Facci-Feltri, una spiegazione.

Ai più non gliene fregherà niente: basta che non leggano. Tuttavia, grazie a un simpatico blog (http://dituttounblog.com/stampa-e-dintorni/feltri-farina-vs-belpietro-facci), mi è semplicissimo rispondere a quanti mi chiedono se scrivo ancora sul Giornale o che ne penso delle cazzate di Feltri.

Ricordo che mi sono dimesso da Mediaset e che non scrivo più sul Giornale dal giorno in cui Feltri è arrivato. Ora scrivo su Libero. La ricostruzione, qui di seguito, è del blog suddetto.

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31 agosto 2009

Oggi Renato Farina scrive un articolo in cui si dice “sinceramente felice per la solidarietà episcopale a Dino Boffo” e denuncia che, viceversa, a parte Vittorio Feltri e gli amici di Comunione e Liberazione, nella vicenda del Sismi e di Betulla nessuno prese le sue parti. E snocciola quindi i nomi di chi lo trattò “come un mascalzone”.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=378405

Per la verità, nel suo libro “Agente Betulla” (edizioni piemme, 2008) l’elenco dei difensori si fa leggermente più lungo, comprendendo, tra gli altri, anche i nomi di Francesco Cossiga, Stefano Folli e Riccardo Muti. Ad incuriosirmi è stato però il fatto che l’unico giornalista citato nell’articolo di Farina sia stato quel Filippo Facci che a suo tempo lo definì “il giornalista più zuccheroso della storia, caso da psicanalisi”, reo di aver pubblicato “sms anche molto privati”, sebbene a trattarlo a pesci in faccia siano stati in molti, compresi Travaglio e Lerner del quale, nel libro citato, l’onorevole dice “mi ha dato lavoro e per questo gli sono riconoscente. Non mi ha creduto a proposito di Sismi e dintorni. Da quel momento mi ha tolto anche il nome, mi chiama con le iniziali: erre effe”. Era il novembre 2006: Feltri e Farina erano a Libero, Belpietro e Facci li trovavamo al Giornale. Del primo scambio di cortesie tra Feltri e Facci ha già raccontato il secondo sul suo profilo di Facebook, indicandolo come una prima spiegazione del suo addio al Giornale. Il primo del mese uscì un articolo di Facci sul Giornale che si scagliava contro la proposta dei consiglieri milanesi di Forza Italia di assegnare l’Ambrogino d’oro a Farina, il giorno dopo Feltri rispondeva a muso duro su Libero e poi, il 3 novembre, Facci controreplicava.

Filippo Facci sul Giornale del primo novembre:

Mancava che i consiglieri milanesi di Forza Italia proponessero Renato Farina per la medaglia d’oro del Comune: un disastro. Io l’amicizia la capisco (Il Domenicale mi ha censurato un articolo su Farina per amicizia nei suoi confronti) e nondimeno capisco l’amicizia che ha spinto un forzista vicino a Comunione e Liberazione (vicino a Farina) a questa trovata che ha lasciato perplessi tanti colleghi suoi.
Ma il disastro non è tanto il chiedere onoreficienze per chi la gaffe della “difesa dell’Occidente” l’ha già abbandonata da un pezzo, e infatti ha chiesto scusa, ha cercato di patteggiare una pena che però l’ha visto punito con 12 mesi di sospensione.
E il disastro non è neppure, o non solo, il prospettare a tanti giornalisti ordinari che per essere premiati e onorati, oggidì, si debba infrangere la legge e farsi pagare dai servizi segreti.
Il disastro è la mancata comprensione del danno che si fa a Farina stesso, bipolarizzato come tutto il resto, scaraventato in politica con ciò peggiorando una caciara che già bastava: l’Ordine regionale che dice una cosa, La Federazione della Stampa che ne dice un’altra, i linciaggi sui giornali a torto o a ragione, i Gad Lerner che sciacalleggiano, la Procura che infine impugna la sospensione per 12 mesi perchè vuole che Farina venga radiato a vita e finisca magari in galera.
Farina è colpevole, sta pagando, pagherà. Ma chi alza un’improbabile bandiera si chieda almeno a danno di chi, e dove, rischi di finire l’asta.

Vittorio Feltri su Libero del 2 novembre:

