Antonio Di Pietro: la tragedia di Messina «E’ dovuta al fatto che invece di fare la difesa del territorio vi mettete a fare il ponte sullo stretto di Messina… il governo Berlusconi è causa di quella distruzione»
( https://www.youtube.com/watch?v=pjpewXnBlOk )
Il ponte sullo Stretto era un sognante progetto berlusconiano dal 1994. Questo non aveva impedito a Di Pietro di portarlo tranquillamente in Consiglio dei ministri già il 26 luglio 1996,(75) quand’era ai Lavori pubblici col governo Prodi. Lo aveva anche inserito tra le opere urgenti, poi era finita com’era finita. Questo il Di Pietro uno.
Nel 2001 era tornato al governo il Cavaliere e il Di Pietro due, a Bellaria per gli stati generali del partitello, aveva mutato angolazione: «È un’opera mussoliniana per potere dire ai posteri «quello l’ho fatto io» (76) … è una cattedrale di San Silvio»
Battute a parte, definiva l’opera «non prioritaria». (77)
Poi, nell’anno 2006, tornava il Di Pietro uno: ma piano, a modo suo, senza chiamare le cose col loro nome. Il 28 giugno, per esempio, auspicò «una soluzione condivisa che non porti al ponte sullo Stretto né a una penalizzazione estrema». (78) Mezzo ponte?
Il 4 luglio incontrava i rappresentanti della società Ponte sullo Stretto e ne discuteva con loro. Era la stessa società che Pds e Verdi avevano già chiesto di chiudere perché in dodici anni aveva speso incredibili quantità di soldi, ma Di Pietro, bello bello, dispose un ulteriore finanziamento di circa 25 milioni di euro. E diceva, sempre più chiaro: «Non ho mai detto di volere il ponte, ho detto solo che bisogna completare il progetto per capire se è fattibile o no». (79)
Addirittura cristallino, poi, intervistato da Milena Gabanelli, stagliava: Non sono convinto che basta dire non si fa. Sono convinto che se avessimo fatto tutto il resto in Italia, anche il ponte è da discutere se valga la pena di farlo, perché no?». (80)
Arnaldo Forlani era un venditore di pentole in confronto al Tonino che per discutere del ponte incontrò anche Salvatore Cuffaro, il presidente della Regione Sicilia. (81) I nodi vennero al pettine il 25 ottobre 2007, quando i Verdi al Senato presentarono un chiaro emendamento per sopprimere la società Ponte sullo Stretto. Nessun problema: Di Pietro ricorse ai voti del centrodestra e la maggioranza andò sotto. La società fu salva. (82)
Tonino si tenne il ponte ma non Franca Rame, che lasciò il movimento. «Ecco l’uomo nuovo di Beppe Grillo» (83) chiosò Franco Giordano di Rifondazione comunista. E proprio tutti i torti non li aveva. Il programma dell’Unione, nel citare il ponte, si riproponeva «di sospendere l’iter procedurale in atto per realizzarlo » ritenendolo «inutile e velleitario». Ma che c’entrava: quel programma l’aveva firmato il Di Pietro due. Quello era il Di Pietro uno. Un po’ di pazienza e il Di Pietro due sarebbe senz’altro tornato. E infatti. Eccolo a metà maggio 2009, nel pieno della campagna per le elezioni europee: «Berlusconi rinunci alla realizzazione dell’inutile ponte di Messina … in Sicilia, in Calabria e in tutta Italia ci sono emergenze più importanti del ponte … Emergenze come quella idrica, dell’occupazione, ambientale, delle energie rinnovabili». (84)
Nel citare anche la classica «cattedrale del deserto» (85) le sue parole si faranno provvisoriamente identiche a quelle della stessa sinistra radicale che aveva turlupinato al Senato. Sul tema, una sintesi della posizione di Tonino – l’uomo della trasparenza – l’ha abbozzata il giornalista Giuseppe Cruciani in un suo libro interamente dedicato al ponte: «Si può fare, ma anche no. Dipende. Si arrangia. Si adatta. Non dice mai no, ma nemmeno sì. In fondo è quello che hanno fatto tutti i politici italiani dal dopoguerra in poi. Un piede di qua, uno di là. «Vi comportate come i talebani coi Buddha» urla rivolto ai verdi. Mentre rassicura deferente l’amico Marco Travaglio: «Non lo voglio fare, sia chiaro». (86)
Il ponte sullo Stretto aveva fatto ammucchiare circa un quintale di documenti, aveva fatto spendere 160 milioni di euro in studi e progettazioni, era stato promesso da Mussolini, Craxi, Prodi e Berlusconi e se n’erano occupati trentatré governi e 234 ministri in dodici legislature. (87) Un Di Pietro in più o in meno sai che differenza faceva.
75 Ansa, 26 luglio 1996.
76 Ansa, 22 giugno 2002.
77 Ibid.
78 Ansa, 28 giugno 2006.
79 A. Giostra, Il Tribuno, cit., p. 128.
80 Giuseppe Cruciani, Questo ponte s’ha da fare, Milano, Rizzoli, 2009, p. 161.
81 Ivi, p. 162.
82 Ansa, 25 ottobre 2007.
83 Ibid.
84 Ansa, 20 aprile e 6 maggio 2009.
85 Ansa, 16 maggio 2009.
86 G. Cruciani, Questo ponte s’ha da fare, cit., pp. 162-63.
87 Ivi, quarta di copertina.
Tratto da «Di Pietro, la vera storia» di Filippo Facci (Mondadori, 21 euro, 528 pagine, in libreria dal 13 ottobre)
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