“E ancora deve decolla’ il soccorso. Ai venti decollano… che figli di puttana!… Il soccorso ancora non è decollato, il soccorso, gli aerei del soccorso ancora non sono decollati… nessuno sa niente, nessuno ne sa niente, nessuno sa dov’è, si presume che sia caduto”.
E’ la voce di un operatore del gruppo radar di Marsala. Si rivolge ad altri radaristi in servizio quella sera nel sito radar. Sono le ore 20 nel codice Zulu dell’aeronautica militare che prende come riferimento l’ora di Greenvich, anticipata di un’ora rispetto all’Italia. Bisogna computare anche l’ora legale e, quindi, la corrispondente ora italiana deve essere posticipata di due ore (in questo caso, dunque, alle 22). I centri radar hanno perso da più di un’ora le tracce del DC9 dell’Itavia. L’operatore di Marsala parla poi con un non identificato ente di Roma e chiede notizie dei soccorsi.
“Senti scusa, ti puoi informare 11 a Ciampino se gli aerei di soccorso sono partiti… Gli elicotteri?”
Risposta: “Ma guarda che fino a adesso non è decollato niente, eh!”
L’operatore di Marsala insiste: “So’ dei figli… Non è decollato niente?”
Risposta: “No”.
“Puoi sentire a che ora decollano, se decollano, quando?”
“Decolleranno, ciao”.
I nastri contenenti la registrazione delle comunicazioni radio e telefoniche tra il gruppo radar di Marsala e altri enti dell’aeronautica sono stati consegnati ai periti solo nell’ottobre 1991.
L’ansia degli operatori di Marsala ha più di un motivo: il loro sistema radar non si è accorto della scomparsa delle tracce dell’aereo civile, la segnalazione è arrivata da un altro ente con venti muniti di ritardo; nel caso che il Dc9 sia stato dirottato è ormai troppo tardi per cercarlo nello spazio aereo controllato dai radar di Marsala; se è stato costretto da un guasto ad ammarare si è persa l’ultima ora di luce per trovarlo e soccorrere gli eventuali superstiti.
Quando gli aerei e gli elicotteri si alzano ormai è buio e le ricerche sono inutili. L’oscurità potrebbe fornire una copertura di parecchie ore per far scomparire uno scenario di guerra.
La responsabilità di avviare e dirigere le operazioni di ricerca e di soccorso spettava all’aeronautica militare. La competenza territoriale era dell’Rcc (Rescue Coordination Center) di Martina Franca, una località in provincia di Taranto, che ospita, nelle viscere di un sorvegliatissimo promontorio, un’importante base di comunicazioni, utilizzata sia per il soccorso aereo sia come terminale del Nivs (Nato Integrated Communications System). La base Imaz, nome in codice di Martina Franca, è uno dei centri nevralgici della rete di comando e controllo della Nato. E’ inserita in una maglia di comunicazione che opera attraverso l’integrazione della rete satellitare col troposcatter, un sistema utilizzato per coprire le lunghe distanze mediante la riflessione di onde radio nella troposfera. In sostanza le antenne di questo promontorio ascoltano, commutano e rilanciano tutte le informazioni che passano per le linee collegate con i comandi Nato in Italia. La base ha anche la funzione di coordinamento della difesa radar nel centro e sud Italia. Il Soc (Sector Operations Center) di Martina Franca ha il controllo operativo sui gruppi radar di Iacotenente (Pescara), Licola (Napoli) e Siracusa che svolgono funzioni di avvistamento e di guidacaccia (Control and Reporting Center) nei cieli meridionali. Oltre a orecchie finissime il promontorio pugliese ha un’acutissima vista radar. I suoi sensori disseminati fra il centro e il sud sono integrati nel Nadge (Nato Air Defence Ground Environment), l’ombrello radar della Nato, che assicura una rete di avvistamento e intercettazione nei cieli europei estesa dalla Norvegia alla Turchia.
Nel 1980 l’Rcc (Rescue Coordination Center) di Martina Franca era comandato dal tenente colonnello Guglielmo Lippolis, che poteva chiedere l’intervento dei due sottocentri (Rsc) di Ciampino (Roma) e di Elmas (Cagliari), e utilizzare aerei e navi forniti dall’aeronautica e dalla marina.
