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Dalla vicenda di Eluana Englaro, insieme a tanti altri pensieri gravi, emerge un paradosso che vi sottopongo così come l' ho percepito: il terrore della morte traspare da atti e parole di alcuni credenti assai più che da atti e parole di spiriti laici come il signor Englaro. – da Repubblica.it
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La morte propria o quella altrui?
la propria e quella altrui
Credo che la paura non possa essere facilmente attribuita agli uni, piuttosto che agli altri.
E’ troppo soggettiva per essere inquadrabile in linea generale.
Così, anche la paura della morte, non si può correlare ai credenti o non.
Ma se proprio vogliamo tentare di indagare negli aspetti religiosi, trovo più naturale che siano i credenti
a temerla, proprio per le implicazioni di fede.
Fede che insegna a considerare il corpo un tempio e su questo assunto è Dio a disporre della vita e della
morte. Ogni intervento volto a porre fine alla vita, genera la paura dell’ira di Dio.
Da qui l’accettazione della volontà divina. Accettazione travagliata, magari preceduta da preghiere accorate,
volte a procrastinarne la fine o la guarigione. Sì perché è insito nella fede il miracolo, e i non credenti,
non possono ridicolizzare questo percorso. Questione di fede.
Al contrario, i non credenti, sono avulsi da questi timori, consapevoli che la morte spegne ogni luce,
in via definitiva. Non c’è premio, non c’è punizione, non c’è assolutamente più nulla.
Non c’è nulla da temere.
Faccio un esempio crudele: 3 persone che conoscevo, sono morte suicide (in tempi diversi) e tutte e tre,
erano atee.
E’ difficile che un credente si tolga la vita, a meno che non sia caduto in depressione ed abbia perduto il
controllo delle facoltà mentali. Il credente vive nella contraddizione: accettazione fiduciosa e paura.
Non lo so, mi ha lasciata perplessa l’articolo di Serra. Credo non tenga conto del timor di Dio,
che negli atei è assente.
Detto questo, la vita di Eluana non era vita, e penso che l’esercizio del diritto di stabilire se
interrompere un accanimento terapeutico, o l’alimentazione forzata, spetti ad ogni persona che si trovi ad
assistere ad un corpo ormai inerme, a prescindere dalla tipologia di trattamento.
Su questo drammatico aspetto, riscontro l’illiberalità da parte di chi si ostina a volerlo impedire.
Io auspico una legge che lo consenta. Starà poi alle singole persone, gestire la propria tragedia
e operare la scelta.
Ma non mi aspetto molto da questa maggiorana, perché, conoscendo la storia dei partiti e movimenti politici,
in Italia e in Europa, so che non è nel suo DNA. Non può farlo la destra, anzi, sarebbe meglio che si astenesse,
in attesa del cambio di maggioranza, piuttosto che una legge restrittiva.
Avrebbe dovuto farlo la sinistra, nel biennio in cui ha governato, quando già il caso Englaro era noto e, in
ogni caso, c’era il caso Welbi: non c’erano dubbi circa la sua volontà di interrompere la propria vita.
Temo che dovremo aspettare il loro ritorno per avere una legge totalmente laica, sempreché la vogliano.
Perché avere paura di dio in punto di morte riguardo alla fine della propria vita e non dei propri atti e comportamenti (i cosiddetti “peccati”) durante lo svolgersi della stessa?
Scaricarsi la coscienza in chiesa ogni domenica,dovrebbe permettere una vita serena e senza rimorsi di coscienza per poi preoccuparsi dell’esistenza di dio solo durante i gran finale?
Mi sembra che tu la stia facendo troppo facile riguardo all’accettazione del “nulla” da parte degli atei.
Mi viene l’ansia al solo pensiero.
Credo che su di una cosa tu abbia proprio ragione,non si può generalizzare.
P.S. cerca Vincenza Santoro Galani su google.
buona lettura
Non credo. Io ho solo dato una chiave di lettura sulle ragioni per le quali i credenti, hanno invece paura.
Non c’è nulla di facile. Tutt’altro!
Appunto, non si può generalizzare come ha fatto Serra e non solo lui, evidentemente.
Il dibattito è molto più ampio e tocca sfere e percorsi assai personali.
E poi… Poldo, la mia non è un’apologia della vita o della morte, e men che meno dei credenti o degli atei.
Una questione, la mia, di rispetto delle scelte individuali, al di sopra delle stereotipate immagini su cui la società tenta di dividere il mondo a metà, in stile Porta a Porta, dove tutti diventano opinionisti e tuttologi, tralasciando quella miriade di sfaccettature connotative dell’animo umano.
Sentenziando sul mio commento, non rendi giustizia alla neutralità dell’intervento.
Non c’è giudizio, infatti, nel mio pensiero: riferisco su questioni teologiche. Null’altro e proprio contro il facile giudizio. Perché con estrema facilità si giudica gli uni e gli altri, come si volesse colpevolizzare per forza qualcuno, sia esso credente, sia ateo. Questione di rispetto e poi mi preoccupa il totalitarismo culturale, che tende a uniformare il pensiero.
Non c’è – ripeto, e lo si nota da un’attenta lettura – giudizio, che rifuggo per mia natura e storia. Io mi pongo sempre dubbi, provo ad analizzare, a cercare di capire le ragioni degli altri.
