– A parte il fatto che la bellezza è un fattore soggettivo…
– Nel nostro caso non lo è, mi creda. Quel trattato è in vigore da centinaia di anni, e ancora non siamo riusciti a trovare un solo essere vivente che avesse abbastanza fegato da ignorare il nostro aspetto e sposare un qualsiasi abitante del nostro pianeta. Alcune specie non ce l’avevano neanche, il fegato – proprio nel senso di organo -, e nemmeno quello è stato di aiuto.
– Ci sarà pur stato qualcuno che…
– No.
– Qualcuno che non…
– Le dico di no.
– E’ una cosa abbastanza triste.
– Ci si fa l’abitudine, nel giro di qualche millennio. In un certo senso ora siamo orgogliosi della nostra bruttezza: è il nostro carattere distintivo. Su Sedna alcune famiglie danno in adozione i figli meno orrendi, nella consapevolezza che, con molta probabilità, una volta cresciuti non saranno in grado di aiutare economicamente la famiglia.
– Non capisco: esistono incentivi alla bruttezza?
– Assolutamente no: è solo che così va il mondo. Almeno il nostro. E’ una questione di immagine: una figlia sufficientemente brutta troverà sicuramente un marpione pronto a prometterle uno dei posti di lavoro più ambiti, la fama e il successo.
– …Nel mondo dello spettacolo.
– Sta scherzando, forse: il mondo dello spettacolo è l’ultima spiaggia. Parlavo della ricerca scientifica: i nostri sportivi si fidanzano con matematiche, scienziate, luminari della medicina, genetiste. E non è bello: ci sono ragazze che fanno sacrifici tutta la vita per guadagnare un aspetto per lo meno sopportabile alla vista, per poi vedersi scavalcate da una che nella vita ha solo avuto la fortuna di poter mostrare una quarta di cervello.
– Io continuo a credere che la bellezza sia questione di gusti.
– Lo è, entro un certo limite. Noi quel limite lo superiamo alla grande. Ne avrà una dimostrazione pratica quando, fra poco, tenterà di sposare mia figlia. Pur sapendo che verrà ucciso se non lo farà, mi creda, lei non lo farà.
– Io non lo darei così per scontato. Per quanto sua figlia possa essere brutta…
– E lo è.
– …Per quanto possa essere brutta, dicevo, sarà sempre meglio che morire per mano di questi idioti che mi stanno ridipingendo la casa utilizzando vernici tossiche.
– Alla fine, vedrà che piuttosto che rivedere le foto del matrimonio, rivaluterà l’esperienza di una piacevole e liberatoria morte cruenta.
– Non credo possa esistere niente di così brutto.
– Ora le racconto una cosa.
– Per cambiare.
– Su Sedna esiste una legge secondo la quale, quando nasce un bambino, il nome che gli viene assegnato è la prima parola pronunciata da uno dei due genitori.
– Beh?
– Io mi chiamo “Bleaaaaargh!”.
– “Bleargh”?
– Con cinque “a”. E il punto esclamativo alla fine.
– Non vedo in quale modo questa cosa possa essere significativa.
– Mia figlia si chiama “Cof-Cof-Blaawrgh-Bleaaaah-Aaaaaah-Sput-Noooooo-Sput-Oddìo-Copritela-Vi-Prego”.
– Ah.
– E’ sempre convinto di volerlo fare?
– Beh, vorrei provarci.
– Allora qui iniziano i problemi.
– Certo, perché invece fino ad ora è andata liscia.
– Mia figlia ha diciotto anni.
– Bene, è maggiorenne.
– Significa che per lei non è ancora nata.
– Ecco, sì, questo in effetti lo definirei un problema.
– Volendo però guardare il lato positivo della faccenda, significa anche che lei non sarebbe costretto a vederla, mentre la sposa.
– Rimane comunque una cosa difficile da organizzare senza un mio salto nel futuro.
– Questo è escluso.
– Appunto.
– Potremmo organizzare un matrimonio telefonico.
– Si può?
– Ne ho sentito parlare.
– Beh, che stiamo aspettando? Facciamolo.
– Non è così semplice.
– Non so perché ma lo immaginavo.
– E’ richiesta la presenza di entrambi i futuri sposi, ciascuno dalla propria parte della cornetta; di un officiante, che in quanto pubblico ufficiale potrei essere io; e di una quarta persona di cui è difficile assicurarsi la presenza senza un largo preavviso.
– Chi sarebbe questa persona?
– Beh, dio.
– Ah. Una cosa da niente.
– Lei sa per caso se il suo è libero tra… diciamo cinque minuti?
– Con il tempo mi sono fatto l’idea di no.
– Ne è sicuro?
– E’ uno che si fa pregare.
– Quindi – detesto doverlo dire – non resta che il nostro.
– Ho paura di sì.
– Il problema è che non ci parliamo da parecchio.
– Se è per questo, io, con il mio, nemmeno buongiorno e buonasera.
– Saremmo fortunati già solo a trovarlo sobrio.
– Io però andrei un po’ di fretta: i puliziotti, qui, hanno iniziato a versare il sapone sul pavimento dopo aver dato la cera, quindi un tentativo veloce lo farei.
– Va bene, mi aspetti qui.
– La aspetto qui in che senso?
– …
– Pronto?
– …
– Pronto?
– Rieccomi.
– Ah.
– Siamo stati fortunati, anche se ho dovuto usare un’altra delle monete.
– In che senso?
– Siete in conference call.
– Siamo, chi?
– Io, lei e dio.
– ςι αωωισο χηε θυι ιν σαυνα ιλ χελλυλαρε πρενδε ποχο.
– Chi ha parlato?
– Come sarebbe a dire “chi ha parlato”? Dio, ovviamente.
– E che cosa ha detto?
