“Je suis Charlie” spiegato chi era assente

“Essere Charlie” non significava “Wow, che fighi questi di Charlie Hebdo: hai visto come gliele cantano al Maometto?”. Essere Charlie significava essere a favore della libertà di espressione. Anche quando quella libertà un po’ ci offende. Anche quando ci fa schifo. Anche quando fa male. Perché, sul piano della bilancia, è più importante che tu possa dire quello che ti pare (anche con volgarità, con poco stile, con poco tatto), piuttosto che farti tacere con la forza perché io mi offendo. Quando dici: “C’è un limite a tutto”, la pensi come i terroristi. Quando dici “Vedi cosa vuol dire troppa libertà?”, la pensi come i terroristi. Quando dici: “E’ violenza anche questa”, la pensi come i terroristi. Invece è salvo, sacrosanto e perfino garantito dalla legge il diritto di dire che ti fa schifo. Ok? La satira però la spieghiamo un’altra volta, perché qui siamo ancora alle basi.

(Visited 2.554 times, 1 visits today)

4 Commenti

  1. Ammesso che è difficile stabilire un limite preciso alla libertà di espressione, ma è anche vero che bisogna mettere dei paletti e in certi casi usare il buon senso e non andarsela a cercare, con inevitabili conseguenze, causa la mancata ragionevolezza, e grazie alla presunta libertà di pensiero che non ha saputo individuare dove è meglio porre dei limiti esulando completamente da ogni civile e umano decoro. Faccio un es. Se qualcuno insistentemente in giro sparge la voce che tua moglie è una puttana e, tu un pedofilo, e i tuoi figli si prostituiscano, io penso che ti darebbe fastidio e non poco, e non faresti tranquillamente spallucce poiché, probabilmente tutto ciò non coincide con la realtà. Ora può darsi che alla fine la cosa non ti faccia tanto male, essendo circoncisa nel tuo paesino (o forse proprio per questo motivo ci soffri maggiormente …), anche se ha infangato, diffamato la tua reputazione, l’onore della tua famiglia; e se sei un cristiano, la fede ti può aiutare, ti lasci crocifiggere e la cosa finisce lì. Perché in fondo è solo una povera famiglia vittima del male, di tale presunta libertà di espressione, che non può influire più di tanto in un esito mediatico degno di attenzione, anche se a forza ti hanno infilato la testa nel fango (eufemismo) … e non so’o alla fine come reagiresti tu … Nel caso di questa rivista satirica la faccenda però è molto diversa: sta infangando indiscriminatamente un paese intero, o una religione (che possiamo condividere o no, ma proprio perché essendo un tema delicato, è meglio non gettare legna al fuoco), come nella fattispecie del tragico avvenimento precedente; salvo che, e ne ha tutta l’aria, lo scopo non sia proprio quello di provocare, e Dio sa per quali torbidi e oscuri motivi, interessi continuino in questa crociata di diffamazione in nome di un Dio falso … “la libertà di espressione”! Libertà di espressione faziosa, e che mette tutto nel calderone, “anche quella sua parte sana”, sacrificando, e reso a puro alibi, come capro espiatorio di coscienze malate perverse, improvvide di peccatori mediatici incalliti.

  2. Peccatori mediatici incalliti. Credo che potrebbe essere il nuovo sottotitolo di Charlie Hebdo. A loro piacerebbe di sicuro, grazie per il contributo.

  3. Quindi non va bene essere a favore della libertà d’espressione, ma sentirsi un po’ offesi per quella che qualcuno ritiene una vignetta “mal riuscita”? (eufemismo).
    Essere a favore della libertà d’espressione significa farsi piacere qualsiasi espressione?
    Chi si è espresso lo ha fatto senza che nessun italiano sia andato lì a sparargli, ma c’è anche a chi quella/e vignetta/e non è piaciuta. Cosa c’è di male?!

  4. Nessun italiano è andato lì a sparargli, però l’espressione “andarsela a cercare” mi preoccupa e ci vedo molto di male. La usò anche Andreotti nei confronti di Ambrosoli.

1 Trackback / Pingback

  1. “Je suis Charlie” spiegato chi era assente – My Blog

I commenti sono bloccati.