Filippo Facci sulla prima pagina del Giornale ieri ha mostrato di che pasta sia. Fingendo pieà, con quel suo stile da Campari Soda, seppellisce Renato Farina sostenendo che è già morto. Non vuole che gli si dia l’Ambrogino d’oro perchè, afferma, sarebbe un “disastro” proprio per Farina. Quanto altruismo, Poi, con la manina dell’accoltellatore che si avvicina con l’aria di fare una carezza, spiega: il solo merito di Renato è quello di “infrangere la legge e farsi pagare dai servizi”. Quindi si diletta pure a sentenziare e a menare gramo: “Farina è colpevole, ha pagato, pagherà”. Sulla (non) colpevolezza ci arrivo subito. Sul piano della iettatura avverto il dilettante del Giornale: ho la patente. Ne ho già stecchiti per molto meno.
Colpevole Farina? Facci ricava questa sentenza dal fatto che il mio vice ha proposto il patteggiamento all’Ordine lombardo dei giornalisti. Patteggiare in nessun caso vuol dire riconoscere una colpa: lo dice la legge. Quanto a Renato, ha avuto il torto di seguire il mio consiglio. Gli ho suggerito di fermare la pratica a Milano con il minor danno, sapendo bene che a Roma lo avevano già dichiarato radiato a prescindere, senza bisogno neanche di sentirlo.
Ma per Facci è colpevole e pagherà. Mi dicono passi per garantista. Probabilmente lo è, a seconda del reddito e del padrone. Paolo Berlusconi ci risulta abbia patteggiato. Perchè non gli dedica un bel corsivo sulle discariche? O forse l’ha fatto e non ce lo ricordiamo?
La dico tutta. Farina merità l’ambrogino d’oro. Per quello che scritto di Milano e su Milano, e anche per il suo modo di intendere il giornalismo. Diciamo alla Testori. Aldo Brandirali proponendolo ha interpretato i sentimenti della gente, non solo milanese, che si identifica col modo farinesco di raccontare e giudicare la realtà.
Come si fa a non caopire che l’aggressione senza precedenti che ha subito è la prova che Renato è importante? Facci losa, e gli rode. Per questo cerca di affossare la candidatura di Renato e la denigra. Poi perà inciampa nelle sue stringhe da fighetto. Quando scrive che contro Farina si sono scatenati “i linciaggi sui giornali a torto o a ragione”. Bel garantistone di un Facci. Ci sono anche i linciaggi giusti per questa mente fina di giurista da osteria. Secondo me Facci andrebbe arrestato per apologia di reato.

Filippo Facci sul Giornale di venerdì 3 novembre:

Ieri sono stato attaccato da Vittorio Feltri: un signore che non ha neppure
il coraggio di essere direttore responsabile del suo giornale perchè ha
paura delle querele.
Un signore che ha fatto la battaglia contro le baby-pensioni e poi è andato in pensione a 53 anni.
Un signore che ha fattola battaglia contro le sovvenzioni pubbliche ai giornali di partito e poi ha trovato il modo di prenderle anche lui.
E tacciamo di altre faccende, per ora.

A Feltri ha dato fastidio che io abbia dato di farisei a quei consiglieri di Forza Italia che vogliono appuntare la medaglia d’oro del Comune di Milano sul petto di Renato Farina: un premio a un giornalista che si è messo al soldo dei servizi segreti e che ha fatto pedinare un magistrato per il Sismi. Un premio per aver spiato nascondendosi dietro un giornale (il suo) proprio come le spie dei film. Un distintivo per aver fatto l’agente segreto con rimborso a pie’ di lista. Un riconoscimento al valor civile per aver combattuto la guerra tra Occidente e Islam: anche se Farina è diventato Agente Betulla nel ‘99, quando le Twin Towers svettavano e Farina attaccava gli Usa perchè bombardavano i serbi.
Feltri è così lucido che non ha capito neppure che per Farina si vuole solo scongiurare il peggio, come ho scritto ieri: perchè è Farina che ha abbandonato la posa del difensore dell’Occidente, è lui che si è detto pentito, e ha chiesto scusa, ha ammesso l’errore.
E non puoi premiare un tizio per un errore: penalmente rilevante, peraltro. Non puoi prospettare alla classe giornalistica che se infrangi la legge e ti fai pagare dai servizi segreti ti premiano pure. Non puoi, e non devi, alzare la posta politica e fare di Farina una bandiera: altrimenti diventa l’oggetto di un contendere che riguarda altre cose, rischia di essere schiacciato in mezzo, di peggiorare una punizione già inflittagli e che per quanto mi riguarda va benissimo così.
Ma Feltri non ha capito un tubo.
Ha scritto che “patteggiare non vuol dire riconoscere la colpa, lo dice la legge”: e la legge dice proprio il contrario.
Mi ha dato di invidioso, di roditore, di iettatore eincredibilmente di “garantista a seconda del reddito e del padrone”, confondendo la mia storia di garantista con la sua di banderuola: passato com’è egli medesimo, si sa, dal fare il quotidiano più forcaiolo della Storia al fare il più garantista, sinchè gli è riuscito: per il grano e i quattrini, direbbe lui.
Un signore, Feltri, che ieri ha scritto di me: “Sul piano della iettatura lo avverto: ne ho già stecchiti per molto meno”.
Una 44 Magnum per l’ispettore Feltri.
Datelo a lui l’Ambrogino d’oro, anche se probabilmente lo venderebbe subito.

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Non era finita qui. Il 18 novembre uscì sul Giornale una lunga ricostruzione della vicenda Betulla firmata da Filippo Facci, quella degli sms privati a cui fa riferimento oggi Farina.

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Dapprima, come nome in codice, Renato Farina aveva pensato a Cedro: ma rinunciò per non confondersi con un amico libanese. Il nome in codice di Pio Pompa, invece, era Pino De Santis. Betulla e Pino: quando si dice il sottobosco.

Cìò risulta dalle carte, come tutto il resto: la storia di un giornalista che pareva già disperato prima ancora che l’inchiesta lo investisse come un treno: “Scusa la mia depressione, penso che la mia parabola si stia spegnendo nell’indifferenza generale”, scrive in un inquietante sms del 26 maggio. Non è ancora successo niente, ma questo è Farina, la sua perenne lacerazione, la sua bulimia esistenziale, il suo cattolicesimo carsico tra tormento ed estasi: Farina è un personaggio che fu visto tirare testate nel muro (letteralmente) perchè non gli riusciva un articolo.

