XFactor, e le sue paure delle ipocondrie (settima puntata)

Piacciavi, generosa erculea prole.

Venne il giorno in cui si trasformò in un essere umano. Futili motivi c’era Jem (il-mio-nome-è-Jem: sono una cantante, bella è stravagante, certe volte -lo sai- sono esuberante-e-e!) che si esibiva con James Morrison, è vero, eppure la videro piangere e tutti quanti capirono che in fondo in fondo, scavando, dissotterrando, spazzolando bene e infine con un sacco di immaginazione, Simona Ventura ha un cuore: Swarovski fino al ventisette marzo, per il seguito si vedrà, sono in trattative per un brand più forte, un po’ meno “gigione” al più si leva… ché non serve a niente e pesa. Ora passiamo alle mie cose, quelle un po’ meno vere e per certo irrilevanti nella vita di tutti i giorni, so quanto siete tutti voi impegnati, ma vi garantisco che anche in questa puntata troveremo spunti interessanti se solo vorrete trovare il tempo di segurmi sperando che i vostri alti pensier cedino un poco, sicché tra lor, miei versi abbiano loco.

Nella scorsa puntata di XFactor, sono avvenute cose molto particolari e di seguito le elencheremo, prima ci prendiamo qualche secondo per fare il punto. Il format funziona ma al contrario delle sue edizioni britanniche e statunitensi, soffre troppo di bontà gratis. Di parole gratis, di un affaticamento endemico in ogni produzione televisiva italiana obbligata a trascinarsi il fardello della cultura cattolica sempre e comunque: il mondo è anche cattivo, basta con queste menate del volemose bbene, basta riparare alle tensioni, soccorrerle e spegnerle mentre si incendiano, santi numi, siate cattivi. No, non così, di più. Andate adesso su Youtube, o simili, (no! non i lettori di questo post, gli autori del programma; belìn se fate così è troppo difficile, aiutiamoci dài), cercate XFactor UK e ascoltate una qualsivoglia invettiva di Simon Cowell, che già che c’è è pure l’inventore del format (tipo: “you’re too old to be a Barbie doll, sweetheart”). Vabbé, tirem innanz. Sull’onda di questa mia nuova direttiva, sarò cattivo come l’aglio. Pronti? Via.

Daniele Magro è diventato simpaticissimo, come un dito nel culo con la carta vetrata, sarà che chi va con lo zoppo diventa  Simona Ventura, però c’ha un filo rotto le scatole; siamo addirittura giunti al punto che, in forte polemica mascherata da “dico e non dico” per tutti i pomeridiani della scorsa settimana, Morgan gli ha proposto di vedersi in separata sede, privata, e in quell’occasione spiegargli cosa intenda e perché lo consideri bravo, ma tutto sommato, scartabile. Magro è il più pronto ma per questo motivo sta diventando, è diventato, è sempre stato?, presuntuoso. Amico, ne hai da mangiare di pagnotte… Matteo bene, è solo un po’ inutile ma nel senso buono. Cioè che sta lì e fa il Matteo che canta bene ed è papà di due bimbe bellissime e ricciolute, che è un po’ poco televisivamente parlando, musicalmente comincia invece ad essere un piacere ascoltare una persona molto intonata e decisamente sicura (o questo è quello che appare) di quello che fa, quando lo fa. Noemi molto bene. La versione di “Il Paradiso” super rock spacca di brutto, fra l’altro sposandosi molto bene al suo timbro, mi piace, per quel che vale, ma visto che sto parlando io facciamo che per adesso vale tanto. Andrea canta Bob Marley, finalmente, ma non in originale né nell’altrettanto famosa versione claptoniana, eppure quello che ne esce è molto bello. Andrea canta, ha ben tre occasioni per dimostrarlo e lo dimostra. Canta, è un bel personaggio, è sufficientemente maturo per la produzione e per questo esce dal gioco, dal reality e infine dalla nostra prosa che vorrebbe occuparsi dei vivi. La scelta, tra le altre cose, era tra lui e Noemi: con amore Andrea, ma non c’era gara.

A margine delle scelte di Morgan e dell’indefessa professionalità del figlio dei Pooh (® per gentile concessione di Gianluca Neri) che negherebbe anche sua mamma, c’è da dire che è stato proprio strano che la scorsa puntata Simona Ventura si sia trovata nell’occhio del ciclone emozionale che l’ha portata a dover scegliere tra due suoi concorrenti e che in quella successiva la stessa cosa sia capitata agli over 25, team capitanato dalla stessa persona che la Simoooooona aveva individuato come il vero master of puppets di una teoria cospirazionista di una lucidità spaventosa, perdonate il doppio genitivo. Insomma, che volete saperne voi del televoto, della televisione più in generale e degli ectoplasmici notai, del push the button eccetera… accettare, sapete, la gente è strana prima ti odia, poi eccetera.

