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Il romanzo è Mara come me – Omicidio in comunità, di cui io ho parlato qui e qui ma altri hanno parlato qui e qui. Lui stesso ne parla in quest’intervista a Radio Radicale.
E questo post è la segnalazione di un coming out senza rete.
L’autore continua:
Io l’ho saputo in anteprima per email, che Salvia aveva preso questa decisione: “Ormai non penso più a proteggermi, è un paese davvero allo sfacelo. Mi sento molto stanco e avvilito, triste.”
Il 23 gennaio lo scrittore ed editore Roberto Parpaglioni invia al Manifesto questa lettera:
Uno, il più recente, lo abbiamo scoperto sulle pagine di questo giornale, sabato 22 gennaio.
L’autore del romanzo Mara come me, Marco Salvia, usciva allo scoperto, dichiarando, al contrario di come solitamente avviene, che nulla di quanto raccontato è “puramente casuale”. Di più: il personaggio lì chiamato “don Luigi”, figura centrale di tutta l’opera, indicato dall’io narrante come il più incapace e scellerato degli educatori, sarebbe “esattamente” don Gelmini. “Il Manifesto” ha avuto il coraggio di questa denuncia. Ma ancor più coraggioso ritengo sia stato Marco Salvia, un uomo che oggi rischia davvero grosso. L’Italia non è l’America, dove lasciar parlare un regista come Michael Moore può trasformarsi in un vantaggio per i suoi stessi avversari. Qui, a destra, ancora ci si batte fendendo le armi della prepotenza, dell’intolleranza. La stessa furbizia degli americani qui da noi verrebbe letta come un sintomo di debolezza.
E’ per questo motivo che oggi mi preoccupa la sorte di Marco Salvia. Così come mi stupiscono lo spazio e lo scarso supporto informativo che “Il Manifesto” ha dedicato alla notizia. Riducendo in tal modo lo spazio della sua denuncia, potremmo dire che “giornalisticamente” Marco Salvia è stato lasciato solo. E nel nostro Paese, rischi simili è bene non correrne.
Distinti saluti
Roberto Parpaglioni
Il fatto è che siamo al “fai da te” della decenza civile.
In mancanza di un governo, di un mondo dell’informazione, di una classe intellettuale e di un’opinione pubblica che la difendano, rimane l’iniziativa dei singoli cittadini. E uno si ritrova a scegliere tra l’esporre la propria vita professionale e personale a prevedibili palate di letame e ritorsioni, pur di potersi guardare serenamente allo specchio la mattina, o fare il contrario.
Diciamo che sono scelte faticose, ecco.
La lotta alla droga è stata trasformata, da alcuni personaggi come Muccioli, Don Mazzi, Don Gelmini, in lotta ai drogati. L’invenzione del drogato come categoria sociale, la sua emarginazione, l’istituzione della comunità come percorso di re-integrazione sociale, ovviamente sopprimendo anche brutalmente le libertà costituzionalmente protette.
E a questi personaggi Berlusconi dona soldi e notorietà. I vari Don che infestano la televisione, Don Benzi, Don Mazzi, Don Gelmini, Don Tonini…
Forza Salvia.
I Don in TV fanno senso anche a me, ma badate a non buttar via il bambino con l’acqua sporca: per anni, e forse ancora adesso, le comunità di costoro e di molti molto meno famosu soson state le uniche rispost ad un problema che è bene affrontare con minor supponenza.
Non metto indubbio il vissuto dell’autore del libro, ma che sia chiaro a tutti che il racconto è e resta solo il suo vissuto!
aggiungo note inquietanti (almeno per me):
1. Don Gelmini a Domenica In mi pare dopo aver detto che NON esiste il problema pedofilia nel sudest asiatico si è preso un bacio in bocca da un giovane ragazzo thailandese.
2. La prima volta che ho visto la ministro Letizia Brichetto in Moratti è stato da Muccioli.
spezzo una lancia però per don gallo
Condivido appieno Zanad, conosco più di una persona che in comunità è riuscito a risolvere il problema e pian piano a reintegrarsi nella società.