Non così riscontro in molti.
L’unica obiezione che potresti sollevare, è che mi sono sbilanciata nell’auspicio di una legge laica promulgata da una maggioranza laica e non condizionata. Mi rendo conto che forse non avrei dovuto… ma la libertà di pensiero è anche questo, penso, spero.
Ps: dove hai letto che ho sminuito la paura della morte degli atei?
Ho riletto e non c’è scritto manco fra le righe.
Ho parlato di non timor di Dio: è un’altra cosa.
Ma chi dice che i cattolici hanno questa posizione per paura della morte? La loro posizione è chiara: la vita è un dono di Dio ed è indisponibile. La questione della paura l’ha messa Serra in bocca (o in testa) ai cattolici e ai laici.
Nella mia piccola esperienza personale, che ovviamente non fa statistica, è proprio così: più si dichiarano credenti più hanno il terrore della morte. Probabilmente hanno qualche dubbio sul giudizio che li attende dopo. E non sempre a torto.
@Lion
La tua è appunto una “piccola esperienza personale” e non ha nessuna valenza statistica.
come quella di Michele Serra.
Per i cattolici vale quel che dice Fiandri. La propria vita è “indisponibile” nei termini della “nascita” e della “morte”.
Tutto il resto “is up to you”.
Questa leggenda urbana dei cattolici “paurosi” della morte (peraltro paura legittima e comune a tutti gli uomini”) è una recente e inconsistente interpretazione di alcuni comportamenti di alcuni sedicenti cattolici (ma bisognerebbe dire estremisti cattolici) in seguito ad alcune recenti vicende.
Invito tutti gli “statistici de noantri” a studiare la:
Euristica della disponibilità: si tende a stimare la probabilità di un evento sulla base della vividezza e dell’impatto emotivo di un ricordo, piuttosto che sulla probabilità oggettiva (from Wikipedia)
(Vorrei fosse chiaro che io non condivido affatto la visione della Chiesa, dico solo che la questione della paura mi pare non c’entri nulla)
Indisponibile cosa vuol dire?
In tutti i paesi, in tutte le città del mondo, si diceva: “Portiamolo a casa a morire!”. In quel caso c’era una decisione presa tra medico e parenti che sentenziava che non c’era più speranza per il malato. Il problema che quella decisione era presa da uomini non certo da dio. Un po’ come il papa ha detto rimandatemi nelle braccia del padre. Cioè non vi accanite a farmi rimanere qui. Ho fatto il mio ciclo. Decisione, anche questa, presa da un uomo. Che poi la vita per la religione cattolica sia indisponibile è falso, o comunque vero “entro certi limiti” diciamo. Tipo questa eccezione:
l’articolo 2266 del catechismo della chiesa cattolica recita: “Difendere il bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte. Per analoghi motivi, i detentori dell’autorità hanno il diritto di usare le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.
Oppure l’eccezione che ha portato ad abolire la pena di morte in Vaticano nel 1969, dopo quella del laico stato italiano.
L’indisponibilità insomma è un po’ pregorativa di chi la richiede. I tempi cambiano e cambia l’indisponibilità. Nel secolo XVI l’autodafè, la tortura e le condanne a morte pubbliche, con la fantasia più perversa, venivano regolarmente praticate come forma di espiazione e purificazione, oggi invece si disquisisce se infilare vari sondini con preparati chimici per l’alimentazione artificiale sia trattamento terapeutico o no? Ieri si accusava la scienza di voler prolungare la vita e di farsi dio, oggi si accusa la scienza di accettare di farsi da parte di fronte ad una vita non vita. Anche la volontà di dio si aggiusta a seconda delle esigenze del momento.
il dopo-vita cattolico è un pacco a pensarci bene
se ti va male l’inferno, se ti va bene invece l’eternità in adorazione di Dio a non fare assolutamente null’altro
nemmeno le 72 vergini…c’è un evidente debolezza nell’offerta che andrebbe risolta con il riposizionamento dell’immagine del prodotto, anche attraverso un coraggioso restyling che preveda l’introduzione di attività ricreative più varie e con maggiore appeal
rischioso affidare possibili restyling al team di paparazza.
ultimamente non ne imbrocca una.
@Kristalia
Sei partita così
Credo che la paura non possa essere facilmente attribuita agli uni, piuttosto che agli altri.
E’ troppo soggettiva per essere inquadrabile in linea generale.”
e fin quì ci siamo
poi continui
“Così, anche la paura della morte, non si può correlare ai credenti o non.
Ma se proprio vogliamo tentare di indagare negli aspetti religiosi, trovo più naturale che siano i credenti
a temerla, proprio per le implicazioni di fede.”
e poi continui, ma ti sei persa l’articolo di
Serra che scrive:
Dalla vicenda di Eluana Englaro, insieme a tanti altri pensieri gravi, emerge un paradosso che vi sottopongo così come l’ ho percepito: il terrore della morte traspare da atti e parole di alcuni credenti assai più che da atti e parole di spiriti laici come il signor Englaro.
EMERGE UN PARADOSSO CHE VI SOTTOPONGO COSI’ COME L’HO PERCEPITO.