Il mio ultimo giorno da dipendente di Clarence è stato ufficialmente venerdì 31 ottobre. Il vero ultimo giorno però è stato lunedì 3 novembre. Avrei dovuto soltanto raccogliere le mie cianfrusaglie e andarmene, ma ci sono un sacco di cose da fare l’ultimo giorno. Prima fra tutte mandare a cagare chi se lo è meritato. Non sarà elegante, ma a me piace.
Il problema è che ero rimasto solo io, fatta eccezione per un manipolo di comari che non facevano altro che parlare della consistenza della cacca e della fragorosità dei ruttini dei rispettivi figli.
E’ passato qualche giorno ormai e adesso mi piace ricordare alcune figure di secondo piano nella storia di Clarence, ma che considero fondamentali.
Il primo è l’uomocoltelefono. Trattasi di un dirigente poco più che trentenne che probabilmente è utilizzato a sua insaputa per studiare gli effetti provocati dalle radiazioni del cellulare sul cervello umano.
E’ dotato di auricolare che tiene perennemente arrotolato intorno alla testa per comodità.
Se qualcuno desiderava conoscere nel dettaglio le vicende societarie non doveva far altro che sedersi, aspettare che cominciasse le sue passeggiate e che raccontasse all’interlocutore tutti i cazzi della società. Piazzandosi più o meno al centro dell’ufficio si aveva la possibilità di sentire le sue interminabili telefonate nella loro interezza. Dopo un po’ secondo me se ne accorse e sviluppò una dote non comune: riusciva a pronunciare frasi interlocutorie per tutto l’interminabile tragitto che dal suo ufficio (l’ultimo) portava all’uscita.
Quando non era tanto in forma allungava le vocali. Riusciva a tenere una a anche per dieci passi.
Considerando che riceve una media di ottocento telefonate all’ora, il poveretto è dimagrito a vista d’occhio nel corso dei mesi e si sentiva costretto a uscire anche quando fuori nevicava.
Il fatto è che l’uomocoltelefono è anche simpatico. Tantissime volte si è avvicinato dandomi una pacca sulla spalla e chiedendomi: “Come stai?”.
Tutte le volte io cominciavo a rispondere “non c’è male” prima di accorgermi che stava parlando col suo interlocutore telefonico.
L’ultimo giorno c’era anche lui.
E’ passato come al solito due o trecento volte davanti alla reception e mi accorsi che dava sempre uno sguardo a una cassa di legno. A un certo punto andò in bagno e, vista la difficoltà di telefonare ed espletare le funzioni corporee contemporaneamente, sapevo che non sarebbe uscito prima di una decina di minuti.
Mi avvicinai alla cassa per vedere di cosa si trattasse. C’era scritto “Masseto ’00 – Tenuta dell’Ornellaia S.p.A.“.
Per chi non lo sapesse il Masseto è uno dei migliori vini italiani e forse del mondo.
Mi balenò in testa l’idea di aprire la cassa e sostituire le sei prestigiose bottiglie con altrettanti cartoni di Tavernello.
Vidi poi che il destinatario era proprio l’uomocoltelefono. Preso da un moto di tenerezza non riuscii a portare a termine l’operazione.
L’idea finale era quella di consegnare le sei bottiglie ad altrettanti barboni della stazione centrale, se non altro per rendere giustizia a un vino che almeno una volta sarebbe stato bevuto da un individuo che non avrebbe cercato un retrogusto di petali di rosa appassita o di tabacco bruciato.
Mentre stavo quasi per cambiare idea l’uomocoltelefono uscì dal bagno e controllò la sua cassa di Masseto.
Mi allontanai dalla reception e dalle tentazioni. Erano più o meno le sei: l’ora in cui entra in scena un’altro personaggio di secondo piano, probabilmente il più importante.
Trattasi di una figura mitologica che da anni si aggira nella sede di Clarence: lasignoradellepulizie.
Ci accorgevamo della sua entrata perché le luci si abbassavano e nell’aria si udiva a tutto voulume la nona sinfonia di Beethoven.
I più lesti riuscivano a raccogliere le proprie cose in meno di un secondo e a passare davanti all’ingresso fingendo di essere nel bel mezzo di una trattativa telefonica per la cessione della Microsoft a Steve Jobs.
Io non sono mai stato lesto. Passavo per ultimo davanti alla reception con il piumino allacciato, i guanti e il casco in testa: così non c’era modo di essere fermato.
Infatti restavo così per due ore mentre lasignoradellepulizie mi raccontava la storia delle sette generazioni precedenti alla sua e una volta finito passava all’analisi dettagliata degli ultimi 50 anni di storia della sua terra: la Basilicata.
