Volevo proporvi un gioco di società tanto per ingannare il tempo di attesa che ci separa dal ritorno in tivvu di Alba Parietti in veste di opinionista sismica e di esperta di ricostruzioni.
Si tratta di un gioco di basso profilo rispettoso del dolore altrui come una telecamera piazzata tra le mutande di un terremotato sotto alle macerie per testimoniare al pubblico a casa cosa si prova in certe condizioni.
La versione moderna di un gioco da tavola che molti ricorderanno con il nome di Taboo, quel gioco nel quale i concorrenti devono indovinare una parola grazie alle indicazioni di un compagno di squadra che a sua volta non può pronunciare alcune parole che faciliterebbero troppo la soluzione.
Insomma se la parola da indovinare fosse per esempio “sciacallaggio” sarebbe vietato usare espressioni come “dovere di cronaca”, ”informazione”, “professionalità giornalistica”.
Troppo semplice, partendo da certi indizi, scoprire che stiamo parlando di sciacallaggio, come fin troppo facile sarebbe indovinare la parola “terremoto” se per aiutarvi usassi espressioni come “campeggio”, “week end al mare”, “animazione serale con nani e ballerine”.
Sembra facile, direte voi, ma i tempi sono cambiati e con essi è cambiato anche il significato attribuito alle parole.
Prendi per esempio la parola “crisi”, se fino a ieri pensavamo che questo termine significasse stato di grave difficoltà, ultimamente la crisi viene associata al termine ottimismo, al concetto di ripresa economica e a quello di possibilità.
Non che la parola “crisi” cambi da un giorno all’altro il suo significato, ma l’associarla continuamente ad immagini positive, finirà prima o poi per comprometterne il significato letterale.
E’ successo con parole come pace, laico, mussulmano, giustizia o vita ma di esempi ce ne sono a centinaia e persino termini che pensavamo intoccabili come “solidarietà” ecco che dopo un terremoto devastante, assumono sfumature diverse, più variopinte, televisive ed esibizionistiche.
Siamo un popolo di cuore, un cuore che batte per le tragedie umane purchè una telecamera azionata dal senso del dovere per la cronaca, si intrufoli tra le pieghe del dolore altrui per sapere cosa si prova a girare il coltello nella piaga.
Quindici giorni fa sono morti trecento disperati che cercavano di raggiungere il nostro paese ma il nostro cuore telecomandato non ha battuto neanche un colpo.
Ma suvvia, bando alle ciance e giochiamo.
Tutti dicono che gli altri lo sono ma nessuno ha mai riconosciuto di esserlo. Cos’è? rapidi che il ritorno della Parietti incombe.
ipocriti?se sì, mi sembra troppo facile….mi sa che la indovina anche alba parietti….
La viss scrive cose anche belle, giuste e dette bene.
Ma io, che sono imperfetto e limitato, posso addolorarmi sinceramente (l’avverbio per una volta non è lì per appesantire la frase), posso compatire, posso adoperarmi in corpo e spirito per una dose non illimitata di sofferenza dei miei simili.
Mi ricordo quando, bambino, entrarono in casa tramite la tv in bianco e nero, le immagini die bambini del Biafra, pieni di mosche e moribondi. Mi impressionò moltissmo, anche se non sapevo nemmeno dove fosse il Biafra, ma in africa di sicuro, visto il colore della pelle di quei bambini. E poi, vicini e lontani, sempre più l’informazione del male, sia detto senza sarcasmi, mi ha portato tragedie vicine e lontane, il Friuli e il Bangla Desh, lo tsunami e l’Abruzzo.
Troppo, per le mie povere doti di sentimento. E senza che questo adombri minimamente che siano tragedie false, rappresentazioni di cartapesta.
Devo scegliere, e tengo i più vicini. Fra i fratelli, quelli che vedo ogni giorno.
L’informarzione stavolta è innocente, a parte i vanti sulla share o “Perchè dorme in macchina”. E’ che ha dimensioni, che noi stessi vogliamo così, probabilmente, in termini di contenuto che poi non possiamo affrontare come merita.
Però Piti sono state proprio le immagini televisive di quei bambini lontani, mangiati dalle mosche, ad impressionarti.
Io credo che siano svariati gli stimoli in grado di toccare le corde giuste del cuore e tra questi, uno dei più efficaci perchè più diretto, è rappresentto proprio dalle immagini.