Bastardi, benissimo nonostante la versione di “Shiny happy people” degli REM fosse un po’ mesta eppure, benché la qual cosa crei un ossimoro multi-sensoriale, il giudizio tiene ben sopra il 7; d’altra parte avevo compagni di scuola che abituavano i professori alla perfezione per settimane e il giorno che non andava bene andava bene lo stesso. Per una volta che c’era di pronunciare il termine “paraculo” a nessuno è scappato di bocca. In realtà sono tre ragazzi davvero in gamba, per quel che mostrano, sotto ogni punto di vista. Gentili, educati, mentalmente giovani, aperti, privi di cliché o non sufficientemente da questi impantanati da non sapere affrontare altro con entusiasmo, critiche comprese; credo non vedano l’ora (loro, gli altri, io) di uscire da lì, magari secondi se non primi, e ricominciare a suonare, firmare (che so) con una Sony che passa di lì, e cominciare a lavorare, grazie Gaudi tante care cose. Juri non ci ha detto niente. Pezzo sbagliato dei ColdPlay, dal repertorio dei quali avrei tirato fuori magari “Yellow” e non certo “Viva la vida” che è una gran cagata di brano. Anche perché il ragazzo è un po’ uno Zelig del timbro, ché se canta “Virtual Insanity” tende a marcare Jason “Jay” Kay quanto su VLV Chris Martin, non vedo l’ora gli assegnino qualche cosa di Steve Wonder, “Isn’t she lovley”? Magari compaiono pure le treccine come al vecchio Allen di un tempo i riccioli incontrando i rabbini. La frase, breve, che segue mi è costata al punto da dover tirare una testata contro uno spigolo, adesso sanguino ma non sia mai che io non vi offra pura verità. Ah, e ci ho guadagnato l’unico Macbook rosso esistente.

I Farias sono stati bravi.

Come da copione i nuovi ingressi. Mara Maionchi (alla quale scappa di bocca un meraviglioso “bella figa” che le fa incassare applausi ed orgogliose risa d’approvazione) porta con sé i famosi metallozzi. Quelli che -yeah- urlettano per ore, quelli che al liceo ne ero contornato e mi dicevano: «ma a te vengono gli armonici?» Io suonicchiavo la chitarra acustica un po’ à la Lennon di “Norvegian Wood”, fate un po’ voi. Ma soprattutto con cosa gli armonici, con la voce? Ma sei scemo? Ok, quindi, i John Frog (i Giovanni Rana, nome di rara meraviglia) vanno a casa perché non ce ne è. Sono simpaticissimi ma il mondo è un altro, loro hanno il loro mercato e va da dio, ad XFactor si cerca un’altra roba. Simona Ventura si trascina dietro una cubista (dài, dài sono un po’ stronzetto, in realtà è brava e tosta ma assomigliava troppo a quella del Pippo Chennedy Show: explosion! ambient! eczema!), a casa. Entra Emily the Strange (Chiarastella), perché è brava, perché Morgan sa scegliere, e perché ha pure culo di trovare gente così. Ultima cosa su Chiarastella, e su tutti quelli come lei: quel che accomuna me, Morgan, Matteo, Noemi, i Cluster, Matteo Bordone, Giuseppe Verdi, il mio professore di solfeggio, e milioni di persone musicali sul pianeta è che non c’è bisogno di parlare. È una cosa di capillarità. Lo si vedeva dalle riprese fatte in quinta. Gli altri ragazzi di XFactor seguivano i tre che si battevano per entrare e quando Chiarastella si è esibita li si poteva vedere vivere quel momento insieme a lei, trasportati dal medesimo pathos, compatiti. Non bisogna discuterne, è binario, c’è o non c’è. Chiarastella c’è. Da un punto di vista squisitamente musicale, artistico, l’x factor, è esattamente questo; perlopiù un dono di natura.