Il mio compito era quello di annuire e ogni tanto bofonchiare qualcosa tipo: “che vuole signora, ormai il mondo è questo”, “daltronde, cosa possiamo farci…” oppure “tanto decidono sempre loro”. Non so bene chi fossero loro, ma lei era contenta quando lo dicevo.
Per due anni, non sono riuscito ad uscire prima delle otto, non perché fossi uno stakanovista, ma perché ero costretto a starmente davanti all’uscita con casco e piumino ad ascoltare la signoradellepulizie.
In realtà non era neanche necessario che ascoltassi. Alcune volte ho provato addirittura ad andarmene, ma al mio ritorno, dopo mezz’ora, me la sono trovata dietro che continuava il discorso.
La signoradellepulizie ha anche doti di chiaroveggenza. E’ dal primo giorno che mi ha visto che mi dice: “Ma allora qui chiudono tutto e ci lasciano a casa?”
Le sue domande sono così: lapidarie e spiazzanti. Come quella che fece entrando in sala riunioni nel bezzo di un consiglio di amministrazione: “le butto queste scatole?”
Nessuno nella storia di Clarence è mai riuscito a tenerle testa. Neanche Giuseppe Genna, che quando scrive è la persona meno disturbabile del mondo.
Una sera dopo circa un’ora di storia della Basilicata e di analisi delle occupazioni precedenti della signoradellepulizie mi chiese: “l’azienda chiude per Natale?”
Dissi soltanto: “Chieda a quel ragazzo lì. E’ lui che si occupa di queste cose.”
Quel ragazzo era Giuseppe Genna. La signoradellepulizie si avvicinò con passo lento ma sicuro. Da lontano osservai la scena nascosto dietro al ficus.
All’inizio lui provò a non considerarla, ma si vedeva che non la conosceva affatto: lei non ha bisogno di risposte e neanche di un pretesto per iniziare una conversazione. Lei parla.
Lo vidi alzare gli occhi. Aveva ceduto anche lui.
Lo ritrovai la mattina seguente con due borse sotto agli occhi che non avevano nulla di umano. Disse una sola cosa guardandomi: “bastardo”.
Come dicevo l’ultimo giono per me è quello delle vendette. Volevo vendicarmi e battere lasignoradellepulizie al suo stesso gioco.
Ho cominciato a stordirla di parole. Ho toccato gli argomenti più disparati e quando provava a intervenire alzavo la voce per soffocare ogni suo tentativo di contropiede.
Stavo giocando da Dio, poi le ho detto che quello era il mio ultimo giorno e lei con lo sguardo terrorizzato ha esclamato: “Allora lasciano a casa anche me!”
Sbigottito da tanta solidarietà ho commesso l’imperdonabile errore di concederle un secondo di silenzio. Da professionista qual è ne ha aprrofittato per ribaltare la situazione e trionfare con una goleada.
Il risultato è che l’ultimo giorno non sono uscito alle otto, ma alle dieci, solo che verso le nove mi sono tolto il piumino e intorno alle nove e mezzo anche il casco.
Mezz’ora dopo non ce l’ho fatta più e ho trovato il modo di uscire: l’ho baciata e sono scappato via.
Sono sempre stato un tipo da momenti epici. Uno di quelli che l’ultima sera delle vacanze la passava in spiaggia a guardare il mare e a pensare che per un anno non lo avrebbe rivisto. Figuratevi come immaginavo l’ultima volta che avrei varcato la soglia di Clarence.
Porta a vetri che riflette il mio sguardo e sullo sfondo l’ufficio a me tanto caro. Si apre la porta, il vento nei capelli, uno dei tramonti più belli degli ultimi secoli e una lacrima che lenta solca il mio viso e precipita a terra al rallentatore.
Invece ho baciato lasignoradellepulizie per zittirla, ho preso in fretta gli scatoloni di cartone e ho tirato un calcio alla porta che non si è aperta del tutto. Uno spigolo dello scatolone ha sbattuto sulla maniglia e tutte le inutili cose accumulate durante gli utlimi anni si sono sparse a terra nel raggio di una decina di metri attorno a me.
Nello stesso momento i fari dell’auto della signoradelparcheggio hanno illuminato la scena.
E’ lei la terza figura importante.
Trattasi di esemplare di bipede femmina particolarmente sfortunato che un paio di anni fa ha preso in affitto il parcheggio numero quattro.
I primi tre erano sempre occupati dai dirigenti, il quarto era sempre il primo libero. Chiunque sia passato da Clarence negli ultimi due anni ha trovato particolarmente accattivante il parcheggio numero quattro e si è sentito in diritto di posteggiare lì.
