, grandezze, pari alla grandezza d’animo della dirimpettaia strabica! Oh, grandi uomini della cuoca di un altro mondo! Quanti Cesari sono stato e sogno ancora di essere!”
Fernandinho Pessoa(citazione dedicata a tutti coloro che lavorano con le parole facendo tripli salti mortali)
E se lei l’avesse fatto appositamente?
ooops. leggo ora tutto il casino suscitato da questo post di facci.
o neri che sei nei cieli, cancella il mio commento precedente, nonché questo.
grazie
….e la vanessa ci credeva nella
reincar-nazi-one…..????un pò lo sono(vanèssa..)mery
veramente un bel post.
mi hai regalato 10 minuti di puro divertimento.
ma l’indirizzo del tuo blog?