Trascorrono venti minuti, mentre il controllo aereo di Fiumicino ripete i drammatici appelli, prima che il centro soccorsi di Martina Franca si accorga della situazione di emergenza. Alle 21,22 parte dall’Rcc la prima richiesta d’intervento al sottocentro soccorsi di Ciampino (Rsc). Da quel momento c’è un inspiegabile buco di 38 minuti prima che decolli un elicottero da Ciampino, il che chiarisce il “Figli di puttana!” del radarista di Marsala.
Quel primo elicottero impiega un’ora e dieci per raggiungere l’area delle ricerche. Le coordinate del punto di caduta indicate dagli operatori di Ciampino e di Licola erano errate con uno scarto dai 30 ai 60 chilometri. Alle 22,25 decolla da Catania un elicottero della marina, che arriva nell’area dove si è perduto il DC9 verso mezzanotte. A mezzanotte e mezzo si muove un altro elicottero da Ciampino. Alle 22,30 si alza in volo il primo aereo, un Breguet Atlantic, dotato di strumenti per la ricerca dei sommergibili. E’ strano che un aereo con le stesse caratteristiche, decollato dall’aeroporto di Elmas alle 18,25, e in volo di addestramento ad est della Sicilia fino alle 22,40 , non sia stato minimamente interessato alle ricerche. Eppure avrebbe potuto spostarsi nella zona prima che fosse arrivata l’oscurità. Durante le ore notturne le ricerche non dettero alcun esito “a causa dell’oscurità e delle condizioni del mare”, dichiara nove anni dopo il capo di stato maggiore dell’aeronautica Franco Pisano, incaricato dal ministro della Difesa di svolgere un’inchiesta sul disastro di Ustica. Con i risultati ai quali perviene il gen. Pisano, l’aeronautica militare si assolve da tutte le critiche per i soccorsi partiti in ritardo. “Il sistema di allertamento – dice la relazione conclusiva – è scattato in aderenza alle norme vigenti e anche le operazioni di soccorso si sono sviluppate correttamente”.
Sul motivo per cui non era stato subito impiegato nelle ricerche il Breguet Atlantic che si trovava in volo nella zona per addestramento, la spiegazione del generale è un esempio di autentico stile tartufesco: “Si ha motivo di ritenere che detto aeromobile non sia stato impiegato per la accertata disponibilità in tempi brevi di mezzi idonei e completamente equipaggiati, quali gli elicotteri SH-3D ed un altro velivolo Breguet Atlantic del quarantunesimo stormo”. Detto ciò il generale si premura di aggiungere: “Anche se dall’analisi dell’operato dell’organizzazione del soccorso non si rilevano infrazioni alle norme e procedure vigenti, quanto emerso suggerisce l’opportunità di sottoporre a verifica le norme stesse e le procedure applicative, relativamente all’accertamento preliminare dell’eventuale presenza in volo di mezzi utilmente impiegabili sul luogo dell’incidente”. Sembra di capire che il generale voglia giustificare con la carenza di una normativa chiara il mancato impiego nelle ricerche, in quell’ora di luce che ancora restava, dell’aereo antisommergibile in volo diaddestramento. Come se in tempo di pace ci fosse bisogno di una normativa specifica per dirottare un aereo militare da un volo di addestramento a un’operazione di soccorso.
Dopo la notte infruttuosa un altro aereo per la ricerca di sommergibili decollato da Cagliari avvista in mare una chiazza di cherosene e in prossimità un cadavere. Poi nella stessa zona appaiono altri resti umani, salvagenti, cuscini d’aereo, valigie.
Quella scena di morte e di distruzione rivela l’area in cui è avvenuto l’impatto del DC9 col mare. Le dichiarazioni del tenente di Vascello Sergio Bonifacio, comandante dell’aereo che ha fatto il primo avvistamento, aggiungono un mistero ancora non spiegato. La scena, come in un allestimento con macchine teatrali, si evolve in una successione di eventi che lasciano sullo sfondo, incerta, indefinita, ma presente una immagine a metà fra realtà e irrealtà: può essere un relitto oppure una promanazione spettrale dell’abisso marino. Alle 7,18 appare la macchia oleosa, tra le 7,32 e le 9,45 affiorano i corpi e varie cose.
