Stasera saprò tutto. Ho lasciato il computer di casa acceso, per scaricarmi sia i sessanta minuti di special che l’ultima puntata, il gran finale. Ho metodicamente evitato di gettare l’occhio sulle agenzie, sui siti d’informazione e su quelli di gossip, ignorando spoiler e rivelazioni anticipate. Non che me ne importi molto: sia che Carrie Bradshaw dovesse decidere di rimanere a Parigi, a fianco del Petrovski, sia che se ne torni a New York con le pive nel sacco, per riprendere la liason a corrente alternata con quel torsolone di Mr. Big, la mia vita non cambierà. Ma non voglio privarmi del gusto della sorpresa.
Ebbene sì, anch’io sono caduto nella trappola. Ha ragione la Soncini, quando dice che Sex and the city ha tante chiavi di lettura, tanti target diversi. Senza neanche rendermente conto, sono andato ‘a rota’ per questa serie, appassionandomi – volente o nolente – alle tresche di Carrie e delle sue amiche, osservando dalla provincia dell’impero la vita sociale della metropoli, lasciandomi affascinare da quell’elité di Manhattan che passa dall’aperitivo al party, dal vernissage alla soirée esclusiva.
Nessuna identificazione, per carità: troppe le differenze tra Central Park e Villa Borghese, tra la fifth e Via del Corso, tra Brooklyn e il Nomentano. Troppa differenza tra noi e loro. Per fortuna. Al contrario, a forza di guardarlo ho maturato la consapevolezza di assistere alle storielle di un vippame becero, eternamente autoreferenziale, pieno di puzza sotto il naso: gente così, se la incontrassi a Roma, la manderei a cacare senza tanti complimenti. Per non parlare degli aspetti più diseducativi della serie.
Non mi riferisco, sia chiaro, a quelli legati al sesso. Quattro donne che fanno comunella al cesso del restaurant per parlare di coiti, per quel che mi riguarda, non fanno notizia. No, l’amoralità e la mancanza d’etica sono tutte concentrate in un altro ambito. “A woman’s right to shoes”, il diritto di ogni donna di spendere anche 485 dollari per un paio di ciabatte di sughero col tacco in titanio targate Manolo, o Prada, o quelcheccazzo vi pare. Si chiama product placement, ed è pubblicità a tutti gli effetti. Subdola, subliminale e virale, per giunta. Ignobile e traviante per le menti più deboli. Non è un diritto, è marketing. Non è style and fashion, è l’effetto dell’intervento della più potente lobby mondiale. Altro che massoneria.
Stasera saprò tutto. Altri sessanta minuti scarsi, girati qualche settimana fa tra Parigi e Manhattan, e poi sarà finita. Di una cosa, comunque, sono certo. Un po’ mi mancherà.
Muore investita.
K…nooo…non ditemi niente….
ho visto l’attrice al david letterman show che parlava del finale della serie.ho detto a mio padre “dieci a uno ,che Carrie si scopre lesbica e ingravidata”,poi l’ha detto pure david letterman e a lui credo più che a me stessa.
“Come fa un uomo a ridursi così!!”
Sex and the City, è certamente il miglior prodotto televisivo per esportare nel peggior modo possibile, l’inutilità esistenziale della società moderna.
Alla fine si scopre che Rosebud era il nome dello slittino.
èla mia perversione,guardo anche le repliche.. ma quest’ultima puntata va in onda dove?
E’ andata in onda domenica scorsa su HBO, negli USA. Dalle nostre parti la sesta serie dovrebbe arrivare l’autunno prossimo, probabilmente su Jimmy.
Quattro stronze
Ok, non è che guardi tanta televisione.
In realtà la
ma lo sapevate che a manhattan le signore davvero davvero vip si fanno amputare i mignoli dei piedi per poter entrare agevolmente nelle extra punte di Manolo?
mi sono chiesta se d’estate si fanno fare le protesi per poter sfoggiare senza ansie i sandali aperti….
ma lo sapevate che a manhattan le signore davvero davvero vip si fanno amputare i mignoli dei piedi per poter entrare agevolmente nelle extra punte di Manolo?
mi sono chiesta se d’estate si fanno fare le protesi per poter sfoggiare senza ansie i sandali aperti….
Very interesting things in you site