Libero come il vento

Bisogna assumersi le proprie responsabilità. E allora togliamoci il dente: confesso.
Correva il mese di febbraio dell’anno 2001, la settimana era quella in cui ci si lascia sollazzare dalle canzonette: per cinque giorni cinque la mia firma (accompagnata a quella di altri compari in Clarence) apparve su “Libero“. No, non il portale. Il quotidiano. Che è peggio. Molto peggio.
La pubblicazione di questo post è una versione attualizzata del cilicio.

Successe questo: che il 2001 fu un anno d’oro per Clarence. Ci fu la prima edizione del Grande Fratello e noi andammo a Cinecittà a combinare casini: riuscimmo ad entrare a visitare ufficialmente la casa e, dall’esterno, tentammo di buttarci dentro aeroplanini a motore, elicotterini, mongolfiere con telecamera, volantini e pacchetti di sigarette. Fummo battuti dai tapiri e dall’organizzazione di Striscia. Noi sostenemmo che quelli del Grande Fratello erano conniventi, perché coi nostri aeroplanini utilizzavano gli idranti e invece per il loro elicotterino si attrezzarono, dal’interno, di telecamere. Striscia ci mise alla gogna davanti a un bel quattordici milioni di telespettatori. Poi si fece pace e gli cedemmo uno scoop su Roberta Beta. Mica cotica.
Francesco Specchia, che per Libero si occupava di spettacolo, prese a telefonarmi quasi quotidianamente: perdeva quasi regolarmente il riassunto giornaliero del Grande Fratello, e chiedeva gli raccontassi, in generale, che cos’era successo nella caosa. Di quegli articoli ci fece un libro, se non sbaglio, e andò a presentarlo al Costanzosciò.

Qualche mese dopo, memore dell’aiuto e di quella collaborazione sottocoperta, in occasione del Sanremo ci propose di curare come “Clarence” una pagina di satira al giorno dedicata al Festival su “Libero“.

Grande fu lo sconcerto di tutti, e lunghe le discussioni al nostro interno, ma era la new economy che stava implodendo, bellezza, e se capitava un salame si conservava la buccia (e c’era anche l’assurda convinzione – assolutamente non motivata da dati o fatti – che un link riportato su un giornale di carta equivalesse a pubblicità gratuita e contribuisse ad aumentare gli accessi). Accettammo, a patto che apparissero il logo “Clarence” e l’indirizzo web a caratteri cubitali all’interno della pagina.

Ci invitarono presso la vecchia sede (che se non sbaglio era nei pressi di un ponte della ferrovia, in fondo a Viale Monza o da quelle parti) per discutere i dettagli. Nell’atrio incappammo nell’editore che aveva da poco rilevato la testata e non posso rivelare chi, indicando lui e prole, ci disse: “Vedete, quello è il nuovo capo. Di editoria non capisce un cazzo. E quello accanto è il figlio scemo del capo”. Si chiamava Stefano Patacconi, indossava un assurdo cappotto anni ’70 col pelo di un’animale attorno al collo, ed era un’imprenditore riminese che si suicidò qualche mese dopo.

Specchia ci condusse in direzione e ci fece sedere alla scrivania del capo-redattore. Feltri osservava silente alle nostre spalle. Con una certa preoccupazione, aggiungerei. A parziale conferma il fatto che al solo echeggiare del nome “Cuore” alzò gli occhi di scatto. Fu quando il capo-redattore mise le mani avanti: “Mi raccomando, che qui non siamo a Cuore: non andateci troppo pesante”.

E noi non ci andammo giù pesante. Riuscimmo a coinvolgere quasi tutti (i nostri due inviati a Sanremo, Gianmarco Neri e Stefano Porro, nonché Roberto Grassilli, il quale credo accettò controvoglia e solo per amicizia e spirito di squadra) tranne Lia Celi, che resistette (a ragione: gliene si può dare atto) con fermezza. Roba che scrissi e che finì su quelle immonde pagine si può trovare ancora qui, qui, qui, qui, qui e qui.