Infine Enrico. L’ho tenuto per ulitmo perché su di lui ho da dire due cose. La prima: in un teatro, in una produzione normale, quel che ha fatto gli sarebbe costato un Rapporto. Tu non te ne fotti di quello che ha deciso il Direttore Artistico. Perché il ruolo del DA è quello di decidere certe cose, sulla base del proprio gusto, stile, esperienza maturata, eccetera. Se hai da ridire, visto che il rapporto è quello (ed è già un lusso) ne parli con lui e vedi se c’è un punto di incontro, altrimenti fai quello che dice lui. E non importa se l’insubordinazione ha avuto un qualche successo: non c’era scritto da nessuna parte che tu salissi su quel palco e ti dimenticassi del pubblico e delle telecamere, scegliendo di puntare per tutto il tempo il viso della tua ragazza. Non è una recita scolastica, fai quello che ti dicono le persone preposte a decidere queste cose. C’è un motivo, ulteriore. Il DA di uno spettacolo, come molte altre professioni a margine o fortemente mescolate all’opera di ingegno, non fa “cose” ma determina l’andamento di un’esibizione / evento, eccetera. Non è come scavare pozzi di petrolio in Ghana, non è nulla di pratico: la sua monolitica figura poggia tutta sulle parole e sul fatto che queste siano deterministiche, è come un trattato di pace, o di neutralità. È solo carta, non c’è nulla di immanente, è luce riflessa. Sino a che tutti lo rispettano ok, il giorno che invadi la Polonia la neutralità va a ramengo. Per estensione, Enrico, sono sicuro che stai capendo il brutto colpo che hai assestato ad un professionista nell’esercizio delle proprie funzioni, in buona fede, ma la buona fede lascia il tempo che trova.

Il secondo punto è che Enrico è molto, molto bravo. E porca miseria vorrei che facesse di più, meglio. Il brano, La Cura di Battiato, è forse uno dei pezzi più fortemente collocabili in quella zona del cervello che gestisce il nostro trasporto, l’empatia, la commozione. La musica è di una perfezione ritmico armonica imbarazzante, il testo (per quanto io il testo di norma non lo ascolti nemmeno) è stupendo, è Amore puro, dedizione, davvero poetico e contrappuntato di rara sensibilità nonostante il gergo volutamente ricercato che da decenni contraddistingue le scelte liriche dell’autore. Eppure collateralmente a tutto ciò la musica segue una strada quasi siderale, non c’è romanticismo, c’è perfezione millimetrica, c’è una rotondità armonica, ci sono dei bassi avvolgenti. C’è tutto quello che il romanticismo nella musica non ha dato, preferendo, in senso lato, le crisi adolescenziali di scapigliati compositori che hanno riempito partiture di quante più note, crescendo, marcature, possibili perché il pathos dato in pegno fosse riscuotibile con il solo scontro di quella enorme, fragorosa, potenza che sa essere la musica una volta che la si trasforma in migliaia di puntini neri appesi a cinque righe. Questo per dire che l’esibizione di Enrico mi ha lasciato interdetto; perché gran parte di questo iato così evidente nella versione originale, viene barattato per il cliché dell’uomo innamorato che strugge se stesso e il pubblico di un amore oltremodo possibile come fosse una novità, forse nemmeno prendendo in considerazione quell’altro, quello impossibile o quell’altro ancora, quello universale. O quello di Orlando che perde il senno e sale sulla luna lambiccandosi su quale pozione sia la migliore per tornare ad essere l’uomo cui era abituato a riconoscere. Ecco, Enrico è bravo ma non mi è importato quanto la sua voce risentisse dell’emozione che provava, o di quanto l’ammutinamento gli sia valso la raccolta di un ampio consenso di pubblico e critica e supervisori, è che ho trovato il tutto troppo poco profondo, e nel paragone, purtroppo, povero.

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6 Commenti

  1. Io invece credo che Sasaki abbia pessimi gusti musicali, e tranne rare eccezioni faccia sfondoni tipici di chi ha ascoltato davvero troppa, troppa radio.
    Mi resti simpaticissimo, Sasaki, ma sospetto rarissime incursioni in altri campi musicali e scarsa conoscenza di singoli e gruppi storici e non contemporanei.
    Va bene così.

  2. Scusa, furyseed ma non mi è chiara la critica. Onestamente la mia curiosità musicale (che se la chiamo cultura, apriti cielo), va dalla storia della musica che mi hanno fatto studiare palestrina, bach, chiamali come ti pare, a quello che c’è più o meno adesso. In verità saltando molto di quello che è uscito dagli anni 80 ad oggi perché resto molto più affascinato da quel che c’è stato prima. Quindi alla di là della simpatia che sono contento di muoverti, la tua posizione onestamente mi coglie in effetti in contropiede.

    cosa ti suggerisce che non abbia ascoltato gli huria heep abdicando su hana montana? o visto che non faccio proprio mistero di essere un fan dei beatles e di tutto quello che c’è stato nel ventennio 60/70 cosa è mi fa sembrare un adoratore delle lollypop?

    e per la cosa della radio? a parte che non è vero ché praticamente non accendo la radio da centanni al netto dei programmi condotti da amici e lo faccio per ascoltare loro non la musica. insomma che sfondoni sono?

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