Nella testimonianza resa dopo nove anni davanti al procuratore della Repubblica presso il tribunale militare di Cagliari, il tenente Bonifacio dice: “Prima dell’affioramento dei cadaveri avvistai in trasparenza ad una profondità inferiore ai 50 metri una grande massa chiara con una riga nera che l’attraversava al centro. Da quanto vedevo non potevo riconoscere la sagoma dell’aereoplano. Dopo circa un’ora sono affiorati cuscini, sedili e salvagenti sgonfi. Da questo momento ho attribuito ciò che vedevo all’aeroplano scomparso. Verso le 9 sono comparsi i primi cadaveri uscendo dalla massa oleosa”.
Un anno dopo il tenente Bonifacio conferma sostanzialmente quella versione davanti al giudice istruttore di Roma: “Vidi in trasparenza nelle immediate vicinanze della macchia d’olio un corpo oblungo, chiaro, attraversato in senso longitudinale da una striscia nera. Comunicai l’avvistamento agli enti di controllo esprimendo già un livello superiore di probabilità di aver individuato l’aereo”. Una versione diversa attribuita allo stesso Bonifacio, ma da questi smentita, è pubblicata sempre nel 1990 dall'”Europeo“. Al momento dell’avvistamento il DC9 sarebbe stato ancora a galla. Dopo un’ora ci sarebbe stato un improvviso sollevamento d’acqua e l’aereo si sarebbe inabissato. Anche i dodici militari che componevano l’equipaggio del Breguet Atlantic comandato dal tenente di vascello Bonifacio hanno smentito la versione del settimanale.
Se il tenente Bonifacio vide a 50 metri di profondità quella forma che assomigliava molto alla sagoma del DC9, ma che poteva essere anche un sottomarino non intenzionato a farsi identificare, c’è da chiedersi come mai un aereo attrezzato per la ricerca dei sommergibili non abbia prodotto una documentazione precisa sui risultati dell’avvistamento.
E più inquietante ancora è l’interrogativo sul perché solo dopo nove anni si sappia un fatto della massima importanza, come quello che il DC9 rimase per un’intera notte vicino alla superficie dell’acqua prima di inabissarsi a 3600 metri di profondità.
E’ inimmaginabile che al ritorno dalla missione il tenente Bonifacio non abbia steso una relazione per riferire tutti i particolari dell’avvistamento. Si può credere che non fosse sicuro di ciò che aveva visto, mentre ne è certo nove anni dopo? Quella relazione dovrebbe esistere e contenere una verità molto importante: in caso contrario vi sarebbe un’omissione di inaudita gravità, difficile da credere come frutto di una decisione personale.
La commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi ha giudicato poco attendibili le dichiarazioni di Bonifacio. Se si concorda con questo giudizio si dovrebbe pensare ad un’ipotesi di depistaggio per creare un nuovo rompicapo, per far guadagnare un’altra manciata d’anni agli occultatori della verità: un Bonifacio ispirato da un servizio segreto per mandare i magistrati a pesca di un ectoplasma.
Cara Macchianera, la pubblicazione di questo testo è molto istruttiva, grondante com’è di luoghi comuni fasulli che hanno depistato l’inchiesta per almeno un decennio e la cui natura e consistenza è oggi nota a tutti coloro i quali abbiano letto i documenti.
Questo è il trattamento che riservate alle 81 vittime dei DC9?
Ficcatevelo in testa:
1. i soccorsi hanno rispettato la procedura prescritta dai regolamenti militari e sono stati tempestivi, anche perchè non c’era un’ora di luce (l’aereo è caduto alle 21.00 ca. e i soccorsi non possono essere allertati prima di 20 minuti dalla scomparsa dai radar del mezzo, necessari a verificare che non si tratti di un black out del trasponder o del collegamento radio; poi bisogna organizzare la partenza e arrivare sul posto).
2. Bonifacio è un depistatore conclamato, in proprio e non in conto terzi: ma vi pare che i servizi segreti si affidino a simili storiacce prive di senso comune e facilmente smentibili da parte vari testimoni oculari (l’equipaggio del Breguet Atlantic)?
Che fate, andate avanti nella pubblicazione?