E insomma, dicevo: non esagerammo. Secondo i nostri canoni. Secondo i loro sì.
Già al secondo giorno prese a telefonarmi un figuro che si rifiutava di pubblicare la vignetta del giorno di Grassilli.
Dovete sapere che uno dei cavalli di battaglia grassilliani sotto Sanremo era una rubrica intitolata Spietate esecuzioni: prendeva il testo di una canzone del Festival e lo disegnava, così com’era.
Ebbene, quel giorno era di scena Jenny B., con la canzone “Anche tu”, la quale recitava: “…E così invento un vento che mi porti ancora lì…”, e Grassilli – tra le altre cose – disegnò Jenny B. che si faceva trasportare da un’immensa scorreggia.

Fu una dura lotta:

Tizio di Libero: Ma… Ma… questa è… è…. una scorreggia!
Io: Sì.
Il tizio: Come sì?
Io: Sì, è una scorreggia.
Il tizio: Ma noi non pubblichiamo scorregge sul nostro giornale. Non possiamo!
Io: Per una sorreggia? E che sarà mai! E’ come, che so, un rutto. Cosa vuole che sia!
Il tizio: Non pubblichiamo neanche i rutti.
Io: Evvabbé, insomma: l’equivalente di una pernacchia.
Il tizio: Ecco, bene. La pernacchia va bene! Potete ridisegnarla con la pernacchia al posto della scorreggia?
Io: Ehm… no. Non è esattamente la stessa cosa: non avrebbe più senso. E nemmeno c’è il tempo per farne una nuova.
Il tizio: Beh, quella, in stampa, non ci va di sicuro, finché ci sono io qui.
Io: Ma… avremo un buco nella pagina!
Il tizio: Lo riempiamo noi.

La vignetta non venne pubblicata, e al suo posto misero gli annunci mortuari.

Roberto Grassilli la prese da professionista: invece che incazzarsi, sfornò le vignette che gli rimanevano da fare e le consegnò a Libero, il quale le pubblicò tutte, nessuna esclusa.
Solo non si accorsero che Roberto, da lì in poi, aveva corredato i disegni con piccoli cagnetti scorreggianti che, dai margini della vignetta, facevano: “Prroot!”, e salutavano: “Ciao Lib!”.

Il succo è questo: voi non avete idea di quante volte nel corso degli ultimi giorni, alla sola vista della prima pagina di Libero in una qualsiasi rassegna stampa, abbia invocato e sperato di veder apparire uno di quei simpatici, opportuni, risolutori cagnetti scorreggianti.

Il cagnetto scorreggiatore di Libero
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6 Commenti

  1. Apprezziamo l’outing, bellezza, se non altro perché è stato meglio venirlo a sapere così piuttosto che ritrovarsi a leggere un post, in un blog neocono, intitolato “Adesso cagano nel piatto dove mangiavano”.
    E poi, del resto, scagli la prima pietra chi non si è mai iscritto al GUF per usufruire della fotocopiatrice gratis, durante l’università…

  2. Aneddoto gustoso, come al solito prova che quando c’è la pagnotta di mezzo i supposti “valori morali” diventano molto meno importanti, e i “duri e puri” si ammorbidiscono sensibilmente… comunque complimenti per la sincerità ed il mea culpa fatto alle 5 e 37 del mattino!

  3. solo un dubbio: a me più che un cagnetto pare una personcina scoreggiante, no? cmq stupendo! Complimenti per l’occhio clinico a quelli di Libero, non mi pare neanche troppo minuta la presa in giro.
    Quanto a Libero…a occhio direi che piuttosto che trovarmi davanti Feltri e fare qls cosa per quel “giornale” scrosterei cacca di cane dalle mura cittadine col raschietto, però ognuno fa le sue scelte e, purtroppo, tutti dobbiamo mangiare, pagare le bollette, il pusher etc…E sono ammirata per il coraggio dell’outing, altro che villaggio vacanze…

  4. Mi ha deluso ragazzo! nel 2001 avevi già i’ portafoglio gonfio e e te n’eri andato a far marchette da Feltri? e ce l’hai tenuto nascosto per tutti questi anni?
    Ora capisco perché hai perso i’ sorriso… lo credo bene con quel buco ni’ posto dell’incisivo!

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