La notizia di trecento morti annegati, per dire, non regge il confronto neanche con una sola immagine di un terremotato.
L’informazione non è mai stata tanto colpevole come negli ultimi dieci anni.
In ogni anfratto di vita pubblica e privata, senza eslcusione alcuna.
L’informazione ha smesso di essere innocente dal giorno di Alfredino in poi a livello nazionale, dal giorno della gocciolina di sudore sulla fronte di Nixon a livello mondiale.
E’ possibile dire che l’informazione questa volta non c’entra solo se lo si dice prescindendo da tg e giornali.
Ma se lo si fa, di che (altra) informazione si sta parlando?
Della radio?
Della rete?
Cioè la somma di radio e rete è più “informazione” della somma di giornali e tv?
Non dico nel cuore di noi blogger, dico in generale.
Ah…dimenticavo il gioco:
…Italiani?
l’informazione avrà mille colpe, chi non le vede?
Ma c’è poco da fare. Noi stessi vogliamo di venire a conoscenza, noi stessi pretendiamlo uno sguardo globale che non è possibile sostenre sempre con la stessa partecipazione.
I miei nonni si addoloravano, a parte i casi loro, per una disgrazia di un parente o di un vicino. Dell’Africa andavano a culo, il Meridione attirava solo disprezzo, l’America era implicitamente un luogo senza dolore, l’Asia manco si sapeva che esistesse, a parte il l’ambulante cinese che vendeva “tle clavatte mille lile” al mercato di Imola negli anni ’60.
Noi siamo chiamati, o ri-chiamati, al dolore per luoghi ove non siamo mai statti, per persone che hanno volti e lingue diverse dalle nostre, che sono umani come noi, ma sono tanti, con infiniti e onorevelissimi e rispettabilissimi dolori.
Sappiamo tutti, per esperienza, che l’amore è un sentimento che non si può provare sempre, per ciascuno, indirizzando scientemente il pensiero e le sensazioni. Si ama qualcuno, talvolta.
Anche il dolore, se si parla di quello non esibito in favore di telecamera o di blog, non può essere universale e verso ciascuno, ovunque, ogni giorno.
Non credo che chi lavora in certi reparti ospedalieri di grande sofferenza sia in grado, a parte le necessaria lucidità che la professione comporta, di sentire e partecipare del male delle decine e decine di casi che si avvicendano.
Io mi sento un po’ così.
Se conta, sento, su ogni altro aspetto della vita, il senso tragico dell’esistere, il destino cieco e insensibile che sovrasta ogni essere umano.
Ma non partecipo sentitamente di ogni singola, autentica tragedia.
.
bene, ho perso quello che avevo scritto o non è entrato.
In breve, dicevo che il dolore ha una etica strana, atroce, profondamente ingiusta, manichea.
Non c’entra un piffero la questione delle immagini se ottime della BBC o se indecorose del cagnolino fede, ma una questione nuda e cruda di vicinanza da persone, eventi, spazi.
Io conosco poche, pochissime persone che se ne sono realmente fottute del genocidio in Rwanda o di uno dei terremoti in Bangladesh e questo alla faccia dei predicozzi da parroci di periferia e del cosmopolitismo beneaugurante di cui andiamo più o meno tutti cianciando e riempiendoci la bocca.
Non è un cuore telecomandato, ma è più o meno lo stesso concetto di: ” uuuh, che peccato era una brava persona” come se uno scassinatore di cassaforte avesse più diritto a crepare con dolore.
Sì- mi direte- ma i poveri cristi sui barconi erano vicini a noi, sì, ok, ma non è il “nostro popolo”; orrendo, ingiusto, tragico e vergognoso, ma è già meno ipocrita e confortante ammetterlo.
Io credo che si goda anche tra nord e sud, dunque figurarsi….
Infine:
il dolore di un terremotato colpisce l’identità della persona, della famiglia e di un popolo, valori essenziali nella nostra civiltà. La CASA.
La povertà, ahimé, l’abbandono, le mosche sugli occhi, la carne venduta sui marciapiedi per strada, non ti tocca finché non ci sbatti in faccia ed è qualcosa, almeno in apparenza, lontano dalla situazione in Italia di questo secolo, non solo geograficamente. Idem per i profughi sui barconi, troppo distanti dagli emigranti per le Americhe degli anni della guerra mondiale.