PS: Ah dimenticavo, a proposito della “puntata” precedente : si è pensato in un primo tempo al suicidio di Zanetti (ritenedolo un pazzo che avrebbe ucciso con lui 80 persone) non perchè lo si sospettasse di terrorismo, ma in quanto soffriva di una grave malattita dalla quale però, vera beffa del destino, stava miracolosamente guarendo. Quest’ultima scoperta ha indirizzato le indagini altrove.
Se poi vi interessa la verità, Emanuele Zanetti era un uomo mite, con problemi familiari e di salute prossimi alla soluzione grazie alla sua forza d’animo, che ha viaggiato suo malgrado in quella occasione con due figli a bordo, Nicola e Alessandro, per andare a svagarsi dal fratello a Palermo. Al contrario dei suoi ragazzi, non aveva prenotato il volo di ritorno per Bologna, perchè sperava di trovar posto in treno, come in treno avrebbe voluto partire, se il tempo e il collegamento ferroviario per la Sicilia non fossero stati tiranni. Infatti, gli aerei lo spaventavano assai, quello essendo il suo primo e unico volo, forzoso.
Saluti da Francesco
Cara Macchianera, la pubblicazione di questo testo è molto istruttiva, grondante com’è di luoghi comuni fasulli che hanno depistato l’inchiesta per almeno un decennio e la cui natura e consistenza è oggi nota a tutti coloro i quali abbiano letto i documenti.
Questo è il trattamento che riservate alle 81 vittime dei DC9?
Ficcatevelo in testa:
1. i soccorsi hanno rispettato la procedura prescritta dai regolamenti militari e sono stati tempestivi, anche perchè non c’era un’ora di luce (l’aereo è caduto alle 21.00 ca. e i soccorsi non possono essere allertati prima di 20 minuti dalla scomparsa dai radar del mezzo, necessari a verificare che non si tratti di un black out del trasponder o del collegamento radio; poi bisogna organizzare la partenza e arrivare sul posto).
2. Bonifacio è un depistatore conclamato, in proprio e non in conto terzi: ma vi pare che i servizi segreti si affidino a simili storiacce prive di senso comune e facilmente smentibili da parte vari testimoni oculari (l’equipaggio del Breguet Atlantic)?
Che fate, andate avanti nella pubblicazione?
PS: Ah dimenticavo, a proposito della “puntata” precedente : si è pensato in un primo tempo al suicidio di Zanetti (ritenedolo un pazzo che avrebbe ucciso con lui 80 persone) non perchè lo si sospettasse di terrorismo, ma in quanto soffriva di una grave malattita dalla quale però, vera beffa del destino, stava miracolosamente guarendo. Quest’ultima scoperta ha indirizzato le indagini altrove.
Se poi vi interessa la verità, Emanuele Zanetti era un uomo mite, con problemi familiari e di salute prossimi alla soluzione grazie alla sua forza d’animo, che ha viaggiato suo malgrado in quella occasione con due figli a bordo, Nicola e Alessandro, per andare a svagarsi dal fratello a Palermo. Al contrario dei suoi ragazzi, non aveva prenotato il volo di ritorno per Bologna, perchè sperava di trovar posto in treno, come in treno avrebbe voluto partire, se il tempo e il collegamento ferroviario per la Sicilia non fossero stati tiranni. Infatti, gli aerei lo spaventavano assai, quello essendo il suo primo e unico volo, forzoso.
Saluti da Francesco
Prima ancora di leggere il commento di Francesco, mi era venuto da scrivere che le conclusioni di questa terza puntanta mi paiono un po’ debolucce.
Ma se poi e’ anche vero quello che dice Francesco, allora veramente, state rendendo un pessimo servizio non solo alla memoria delle vittime del dc9, ma anche a tutti noi.
un dc9 che dopo essere piombato giù da 8000 metri galleggia o quasi per un’ intera notte? Ma scusate, perchè pubblicate ‘ste stronzate?
gianluca neri quanti anni sono passati, sto crepando di cancro, mi piacerebbe fare un’atra chiacchierata con te guglielmo sinigaglia
sto morendo di cancro, mi piacerebbe scambiare due chiacchiere con te. guglielmo sinigaglia
mi piacerebbe reincontrarti, ho dei tumori e solo dio sa’ guglielmo sinigaglia