Il giorno prima, 25 maggio, aveva riferito al Sismi di una presunta opinione di Gad Lerner su Tronchetti Provera; il giorno dopo, 27 maggio, aveva seguito per l’ennesima volta le istruzioni del funzionario del Sismi Pio Pompa: c’era da scrivere che un attacco su Gaza era solo una questione palestinese, che Israele non c’entrava. Renato, scrivilo.

Sono le carte a dimostrare che le veline dei servizi segreti venivano cotte e mangiate così com’erano. Farina ogni tanto smistava ad altri, ma le cose importanti, come quel pezzone del 14 maggio sul caso Abu Omar, le scriveva con Claudio Antonelli. Il caso più clamoroso rimarrà quello del 9 giugno successivo, con Libero ad annunciare “rivelazioni” e a spiegare che era stato Romano Prodi, da presidente della Commissione europea, ad autorizzare i voli segreti della Cia in Italia.
Titolo: “Sorpresa, dietro le missioni Cia il visto Prodi”.
Negli uffici del Sismi verrà reperito l’originale della velina trasmessa da Pompa sulla faccenda: identica all’articolo pubblicato da Libero. Non una verifica, non uno scrupolo per una notizia già falsa nelle premesse: mai l’Unione europea potrebbe autorizzare voli o altre cose, ovvio, non avendo il potere di sovrapporsi agli stati nazionali. C’è scritto nel trattato di Maastricht, ma non occorre averlo letto.

Farina al tempo non se cura.
Proprio quel 14 maggio dice al suo cronista Antonelli di procurargli un incontro con il pm Armando Spataro: viene fissato in Questura per domenica 21 maggio, nell’ufficio del capo della Digos Bruno Megale. C’è Spataro, c’è il pm Ferdinando Pomarici e ci sono dei microfoni nascosti.

Pio Pompa era stato chiaro, Farina doveva inscenare una specie di falsa intervista con due obiettivi: capire se il Sismi fosse coinvolto nell’inchiesta su Abu Omar e depistare le indagini fornendo false informazioni. Le domande erano concordate con il Sismi, ma Farina da principio le prende troppo alla lettera: “Il Sismi c’entra con Abu Omar?”, esordisce, facendo tremare i cornicioni. “I primi dieci minuti sono stati un crescendo di tensione”, racconterà Antonelli, “anche perché Farina fece subito cenno a D’Ambruoso”.
E’ il depistaggio: inventarsi un ruolo del pm Stefano Dambruoso nel rapimento di Abu Omar. “Le mie fonti, vicine agli americani, mi dicono che insomma D’Ambruoso non poteva non sapere”, dice Farina ai magistrati. “Verbalizziamo”, risponde Spataro. E Farina ad Antonelli: “Butta giù due appunti”.
Antonelli non lo sa, ma sta compilando un’informativa per il Sismi.

E in serata, infatti, Antonelli gira gli appunti a Farina che ne aggiunge di suoi e gira il tutto a Pompa, che gira il tutto a Nicolò Pollari, direttore del Sismi. Farina si finge giornalista, Antonelli crede di farlo.

Pio Pompa, per molti aspetti, era comunque una fonte come un’altra,: lo chiamano anche Tony Capuozzo del Tg5, Pino Buongiorno di Panorama, Claudia Fusani di Repubblica, Antonio Padellaro e Andrea Purgatori dell’Unità (incontrarono Pompa insieme al direttore del Sismi, Niccolò Pollari), Stefano Cingolani del Riformista e della Stampa, Mario Sechi e Gian Marco Chiocci del Giornale, Massimiliano Boccolini dell’AdnKronos, Gigi Riva dell’Espresso, Vincenzo Sinapi dell’Ansa, Christian Rocca del Foglio. Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera e Luca Fazzo di Repubblica invece parlavano con gli 007 Mancini e Murgolo (arrestato per il caso Abu Omar) che aveva contatti quotidiani con Pompa.
Qualcuno aveva con Pompa un rapporto sin troppo amicale, ma il caso Farina è diverso: c’era un’amabile e personalissima confusione nella doppia vita di un vicedirettore già ingordo di suo di contatti e riconoscimenti: infinite come sempre, om quel periodo, le telefonate per segnalare i propri articoli, la spedizione di sms con antifone sui santi a personaggi che magari non sentiva da anni.
E’ la routine di un vicedirettore bulimico: gente che chiama, Edoardo Raspelli che gli chiede di essere assunto, chiacchiere con Monsignor Maggiolini e Paolo Bonaiuti, ovviamente ringraziamenti a Pio Pompa che gli farà avere dei biglietti gratuiti per le partite dei mondiali: dopo Italia-Ghana, è noto, Farina ringrazierà direttamente su Libero: “Ho usato amici che la sanno lunga. Fatta! Grazie a Pio e a Dio”.

