Ebbene sì, Piero Marrazzo – per ora – risulta che non abbia commesso reati, e in teoria non aveva motivo di dimettersi. Figurarsi se ne avrebbe avuto motivo Silvio Berlusconi, che è andato con una prostituta o un milione che fossero. Anche il decreto di condanna dell’ex direttore di Avvenire Dino Boffo era davvero poca roba, a ben vedere. La faccenda della «ricattabilità» poi è una sciocchezza siderale, perché dove non c’è reato non dovrebbe esserci vergogna: ma siamo un Paese che resta cementato a un’ipocrisia profonda, storicamente e culturalmente radicata, inguaribile, ormai codificata. A regnare incontrastato resta non il diritto positivo, ma il diritto naturale, gli usi & consuetudini, il celeberrimo «si fa ma non si dice».
Puoi fare ciò che vuoi, basta che non ti faccia beccare: sesso, adulterio, aborto, eutanasia, abusi edilizi, lo scontrino che non ti hanno dato ma che tu non hai chiesto, l’auto in doppia fila, un’immensa zona grigia in cui il lecito può essere moralmente illecito, e l’illecito confina invece con una cultura tutta italiana nel definire leggi che probabilmente, già si sa, non verranno rispettate. Ogni regola varata contempla in partenza un venturo accomodamento, una mediazione a metà tra il suk latino e il rosso porporale. Imbracciare di volta in volta una questione morale, in questo scenario, significa solo: devi fare quello che dico io, perché sì.
Intanto ex pistaioli di giudiziaria settacciano i peggio trans della Capitale e mendicano interviste guardone e squallori veristi, mentre squadre di segugi annusano ogni possibile traccia della vita sessuale di Piero Marrazzo mentre della questione giudiziaria – esattamente come per le inchieste di Bari – tutto sommato chissenefrega. Che pena anche lui – Marrazzo – nel suo copione accelerato del redento di sinistra: pubblica confessione, pubblica mortificazione, pubblica minimizzazione, pubbliche dimissioni, somatizzazione e malattia, pace con la moglie in tre secondi, ritirata in convento in altri due, probabilmente seguirà libro (tipo «Ho ritrovato la strada», ma suona ambiguo) e poi ritorno in tv, predicozzi sull’infelicità del successo, ero come un drogato eccetera.
Che pena anche certe interviste a psicologi & psicoterapeuti tipo una – meravigliosa – pubblicata sulla Stampa: «Coi trans il cliente cerca la cura della mamma», qualcuno che magari «cucini le torte»: che è roba da indagare sull’infanzia e sulle madri degli psicoterapeuti italiani. L’intervista ipotizzava che gli uomini vadano coi trans per via «dell’eccessiva virilizzazione delle loro donne», del tipo: hanno una moglie mascolina e allora si rifugiano nel tepore femminile di un brasiliano di 1 e 90 che rompe le noci coi denti.
Di fronte a tutto questo c’è un Paese che fa spallucce rispetto allo scudo fiscale, che consente di ripulire e di far rientrare del denaro illegale, e poi c’è un Paese che da 51 anni rifiuta di incassare del denaro legale: quello delle prostitute, o trans, escort, come volete chiamarle. E’ lo stesso Paese che accosta la prostituzione a un problema essenzialmente di arredo urbano – nascondendo la polvere sotto il tappeto, nonostante in strada eserciti ormai una minoranza – diversamente da altri paesi europei dove migliaia di persone svolgono un mestiere legale e perciò pagano le tasse come gli altri.
C’era anche una sinistra, in Italia, che un tempo si faceva paladina dei diritti civili e delle minoranze – le prostitute tra queste – mentre ora ce n’è un’altra che sprigiona bigottismi e fa tragedie se un tizio è andato con una escort e un altro è andato con un trans: mestieri – ripetiamo – non illegali. E’ la stessa sinistra che lascia ad altri il compito di proporlo una volta per tutte: abbiamo bisogno di soldi? A 51 anni dall’approvazione della legge Merlin, che abolì le case chiuse in attesa di una regolamentazione mai giunta, facciamolo: decidiamoci e discipliniamo la prostituzione come già accade nei paesi civili. Al primo che parlasse di immoralità chiedete, appunto, perché lo scudo fiscale sarebbe più morale.
Prendete tre casi del 2008, infine.
Elliot Spitzer, governatore di New York, viene intercettato mentre combina con una prostituta; si dimette.
Ikka Kanerva, ministro finlandese, spedisce sms piccanti a una spogliarellista che se li rivende; si dimette.
Max Mosley, presidente della Federazione internazionale di automobilismo, compare in un video che documenta un’orgia con cinque prostitute; non si è dimesso.
Che cosa accomuna questi tre casi? In teoria nulla. Il governatore di New York ha compiuto un reato, perché nel suo Stato la prostituzione lo è: a casa. Il ministro finlandese, coi suoi sms, non ha compiuto un reato: a casa lo stesso per ragioni «morali». Neppure Max Mosley ha commesso un reato (la prostituzione in Germania non lo è) e semmai lo ha subito, perché è stato spiato: e molti lo volevano a casa lo stesso.
Ergo: se in una condotta la discriminante non è più la legalità ma la sua pubblicizzazione, addio. Se la morale mediatica supera in importanza il rispetto delle leggi, addio. Per i personaggi pubblici sarà sempre più difficile sfuggire a una totale trasparenza: ma sarà sempre più difficile che la concedano. Per questo Paese già culturalmente portato alla doppia morale, in altre parole, gli scandali politico-sessuali sono terreno ideale: toghe e massmedia si scateneranno ancora di più. Non è la moda del momento: ci frastorneranno le palle per anni.
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