Rimaniamo toccati da ciò che sentiamo vicino o geograficamente o diacronicamente o più semplicemente da un punto di vista esperienziale o di struttura profonda della nostra sensibilità e del nostro comune sentire.
l’informazione l’informazione.
bah, e noi invece?
perché su facebook non ho visto nemmeno uno status su questo http://www.asca.it/news-IMMIGRATI__OIM__SOSPESE_RICERCHE_DISPERSI_NAUFRAGIO_A_LARGO_LIBIA-820180-ORA-.html ?
Hai ragione Morosita, ma se discriminiamo anche la morte, se ci adagiamo sul concetto che la nostra partecipazione al dolore altrui debba essere proporzionale a tutti quei fattori che tu stessa hai enunciato, diventa davvero difficile pensare che possano, col tempo, attenuarsi anche le discriminanti in vita.
Ci sono cose che ci toccano da vicino, ci sono dolori che ci riguardano e ci coinvolgono personalmente, ma ce ne sono altri che si nutrono esclusivamente del senso di partecipazione e di umana pietà che si può provare nei confronti di chi ne è stato coinvolto. Un senso di partecipazione che non può essere tanto più sentito quante sono le similitudine in vita delle vittime. Sarebbe come dire che mi dispiacerebbe di più se morissero i bianchi invece dei neri, le donne invece degli uomini, i quarantenni invece dei ventenni perchè io sono una donna bianca di quarantanni.
E non è una questione di lana caprina come potrebbe sembrare perchè è proprio la difesa di questo genere di mentalità disposta a riconoscere che ci sono delle differenze persino tra i morti, a generare quelle forme di discriminazione tra vivi tanto di attualità in questo momento.
Le cose vanno così e non ne faccio una questione individuale, ognuno ha il diritto di sentirsi più toccato da una disgrazia piuttosto che da un’altra, quando si è buttata da un ponte la mia vicina (donna bianca di quarantanni) sono rimasta molto colpita dal fatto, ma come membro di una collettività non me la sentirei di dire che la sua morte sia stata peggiore di altre.
E’ di lana caprina che si parla perchè esattamente di lana caprina sono state fatte le case della mia regione.
Forse è egoistico, ma quando hai tua sorella che torna a casa sana e salva e da giorni non parla più, e tu SAI che potevi non rivederla mai più, muta per sempre, i profughi passano in secondo piano.
E quando seppelliscono, ieri, un ragazzo del tuo paese che era andato all’università per studiare e torna in una bara, ripensando a come lui, nelle difficoltà economiche pesanti che aveva, si impegnava (non ne scriveva su un blog) per portare pasti ai profughi che oggi riteniamo ingiustamente meno centrali e organizzava iniziative per loro… allora ti chiedi chi è che davvero se ne fregava dei morti nell’ennesima traversata alla speraindio.
Per me i morti per nulla sono tutti uguali, ma che succeda qui, per colpa di palazzinari assassini e di controllori che non controllano un’emerita fava, mi stronca. Lana caprina è dire: non indignarti per queste morti se non nomini subito gli altri.
Io li ho nominati, e mi sono impegnata, fino a domenica sera per loro.
Poi, egoisticamente sì, sono un mostro, li ho dimenticati perchè quel che è successo è successo a 160 chilometri da casa mia, e mi sono attaccata al cellulare per sapere se l’amore della mia vita era viva. E’ brutto, è orrendo.
Ma capiteci.
Viss,
ma dimmi la verità non è terribilmente vero tutto questo che segue (e che tu dici)?
Come pensi (lo dico senza polemico) di impedire ai singoli (non parlo di collettività, ovvio!) di pensare in questo modo?
“Sarebbe come dire che mi dispiacerebbe di più se morissero i bianchi invece dei neri, le donne invece degli uomini, i quarantenni invece dei ventenni perchè io sono una donna bianca di quarantanni”.
Francamente dalla televisione non si capisce se in Abruzzo accadde un rovinoso terremoto oppure trattasi di esercitazione di quei burloni della Protezione Civile.
a chi segue la Tv chiedo se per caso si è capito che la settimana scorsa sono morti anche più di 200 migranti annegati nel Canale di Sicilia in un colpo solo, quasi lo stesso numero delle vittime in Abruzzo