Urrà. E infatti il rapporto con Pompa prosegue giocoso come sempre. Farina, a fine luglio 2005, gli aveva chiesto una consulenza persino per duellare con Marco Travaglio a Primo Piano, sui Raitre.
Può accadere che la qualità delle informative talvolta làtiti: il 10 giugno Farina riferisce a Pompa che il pm Spataro aveva interrogato diversi ufficiali del Sismi, ma lo sapevano tutti; un’altra volta Antonelli gli riferisce che Spataro è negli Usa per un convegno: e basta per farne un’informativa. “Mai avrei immaginato”, dirà Antonelli, “che notizie tanto banali quanto riservate potessero uscire dalla redazione”. Ma Farina con Pompa metteva le mani avanti: “Io ti do anche la pattumiera, poi sei tu a scegliere, perchè molte cose che girano nell’ambiente giornalistico sono anche tentativi di depistaggio, no?”.

Insomma tutto bene. I due non hanno sospetti neppure quando la sorte pare avvertirli. Pio: “Senti, perchè c’è ’sto rumore?”. Farina: “Io non sento nessun rumore. C’era un rumore?”. “Sì”. “Che rumore?”. “Niente”. “Un ronzio?”.

Le prime notizie sono sui quotidiani del 6 luglio: si parla di un ufficio clandestino del Sismi dove il funzionario Pio Pompa gestiva migliaia di dossier screditanti. Il direttore di Libero, Vittorio Feltri, informa che Farina e Antonelli sono indagati. Per favoreggiamento, si apprenderà. Verrà fuori che Farina risultava a libro paga del Sismi col nome in codice Betulla.
Ma Farina quel giorno è ai Mondiali di Germania coi biglietti di Pompa, e rischia di perdersi la vittoriosa semifinale coi tedeschi.
Parla al telefono con Vittorio Feltri che lo rassicura: “Mi sembra che non stia in piedi… l’unica ca(…) che avete fatto è andare nell’ufficio del Spataro… andare lì a fare cosa?”. Farina: “Ma no… è stato loro che… insomma mi piacerebbe sapere che ricordi ha Antonelli… Antonelli diceva…”. Feltri: “Io ho parlato con Antonelli”.
Farina deglutisce e dice che insomma era andato dai magistrati solo “per tenere rapporti istituzionali”, ma Feltri s’inquieta: “Non abbiamo bisogno di loro, i servizi segreti non c’hanno mai dato mezza notizia… quando abbiamo avuto bisogno di un verbale, di qualcosa… abbiamo dovuto procurarcelo per i ca (…)nostri”. Ignora la doppia natura del suo vice, all’apparenza. Ignora, pure, che il suo vice su Libero aveva già piazzato paginate di veline: “Magari tu avessi la possibilità di muovere le pedine in quella maniera lì, avremmo 250mila copie, non 120… ma dov’è il problema? Dove sono i reati?”.
Farina non lo spiega, e Feltri non lo apprende: a meno che la telefonata fosse la duplice commedia di chi pensava d’essere intercettato. Ai magistrati, comunque, Farina dirà così: “Ho sempre informato Feltri, gli ho sempre detto di queste cose e di questi rapporti, anche perchè mi ha indirizzato lui a questo”.