Chiunque sia passato da Clarence negli ultimi due anni e ha parcheggiato la macchina nel parcheggio numero quattro si è sentito in dovere di chiedermi di spostare la macchina perché era nel bel mezzo di una riunione fondamentale per le sorti della società, del futuro dei miei eventuali figli e probabilmente dell’intero pianeta. Non poteva certo lasciarla a metà.
Munito di chiavi uscivo con fare indifferente e mi dirigevo verso il parcheggio fingendo di non essere interessato al posto numero quattro. Arrivato in prossimità della signoradelparcheggio mi esibivo in una magistrale finta di corpo e mi tuffavo in macchina infilando le chiavi mentre ero ancora in volo. Niente da fare, lasignoradelparcheggio era molto più lesta e si buttava sul cofano mostrandomi i canini. Scendevo mentre urlava frasi tipo: “Adesso basta mi sono stufata. Siete dei gran maleducati. La prossima volta chiamo il carro attrezzi.”
Non mi restava altro da fare che guardarla con l’occhio lucido e piagnucolare: “Signora lei ha pienamente ragione, ma si metta nei miei panni. Queste sono le macchine dei dirigenti e sono dei maleducati. Io sono l’ultima ruota del carro, cosa dovrei fare, rifiutare di spostargli la macchina?”
Solitamente se ne andava dicendo: “Riferisca che la prossima volta chiamerò il carro attrezzi”.
La maggior parte delle volte la macchina era di Gianluca Neri o di Gigi Mazzeschi. Giusto perché lasignoradelparcheggio lo sappia.
Solo una volta la macchina posteggiata al numero quattro era la mia. Certo di conoscere ormai gli orari della signoradelparcheggio l’ho lasciata lì con l’intenzione di spostarla mezz’ora prima del suo arrivo. Quel giorno tornò a casa due ore prima. Si fermò davanti alla porta sgommando, entrò e cominciò a urlare: “Chi è il propietario di quella macchina?”
Si dileguarono tutti, poi da sotto la scrivania uscii io cercando si sfoderare il mio miglior sorriso. Lei alzò gli occhi al cielo e sbraitò: “Ancora lei? Adesso basta, non mi dica che ho ragione e mi faccia parlare col proprietario di quella macchina. Non mi muovo di qui fincé non scende”.
Mi resi conto che l’occhio lucido non avrebbe funzionato e cambiai tattica cercando di tirare fuori la mamma che sicuramente era dentro di lei: “Basta, non ce la faccio più. Questa è mancanza di rispetto nei suoi confronti e anche nei miei. Vado su e mi licenzio!”
La poverina abbassò il tono della voce, si avvicinò e disse: “Senta, adesso non si metta a fare pazzie. Sposti la macchina che me ne vado a casa…”
L’ultimo giorno ero in ginocchio a raccogliere le cose cadute dagli scatoloni davanti alla macchina posteggiata al numero quattro. Lei arrivò, scese dalla macchina e si mise in piedi davanti a me. Alzai lo sguardo: aveva un tailleur elegantissimo, scarpe col tacco, una pettinatura impeccabile. Disse: “Scusi… ma lei che cazzo di lavoro fa?”
Risposi: “Non importa tanto è il mio ultimo giorno.”
Poi con sorriso complice bisbigliai: “Senta, il proprietario della macchina è proprio lì alla reception. Veda lei…”
Entrò e fu aggredita dalla signoradellepulizie che vide in lei un ottimo rimpiazzo adesso che io me ne ero andato.
Meglio di Freddy vs Jason: signoradellepulizie vs signoradelparcheggio.
Inutile dire però che non c’era partita e francamente temo che la poveretta sia ancora lì.
Buttai la roba nel portabagagli e scappai. Dopo qualche metro però mi fermai e scesi: non avevo vissuto il mio momento epico. Mi girai e ammirai per l’ultima volta l’incommensurabile bruttezza dell’ultima sede di Clarence. Non c’era nulla di epico però e forse soltanto in quel momento capii che Clarence, quello vero, se ne era andato già da tempo.
sostituire la parola Clarence con E-Loft.
Il portale “pan europeo” degli studenti.
quelli che dovevano diventare “un punto di riferimento in europa per tutti gli studenti, per capirci una specie di CTS ma con “molti” più servizi da offrire, ma soprattutto da offrire gratis!” quelli che, ci avevano detto “sarebbero diventati ricchissimi”. Tristezza…
Per quanto concerne le altre categorie di lavoro, scusami “alex” ma chi ha detto che gli uomini che verniciano, demoliscono e asfaltano fanno una vita “avvilente”?
buona giornata