(COMM. STRAGI, II 137-140; NUMERAZIONE TEMATICA 12)
L’elezione di Medici alla Montedison è un altro caso eclatante di compromesso, risolto all’ultimo momento, e contro tutte le previsioni a vantaggio del Presidente del Consiglio. Sono le cose che sa fare Andreotti con immensa furberia, la quale però aggrava sempre di più la crisi di identità morale e politica di cui soffre acutamente la D.C.. Sia intanto chiaro che i problemi della Montedison non sono quelli degli uomini ad essa preposti, anche se essi pure hanno la loro importanza, ma quelli oggettivi di una struttura che non si può riprendere da sola ed ha bisogno, per arrivarci, pressoché inevitabilmente di una struttura pubblica. Chiusa l’epoca Cefis si fronteggiavano due nomi, Modugno, sostenuto dalla parte pubblica del sindacato, Grandi, sostenuto dai privati. Il braccio di ferro è continuato a lungo, perché anche i Cuccia e i Cappon erano duri nelle loro posizioni per non dire poi di Pesenti. Medugno era non solo il candidato dei pubblici per la sua provenienza Iri, ma il candidato del Governo.
Dopo però la resistenza dei privati, di cui dianzi si diceva, il fronte governativo cominciò ad incrinarsi con la defezione di Donat Cattin e Zaccagnini ed il sempre più cauto silenzio del Presidente Andreotti, dal quale dovevano desumersi le sue crescenti perplessità. Fu formulata una rosa di comodo, i cui nomi di maggior spicco erano Caglioti e Medici, cercando di riportare all’unità i contendenti. Io credo che decisivo in favore di Cefis sia stato Grandi, nella speranza (o illusione) di avere l’assoluto predominio della organizzazione. Forse Medici gli parve l’uomo adatto, mentre probabilmente era meno manipolabile che non in apparenza. Comunque Medici andava bene ad Andreotti che lo aveva avuto Ministro degli Esteri e la scelta, all’insaputa di tutti noi, finì per cadere su di lui. Il rapido rompersi dell’accordo è poi noto a tutti. Ma io non sono informato da qui di tutta la fase finale dell’operazione. Quanto agli equilibri di potere, bisogna dire che vi è un consistente pacchetto di azioni pubbliche che stanno in disparte e parimenti azioni Sir nel settore privato. Si fa come se esse non ci fossero e così la proprietà rimane a metà tra pubblico e privato. Questa però è una finzione che interessa il Governo per l’impegno che ha assunto e riassunto (Comunisti compresi) di non allargare l’area dell’impresa pubblica. Ma lo squilibrio ha un altro significato e si riferisce alla ormai irrimediabile impossibilità di risanare l’azienda senza l’apporto di denaro nuovo, il quale non può essere che denaro pubblico. Avendo i prezzi amministrati ed il cocente tema della Montefibre (e affini), per le quali occorreranno anni di attesa a livello, non italiano, ma europeo, la Montedison non può essere risanata da nessun presidente efficiente ed abile, ma solo da denaro fresco, comunque lo si chiami. Separare l’efficiente dall’inefficiente ha poi questo stesso significato. Uomini efficienti erano già stati distribuiti da Cefis per tutti i settori.
Il gruppo è potenzialmente ben guidato, ma non può fare miracoli di fronte alla gravità della situazione che dura dalla qualificatissima presidenza Merzagora, senza fare un passo innanzi. E qui vorrei fare una piccola chiosa in materia di trentennio e di modi di far marcire i problemi. Tutti questi temi gravissimi della Montecatini, alla mia occasionale presenza, sono stati trattati in questo periodo. Vi è stato il dibattito sulla legge di conversione industriale, sulla quale non oso prendere posizione. Anche in quel caso si faceva riferimento alla Montedison. A torto? A ragione? Non so. Quello che mi colpisce è che da questa problematica non sia venuto niente, che per la Montedison, salvo qualche intervento di emergenza, non si sia fatto nulla. E si tratta di una delle più grosse, e in parte sane, realtà economiche italiane. E penso che, pur non risparmiando nessuno, non possa non essere non rilevata questa inconcludenza del governo monocolore democristiano, che lascia i problemi al punto in cui li trova con danno ulteriore del Paese. Cefis è del tutto fuori, dimissionario da tutto.