L’interrogatorio di Renato Farina, immortalato il 7 luglio 2006 per quasi 200 pagine, è qualcosa che lo scrivente non aveva mai visto in vent’anni di professione. Più che interrogatorio è psicoanalisi, seduta autocoscienza, autoflagellazione e delirio di onnipotenza che si alternano nella scia di un progressivo distacco dalla realtà. A inquietare non è tanto la sua apparente insincerità nel raccontare alcuni fatti, ma la sua apparente sincerità nel raccontare come il mondo ritenga che si relazioni a lui.
I magistrati Maurizio Romanelli e Stefano Civardi, quel giorno, vedono passare le ore senza che nulla quagli. Farina ha raccontato per ore di un suo ruolo in Serbia nel 1999, quando da inviato del Giornale, dice, fungeva da tramite tra Milosevich e il governo D’Alema. Nota: la circostanza è stata smentita con una certa decisione sia dall’ex ministro degli Esteri Lamberto Dini che da Giulio Andreotti, tuttavia “C’è stato un momento in cui io ero quello che trattava con Milosevich… Io ero contro la guerra sulla base delle indicazioni del Papa e volevo pagare stando sotto i bombardamenti, una cosa un po’ eroica”.
Ma Farina spiega che un giorno l’avvertono che vogliono ucciderlo: “Devi ripartire subito”. Chi l’avverte? “Uno dei servizi, o un infiltrato dei servizi serbi, o uno dei servizi segreti del Pci”. Il nome? “Non vorrei che questa persona fosse eliminata… glielo dico in un orecchio”. “In un orecchio no”, s’imbarazza il magistrato. “Io comunque non volevo ripartire, avevo più paura di tornare a rapporto dal mio direttore che di quelli che mi ammazzano”. Il direttore era Maurizio Belpietro. Al Giornale, comunque, ricordano che Farina tornò senza preavviso, adducendo problemi di salute di un familiare.
Poi Farina passò a Libero, e Vittorio Feltri, dopo l’11 settembre, l’incaricò di contattare Francesco Cossiga per capire che cosa stesse combinando il Sismi. Cossiga gli disse che non nominare Niccolò Polari a capo del Sismi sarebbe stato un errore capitale, e Farina si diede da fare: “Fatto sta che mi faccio parte di questa campagna giornalistica fino a sottoporla alla persona di Martino, il quale effettivamente sceglie Pollari”. E’ merito di Farina.
Ecco perchè Pollari volle conoscerlo. E fu subito intesa, scambio d’informazioni: “Il 95 per cento della mia attività giornalistica si occupa di tutto, cioè io sono un universalista, cioè faccio cose politiche, naturalmente poi vado in trincea quando si tratta di fare anche cose giudiziarie, ma non sono uno sbirro del giornalismo, non sono un pistaiolo… Di terrorismo italiano ci capisco, quando Feltri mi telefona e mi dice che le Brigate Rosse hanno sparato a uno a Bologna, io lo sapevo che era Marco Biagi”.
Morale, Pollari chiede a Farina di attivarsi: “E allora lì c’è un problema di coscienza: se i servizi ti chiedono una cosa, tu che fai? Io ho pensato che c’era una guerra mondiale in atto”. Una guerra che nessuno immagina: “All’Hotel Cavalieri Hilton di Roma mi si avvicinò una sorta di plenipotenziario dei servizi americani. Mi spiegò che non esiste solo la Cia, e c’è questo servizio che dipende direttamente da Condoleeza Rice”. E chi era questo? “L’Ammiraglio Capra”. Prego? “Esiste, ho guardato su internet e ho visto che esiste un ammiraglio Capra”. La Cia parallela, spiega Farina, vedeva Pollari come una sciagura e lo descriveva come un corrotto troppo propenso al dialogo col mondo arabo, insomma “non organico all’intelligence occidentale”. Perciò Farina diffidò di Pollari, all’inizio.
Ma nel 2004, dopo l’attentato di Madrid, Feltri chiese a Farina di rifarsi sotto con Pollari. Il rapporto si riallacciò: “E’ come se mi fossi innamorato di Pollari”, dice Farina ai magistrati. Farina lesse un rapporto su possibili attentati a Londra che su Libero tradusse così: “Tettamanzi e Formigoni nel mirino del terrorismo”. “Fu una mia esasperazione”, ammette Farina.
Ma è il documento del Sismi “Rischi e speranze” datato 3 dicembre 2003 a scolpire le convinzioni del soldato Farina: “Il documento usava dei termini riferiti a Berlusconi che io interpretai come quasi tradotti dal linguaggio del cabaret della sinistra, per cui ho pensato che ci fossero elementi di convergenza con questi ambienti, no? E’ stato uno dei miei cavalli di battaglia, l’alleanza oggettiva o soggettiva tra marxisti e islamici… Questa Cia alternativa ha in mente di dustriggere il Sismi, è legata ad ambienti neoliberal americani che in coincidenza con l’avvento di Prodi e del centrosinistra vogliono cambiare i servizi. Questo saprei documentarlo”.
Probabile, ma i soldi? Farina racconta che fu Pollari a presentargli questo Pio Pompa, uno che sembrava Renato Rascel. Il rapporto si consolidò. Il primo pagamento fu di 1500 euro, e Farina dovette firmare una ricevuta col nome in codice.
Intere pagine dell’interrogatorio di Farina, dopodichè, sono occupate dal suo dilaniamento nel cercar di spiegare che altri soldi lui non ne voleva, non gliene importava: semmai, “per quello che avevo fatto in Serbia, il che avevo buttato lì anche a Minniti e Manconi”, Farina avrebbe gradito una nomina a commendatore. Non accadde: e accettò un rimborso forfettario per un totale di almeno 30mila euro. Questo sino a ieri: “5000 ad aprile, 4000 a maggio, o a giugno”, “Li ho usati d’accordo con mia moglie per delle liberalità… se uno invece li spendeva diversamente… cioè ho capito che dal punto di vista psicologico serviva a togliergli le inibizioni nel chiedermi delle cose”. Ossia: “Li ho presi con l’idea, dentro la mia testa e il mio cuore, che poi mia moglie realizzava, e in parte anche io realizzavo, di fare delle liberalità nei santuari”. Donazioni, elemosine. “Li ho messi dentro Santa Maria Maggiore, non volevo creare dei problemi, rifiutandoli”.

Alla fine dell’interrogatorio, segretato, arrivano i primi sms di solidarietà: da l’Opinione, dal Giornale, arriva anche una chiamata di Feltri che ha un’idea per toglierlo dall’ imbarazzo, dice. Forse è l’articolo che Farina scriverà entro sera, e che il mattino dopo infatti è su Libero, “Farina ci scrive”: “Ho aiutato i nostri servizi segreti a difendere l’Italia dai terroristi”, “La mia ambizione è sempre stata inconsciamente quella di Karol Wojtyla: lui morire nei viaggi, io sul fronte”, “Non ho scritto su Libero una sola riga che non coincidesse con i miei convincimenti”, “Sono reduce da sette ore di interrogatorio, ve lo vorrei raccontare, ma è stato segretato”.