– “Vi avviso che qui in sauna il cellulare prende poco”.
– Che lingua è?
– Finto greco.
– Io non conosco neanche quello vero, di greco.
– Ah, beh, se è per questo nemmeno lui: si limita a sostituire le nostre lettere con quelle greche equivalenti. L’hanno bocciato due volte, al classico. E non le dico il dispiacere del padre nell’iscriverlo a ragioneria.
– Quindi ci capisce?
– Certo. E’ più una questione di immagine. Si figuri che i primi tempi aveva la mania di parlare in Helvetica.
– Parlare in Helvetica in che senso?
– Il carattere, ha presente?
– Sì, ho presente, ma non capisco lo stesso. Come si fa a parlare in Helvetica? Provi a dirmi qualcosa.
– Sa… Sa… Uno, due, tre Prova…
– Non sento alcuna differenza.
– E infatti questo è il motivo per cui è passato al finto greco. Forza, lo saluti: capisce quello che dice.
– Beh, che dire, buonasera?
– Στα παρλανδο α με?
– Chiede se sta parlando a lui.
– Sì, certo.
– Βυονασερα ανχηε α λει.
– Ricambia.
– Bene.
– Λει ε’ δαωωερο σιχυρο δι ωολερ φαρε θυεστα χοσα?
– Chiede se è veramente sicuro di volersi sposare con una Sednese.
– Gli dica di sì.
– Non c’è bisogno, glielo ripeto: la capisce.
– Νον μι ε’ μαι χαπιτατο υνο ταλμεντε σχεμο.
– Che ha detto?
– Non è importante.
– Mi interessa lo stesso.
– Dice che non gli è mai capitato qualcuno tanto scemo da volerlo fare davvero.
– Me l’ha già detto il motivo per cui avete litigato?
– Per quanto possa sembrare strano, non a causa di questa sua innata capacità di riuscire trovare sempre la frase sbagliata per il momento sbagliato.
– No, eh?
– No. Piuttosto per il fatto che ogni volta che viene messo alle strette ha il brutto vizio di cambiare discorso. Inoltre, non ha mai dato una risposta a quella che è La Domanda Più Importante.
– E sarebbe?
– Sarebbe il modo attraverso il quale una qualsiasi creatura che dichiari di essere dio dà prova della propria onnipotenza.
– E vi basta una sola domanda?
– Una sola, già.
– Posso conoscerla anche io?
– E’ una domanda molto semplice, in realtà, ed è questa: “Saresti capace di creare qualcosa che poi non potrai spostare?”.
– Tutto qui?
– Tutto qui.
– Non capisco.
– Che cosa c’è da capire?
– Mi sembra un’informazione marginale, considerando tutte le cose che si potrebbero chiedere a dio.
– E invece no.
– Già che ci siamo posso anche sapere perché?
– Il perché è ancora più semplice della domanda. Dio potrebbe rispondere: “Certo che sono capace di creare qualcosa che poi non posso spostare: in quanto dio e in quanto onnipotente io posso qualsiasi cosa, quindi posso fare anche questo”.
– Mi sembra che fili, come discorso.
– Al che però si pone una banale questione: se può fare qualsiasi cosa, come mai non gli riesce anche di spostare l’oggetto che ha creato?
– Ah.
– Potrebbe però anche rispondere un’altra cosa: “Non esistono cose che io non possa fare, quindi no, non posso creare qualcosa che non sono in grado di spostare”. E qui cadrebbe tutta la questione dell’onnipotenza.
– Quindi cosa dovrebbe rispondere, dio?
– Lo sa solo dio.
– Questo l’avevo immaginato.
– Nel senso che uno che fosse per davvero dio dovrebbe saperci fornire La Risposta Più Importante, ovvero qualcosa che non riusciamo a immaginare e che sia diverso da “Sì” e “No”. In quel buco tra “Sì” e “No” sta tutta la differenza tra un qualsiasi comune essere vivente e dio.
– Giusto per saperlo, che cosa ha risposto il vostro, quando gliel’avete chiesto?
– Provi a domandarglielo lei.
– Ahem… così, su due piedi?
– E quando le ricapita di poter fare una domanda diretta a dio?
– Sempre che lo sia.
– Ovvio.
– Ok, allora…
– Con calma. Mica la mangia: si nutre quasi esclusivamente di anacardi e di olive del Martini.
– Signor dio… Lei è capace di creare qualcosa che non può spostare?
– Σι στα Φαχενδο υνα χερτα, δοω’ε λα σποσα?
– Che ha detto?
– Ha detto: “Si sta facendo una certa, dov’è la sposa?”.
(continua… /27)
Tutte le puntate
La pagina del Grande Elenco su Facebook
pensavo la domanda impossibile fosse “Lei è capace di creare qualcosa che non può SPOSARE?”, anche se riconosco che a tradurlo sarebbe complicato… (beh, no: to CARRY –> to MARRY)
che bello! il matrimonio al telefono… come Happy Days!
AHAHAHAHA!
Molto bello!!!
Complimentoni!
Evviva i CREATORI di MONDI!
:)
Mobu
neri, tu sei un dannato genio!!!
aspetto spasmodicamente ogni puntata, questa è tra le migliori!
Anyway, il suono “v” si dovrebbe rendere in greco con il “digamma”, lettera arcaica (sì, ho fatto il classico e no, non sono poi passata a ragioneria)
No, ma cioè… Esce il capitolo 26 e me ne son accorto solo spulciando bene Macchianera. Non ci sono più i feed di una volta…
sì è vero, ci vorrebbe il digamma per la v si intende, ma Margot, non mi pare ci sia nella tastiera greca… quelle lì sono due omega, e il suono che ne esce è di una doppia “o”, insomma una “o” lunga.