Da quando sono diventati tutti delinquenti i vari Muccioli, Don Mazzi ecc…? Da quando vanno in tv?
muccioli c’è diventato miliardario sulla pelle dei tossicodipendenti. mano d’opera gratis e botte.
preferisco altri modi con altra gente, sono altrettanto efficaci ed anche alla potata delle tasche dei poveracci.
Mio zio ha una comunità di don benzi ed è coordinatore regionale. Quando fatica a pagare il riscaldamento, lo aiuto io. Quanti tossicodipendenti hanno fatto uscire lo sa solo Dio. Molti disabili sono a tutti gli effetti, tranne quello legale, miei cuginetti, perché ci gioco dalla nascita. Tutto questo lo posso dimostrare: scrivetemi se volete. Il bene che fa lui non lo immaginate neanche: perché il tossicodipendente è prima di tutto un uomo, la prostituta una donna. Hanno nomi e cognomi, non sono categorie, e festeggiano Natale con noi, quando sono usciti dai loro problemi. Forse, a voi che scrivete, i “tossici” danno meno fastidio per la strada che con qualcuno che li aiuti. Non sto facendo politica, voi sì.
Voi tutti, andate affanculo. Sinceramente.
Che Muccioli fosse un delinquente, e gli eredi lo siano, lo diciamo da una ventina d’anni ad occhio e croce.
dnute, mi permetti di dire che non hai capito un cazzo?
Prima di commentare sono andato a leggermi le recensioni ed Ho ascoltato l’intervista rilasciata da Salvia.
Ho trovato il tutto estremamente ideologico, vacuo, superficiale, approsimativo e mistificante.
In mezzo a delle affermazioni che potrebbero avere dei riscontri oggettivi ve ne sono altre completamente campate in aria, si generalizza e sopratutto si giudica in base a dei pregiudizi e a dati fuorvianti, pari a quelli che i beatificatori delle comunità usano per incensare “l’educatore” di turno.
Per quanto riguarda i commenti al post, credo che i luoghi comuni, le ovvietà volgari o meno siano dovute alla profonda ignoranza sull’argomento ed ad una abbondante dose di pregiudizio.
Io in CT ci sono stato tre anni, era il CeIS di Roma. Lì ho sentito cose orribili su don Pierino. Basti dire che don Mario (fondatore del CeIS e gran delinquente…) quando voleva spaventare qualcuno non diceva “Chiamo la polizia”, ma “Sei da don Pierino, o da Muccioli”. Non bisogna però confondere i fondatori con le varie CT. Spesso i don di cui parlate non ci vanno più in CT e ci lasciano i loro luogotenenti, che possono essere dei bastardi come don Pierino, o persone in gamba come molti operatori di San Carlo. Le CT di Muccioli e Don Pierino sono viste, quando sei in terapia, come l’ultima spiaggia, la rinuncia alla libertà personale in nome della salvezza della vita, ma quale vita? Basti dire che lì da don pierino quando chiedi “Ma i ragazzi lo vedono lo psicologo, ogni tanto?” L’operatore ti risponde, citando don Pierino, “Lo psicologo? e a che serve, mica sono matti!”. Da don P è tutto lavoro, docce fredde (in tre, uno si insapona, uno si bagna e uno si asciuga, a rotazione…) e “fischioni”, che vuol dire una notte in legnaia e la mattina in piedi spalle al muro con gli operatori che si alternano a urlarti a tre centimetri dal naso “Sei un fallito sei un tossico di merda non vali un cazzo”, stile Pinochet. Poi non ti buchi più perchè c’è la squadra recupero che viene in piazza a prenderti e ti sbatte in legnaia… Ne avrei molte da raccontare, per chi è interessato. Chi la mena con la salvezza ad ogni costo, non sa quello che dice
“Non capisco chi si rifugia nella realtà perchè non riesce ad accettare la droga”.
Tom Waits
il libro non l’ho letto,credo fermamente che se ne dovrebbe scrivere uno sulla vita di Marco Salvia
parlate senza sapere un cavolo. a me san patrignano e vincenzo muccioli hanno salvato la vita. a sanpa ci sono stato dal 91 al 95 ed è stata l’esperienza più siginificativa della mia vita. muccioli ha salvato molte vite oltre la mia, ricordate è ANCHE con il lavoro che si esce dalle storie, vergogatevi per quel che dite…
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