Ecco perchè non ha scritto una parola dei soldi, mentre continua il circolo solidale: sms di Magdi Allam e Rula Jebreal, preghiere dedicate alla Vergine Maria, frammenti dei vangeli di Marco e Luca, una chiamata a Bruno Vespa per complimentarsi di un suo articolo, messaggi anche da Gad Lerner: “Renato, questa tua storia mi ha turbato e addolorato… può darsi che io me la senta di scrivere qualcosa… Come puoi immaginare conoscendomi, avrei scelto di difendermi diversamente”. Presto Lerner scoprirà che Farina, suo collaboratore all’Infedele, l’aveva tirato in ballo in un’informativa del Sismi: e inscenerà uno spot contro di lui su La7. Angosciato, il 14 luglio Farina cerca anche il Presidente della Repubblica, ma non glielo passano. A un amico dice che è ormai un possibile bersaglio del terrorismo islamico, che è un anello debole a dispetto della sua capacità di analisi (”non voglio paragonarmi a Falcone, ma…”) sicchè potrebbero colpirlo anche le Brigate Rosse: “Non posso neanche chiamare Pollari.. devo chiamare il ministro degli Interni… devo chiamare il ministro della Difesa… devo chiamare Manconi, la Procura… la Procura deve mettermi in sicurezza”. Vorrebbe incontrare anche Bonini e D’avanzo, dice all’amico: per dir loro che aveva fatto solo il giornalista. “Feltri mi chiede silenzio”, dice.

Il resto è cronaca. Il 28 settembre, Renato Farina si presenta all’Ordine dei giornalisti della Lombardia e chiede di poter patteggiare, fa “ammissione di responsabilità” e s’impegna a non occuparsi mai più di servizi segreti. Chiede una sospensione per due mesi, ma rifiutano. Ne propone quattro, rifiutano. Sei, rifiutano. Lo sospendono per dodici. Assolto il cronista Claudio Antonelli.
Il 30 ottobre la decisione dell’Ordine è impugnata dalla Procura di Milano, che per Farina chiede la radiazione a vita. Intanto alcuni consiglieri comunali di Forza Italia propongono di conferirgli la Medaglia d’oro del Comune: tanto per buttarla in . Obiettivo: buttarla in politica, an che se, un po’ come tutti i firmatori di appelli, molti probabilmente non sanno neppure di che si parla.
Il 9 novembre, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti rifiuta di audire Farina. Lui allora manda una mail in cui spiega che l’inchiesta gli ha impedito di intervenire sul Al Jazeera, e quindi di evitare gli attacchi al Papa dopo il discorso di Ratisbona: “Non posso fare nulla in settori che risentivano di una mia azione pacificatrice”. Scrive di aver ricevuto minacce di morte (troverà anche dei proiettili nella cassetta della posta) da parte del “Fronte rivoluzionario per il comunismo”. Scrive che era stato il tramite del Sismi durante tutti i rapimenti di italiani in Iraq: “Ho preso denari per pagare le spese, ma in nessun modo sono stato contrattualizzato”. Da allertare i sindacati: “Credo sia giusto che si ristabilisca la mia reputazione e mi si restituisca il lavoro”.
Uno dei due.

***

Il giorno dopo, su Libero, Feltri si imbufalì: “Il Giornale è in declino, mentre Libero è in costante ascesa suscitando apprensione nelle sue “vittime”. Inoltre Farina è un grande giornalista, Facci viceversa è un piccolo giornalista benché da anni sbraiti e si agiti nell’errata convinzione di uscire in tal modo dall’anonimato. Ovvio. Il piccolo, davanti al grande caduto in disgrazia per motivi extraprofessionali, non rinuncia a menare le mani. Gliene fa e gliene dice di tutti i colori con la violenza di chi ha la certezza di restare impunito”. Ancora: “Facci quindi non è soltanto un giornalista piccolo piccolo, ma è un omino e in questo caso si comporta da grande vigliacco. Il suo articolo è un ‘antologia di scorrettezze, tra cui una quantità spropositata di privatissime telefonate intercettate e trascritte nei verbali nonostante non c’entrino un’acca con le indagini. Telefonate di Renato a me, ai suoi amici, a colleghi, nelle quali si discute di problemi personali, si confessano stati d’animo, preoccupazioni, depressioni. Queste sono violazioni della privacy”. E infine una stoccatina a Belpietro: “Da sottolineare che Farina è stato cinque anni vicedirettore del Giornale, e un minimo di stile imporrebbe un po’ di rispetto per lui da parte di chi si è giovato della sua opera. Ma lo stile c’è o non c’è, e uno come Facci o come il suo direttore non può darselo”.

http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo336738.shtml

Siamo quindi al 20 novembre, atto finale della disfida, se escludiamo una breve risposta di Feltri ad un lettore nella quale afferma che lui di consigli da uno come Belpietro che perde migliaia di copie al giorno non ne accetta. L’assist all’attuale direttore di Libero lo fornisce la lettera indignata di un lettore del Giornale: In merito all’articolo di Filippo Facci a riguardo di Farina/Betulla pubblicato ieri, desidero esprimere il mio sdegno per tale infamità piena di acredine, dalla quale si recepiscono principalmente le cattiverie e gli odi personali e professionali che non fanno granché onore né a Facci, né a lei, che si capisce benissimo essere dietro a ciò. A prescindere dall’aspetto più o meno grottesco della personalità di Farina o del suo violare la deontologia della professione, nel vostro articolo lo avete linciato e demonizzato secondo il miglior stile sovietico, offrendo, a eventuali assassini, giustificazione e motivazione; non vi sentite dei vermi? Farina, pagato o no dai servizi poco importa, ha combattuto contro il nemico islamico di fatto, cosa che voi tutt’al più fate, sì o no, con le chiacchiere, perciò merita il rispetto a prescindere. Perciò, morale per l’esame di giornalismo: Facci ha dimostrato di essere un killer vigliacchetto e acredinoso e lei il mandante, ma bravi! Mi dispiace che vi ho apprezzato entrambi in altri frangenti. Vediamo se avete le palle per pubblicare questa lettera.

F.R. E le palle Belpietro, evidentemente, ce le aveva eccome, anche per rispondere per le rime a Feltri:

Caro F. R., oltre a lei altri otto lettori si sono lamentati dell’articolo di Filippo Facci su Renato Farina. La sua e-mail è la più dura, ma sostanzialmente tutte le rimostranze si riducono a una considerazione: se Farina, oltre che per il suo giornale, negli ultimi anni ha lavorato anche per i servizi segreti, in fondo lo ha fatto nell’interesse del Paese, combattendo l’integralismo islamico e il terrorismo di matrice araba. Perché dunque accanirsi? Per invidia? Per fatto personale? Per questioni di bottega? No. Conosco Renato da parecchio e francamente vedermelo travestito da agente segreto, o anche solo da informatore di un’agenzia militare di controspionaggio, mi fa ridere. Renato non ha combattuto nessuna «quarta guerra mondiale», come ama definirla, ma banalmente si è arruolato a pagamento in una personalissima battaglia al servizio di una bulimia da potere di cui è vittima da tempo, in preda a una smania egocentrica che lo attanaglia da anni. Chi lo conosce ha spesso riso dei suoi tic, scherzato sulle sue ossessioni d’apparire, sulle sue millanterie, che talvolta erano così scoperte da sembrare innocenti e suscitare affetto e comprensione. Ma sulla vicenda Sismi c’è poco da ridere. Questo giornale denuncia ogni giorno l’islamizzazione strisciante dell’Italia e critica l’arrendevolezza degli organi dello Stato, in particolare della magistratura. Quante volte abbiamo rivelato la costruzione di moschee finanziate da organizzazioni integraliste? Quante altre ci siamo trovati ad accusare giudici che scarceravano arabi sospettati di far parte di organizzazioni terroristiche, definendoli resistenti anziché attentatori? Quanti articoli di Ida Magli o Giordano Bruno Guerri abbiamo pubblicato su questi argomenti? Per quel che ci riguarda, il fondamentalismo e il terrorismo islamico vanno combattuti con ogni mezzo e, dunque, non ci scandalizzerebbe affatto se sapessimo che alcuni membri di associazioni criminali arabe sono stati prelevati all’insaputa della magistratura e consegnati agli Stati Uniti. Non critichiamo affatto chi ha preso in consegna Abu Omar e lo ha dato in custodia alla Cia. Anzi: se ci fosse un partito che si facesse promotore di una legge per consentire alla nostra intelligence di agire contro i terroristi senza timbri e lasciapassare – come accade appuntonegli Usa – noi l’appoggeremmo. Magari avessimo agenti segreti veri, che lavorano a tutela della sicurezza dello Stato. Però, scusi, non siamo per niente disposti a sostenere una banda di pirla, pagata dallo Stato, che in nome della difesa nazionale gioca a fare gli 007 e una volta presa con le mani nella marmellata tira in ballo la quarta guerra mondiale, la Cia parallela, tentativi di assassinio, Milosevic e perfino la sicurezza personale del Papa. La guerra al terrorismo islamico è una faccenda troppo seria per lasciarla fare a Pio Pompa e a Farina. Insistere a dipingere Renato come vittima del «conflitto arabo-occidentale» non solo è una stupidaggine, ma è una colossale presa per i fondelli, una ridicolizzazione della guerra vera, quella che prima o poi ci toccherà combattere a viso aperto. Il raccontino di un Farina colpito nell’adempimento del dovere di crociato cristiano in funzione anti Islam è un intruglio che, abbia pazienza, non riusciamo a berci e non vogliamo dar da bere neppure ai nostri lettori. m.b. Post scriptum. Il direttore di Libero, che è conosciuto per essere campione di stile, è tornato a minacciare Facci. Dopo aver scritto che ne ha stecchiti per molto meno, ieri ha detto che chi tocca Farina dovrà fare i conti con lui. Gli diamo un consiglio gratis: cominci a fare i conti con quelli che hanno inguaiato Farina e si chieda se giocavano a fare i James Bond solo perché erano stupidi o c’è dell’altro. Già che ci siamo, aggiungiamo un secondo consiglio, anche questo gratis: visto che Renato è stato costretto al silenzio da una sentenza dell’Ordine dei giornalisti (organismo del quale da dieci anni – e da non ieri – auspichiamo l’abolizione) e non può scrivere e dunque difendersi, perché non lo intervista ogni giorno su Libero, così gli fa raccontare la sua verità? Anzi, Vittorio, ti dico di più: se non hai spazio, o coraggio, le interviste a Renato te le pubblica il Giornale. Sempre gratis, s’intende.

Siamo alla fine dell’agosto 2009. Vittorio Feltri ha lasciato Libero ed è stato richiamato alla direzione del Giornale portandosi dietro Renato Farina, ora parlamentare del PdL.

Filippo Facci, che già non tollerava Feltri quando faceva il giustizialista ai tempi di Mani Pulite e che si era distinto nell’ultimo anno e mezzo per aver attaccato duramente prima il PdL per le sue liste elettorali e poi il Governo per la nomina a ministro della Carfagna, per le sue posizioni sul caso Englaro e per la vicinanza col Vaticano, spendendo nel frattempo una buona parola per Paolo Guzzanti nel momento in cui quest’ultimo decideva di abbandonare Berlusconi, evidentemente, lì non poteva più stare ed è approdato a Libero, il cui nuovo direttore è Maurizio Belpietro. Le coppie si sono ricomposte.

Ma a chi giova tutto ciò? D.K.

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11 Commenti

  1. sintesi per Kaspio:
    Belpietro ha scambiato il suo ufficio con quello di Feltri.
    Facci ha fatto lo stesso con Farina.

    Tra qualche anno si riscambieranno gli uffici…

  2. Visto da fuori sembra fondamentalmente un rimpasto, il gioco della sedia dove ognuno ne ha una. Tutto cambia e non cambia niente, c’è solo un direttore che prima ruttava da solo, adesso rutta e si girano tutti.

  3. Belpietro,Facci,Feltri, Farina ecc. tutta gente senza spina dorsale. In un giornale serio non potrebbero fare neanche i correttori di bozze.

  4. A giudicare da questa ricostruzione, Facci sembra decisamente migliore di Feltri (non che ci voglia molto, ok…), anche se poi non posso giudicare, non avendolo mai seguito con attenzione.
    Certo però che, tra Feltri e Farina che parlano di quarta guerra mondiale e Belpietro che parla di islamizzazione strisciante, liceità del sequestro Abu Omar e licenze speciali per i servizi segreti, c’è poco da parteggiare…

  5. La conclusione è che oltre ad avere giornalisti (e direttori) di piccolissimo calibro (ma non son sicuro che Facci sia poi così piccolo), in Italia abbiamo anche degli agenti segreti che non sono altro che dilettanti allo sbaraglio.
    Per fortuna in questi anni abbiamo almeno il miglior PresDelCons della storia!

  6. Questo di seguito riportato è il grande giornalista Feltri, notate la coerenza…

    L’Europeo, 11 agosto 1990 (dopo l’approvazione della legge Mammì)

    “Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l’altro la perla denominata ‘decreto Berlusconi’, cioè la scappatoia che consente all’intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna“.

    Sempre sull‘Europeo (dopo la conquista berlusconiana della Mondadori e l’approvazione della legge Mammì).

    “Il dottor Silvio di Milano 2, l’amico antennuto del Garofano, pretende tre emittenti, pubblicità pressoché illimitata, la Mondadori, un quotidiano e alcuni periodici. Poca roba. Perché non dargli anche un paio di stazioni radiofoniche, il bollettino dei naviganti e la Gazzetta ufficiale, così almeno le leggi se le fa sul bancone della tipografia?“

    L’Indipendente, 30 luglio 1992 (riferito a Tangentopoli)

    “Sui 70 e passa finiti in galera e su altrettanti che sono sul punto di finirci, soltanto tre si sono ammazzati, gli altri si godono il bottino“.

    L’Indipendente, 21 luglio 1993 (sempre riferito a Tangentopoli)

    “Ammesso e non concesso che un magistrato abbia sbagliato, ecceduto, ciò non deve autorizzare i ladri e i tifosi dei ladri [… ] gli avvoltoi del garantismo [… ]a gettare anche la più piccola ombra sulla lodevole e mai sufficientemente applaudita attività dei Borrelli e dei Di Pietro“.

    Corriere della Sera e La Stampa, 10 e 18 dicembre 1993 (in merito ai rumors sul suo passaggio a Il Giornale)

    “A Montanelli invidio tutto tranne che il Giornale. In fondo l’Indipendente continua a guadagnar copie, non c’è motivo perché io lo debba lasciare… Io a il Giornale? Ma che cretinata. Berlusconi non m’ha offerto neppure un posto da correttore di bozze. M’incazzo all’idea che io, proprio io, sembro voler fare la forca a Montanelli. Io qui a l’Indipendente, mi diverto, guadagno copie, faccio il padrone e il politico. Mi spiegate perché devo fare certe cazzate? A carico di Montanelli, poi…“.

    La prossima è riferita alla tragica morte in Iraq di Enzo Baldoni. La vogliamo riportare per mostrare chi è realmente il “giornalista“ Vittorio Feltri. Le sue parole si commentano da sole.

    Libero, 27 agosto 2004

    “Già ieri abbiamo scritto: un uomo della sua età, moglie e due figli a carico, avrebbe fatto meglio a farsi consigliare da Alpitour, anziché dal Diario, la località dove trascorrere vacanze sia pure estreme (si dice così?). Evidentemente, da buon giornalista della domenica egli ha preferito cedere all’impulso delle proprie passioni insane per l’Iraq piuttosto che adattarsi al senso comune“.

  7. non l’avrei mai immaginato (forse per l’antipatia che suscitano a pelle), però Facci e Belpietro sono stati molto più onesti dell’altra coppia. Comunque Facci potrà anche stare sulle scatole, ma se lui iniziasse ad avere maggiore rispetto del popolo del web sarebbe più apprezzato. Purtroppo, appena uno lo critica ( o peggio insulta), lui esplode..

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