Spettabile Presidente Berlusconi,
mi rivolgo a lei per scongiurarla di non avallare quella pazzia scientifica e civile che è la legge sul Testamento biologico così come preannunciata. Penso che Lei stia facendo un errore gravissimo e soprattutto sottovalutato nelle sue conseguenze, e temo che la sua indole notoriamente libertaria sia stata mal consigliata da un gruppo di pasionari come possono esserlo soltanto degli ex radicali passati sulla sponda opposta, o comunque sia delle persone protese a orientare l’opinione pubblica sulla base di tardive convinzioni personali (etiche e ideologiche) e non sul recepimento di ciò che la stessa opinione pubblica pensa davvero su questo tema, qualcosa che più personale non può essere: la responsabilità della nostra stessa vita e delle persone che amiamo.
Parto dal principio, Presidente, di rivolgermi a un laico che a sua volta consideri la propria vita come una propria sostanziale responsabilità: non sono infatti più disposto, per come si stanno mettendo le cose, a confrontarmi con cattolici militanti o coi cittadini di una monarchia assoluta situata sulla riva destra del Tevere, coloro cioè che anche in questi giorni hanno ripetuto che la nostra vita apparterrebbe alla collettività o a un dio: come in Unione Sovietica o come in Iran o come in Vaticano ma come sicuramente in nessuna democrazia. Mi confronto con democratici, solamente, giacché l’ho scritto e lo ripeto: nessuno Stato etico e nessuna religione potrà disporre della mia vita se io non lo desidero, piuttosto la galera.
Quindi gliela faccio breve, essendo alcune informazioni ormai note. Per esempio che la nutrizione e l’idratazione obbligatorie non sono previste in nessun paese del mondo; che la comunità scientifica le considera dei trattamenti medici che non possono esserci imposti, come del resto la nostra Costituzione ordina; che in Europa lei non troverebbe una sola forza politica di destra o di sinistra (Ppe compreso) disposta ad avallare un principio del genere, oltretutto impraticabile: la bozza di legge infatti non prevede soltanto che la facoltà di rifiutare delle cure non ci appartenga più nel momento in cui perderemo conoscenza, e in barba a quanto possiamo aver scritto in qualsivoglia testamento biologico: prevede, la legge, che la facoltà di rifiutare delle cure non ci appartenga più neanche da vigili; non potremo cioè più lucidamente rifiutare un’intervento chirurgico, una dialisi, una trasfusione, una chemio o un’amputazione. E’ follia pura: avremo i carabinieri negli ospedali? Per non parlare della possibilità che decine di milioni di italiani ogni tre anni si rechino dal medico e dal notaio per redigere un testamento biologico che in questo modo è studiato solo per essere disatteso.
Ma tralascio gli aspetti tecnici. Le dico, scrivendole pubblicamente per la prima volta da quando la conosco, solo questo: guardi, Presidente, che questa non è la legge 40, non è quel genere di tema civile o di politica estera che non sposta voti, non è il Tibet o il Dalai Lama, le Olimpiadi o la Cecenia: è la vita di tutti, perché non c’è italiano il caso di Eluana Englaro non l’abbia discusso e a suo modo sofferto.
Si faccia dire dai suoi sondaggisti che cosa ne pensano; legga il rapporto Ispo secondo il quale l’epilogo del caso Englaro ha fatto perdere a Chiesa, Magistratura, Parlamento, Rai e Mediaset una media di sette punti di fiducia; legga anche solo i commenti dei lettori sul Giornale online; chieda ai suoi parlamentari che cosa ne pensano davvero, visto che un sondaggio interno parla di un dissenso pressoché totale a parte i già detti pasionari; imponga lo scrutinio segreto essendo questo uno straclassico voto di coscienza, se crede; si chieda perché il disegno di legge sul testamento biologico varato dal centrodestra nel 2005 era completamente diverso da questo, si chieda che cosa sia cambiato da allora.
E si ricordi infine che Giuseppe Englaro, Presidente, ha perlomeno un punto in comune con Lei: ora lo possono demonizzare, appiccicargli ogni etichetta e casacca, ma gli italiani infine hanno capito chi è. Hanno capito la verità. E’ uno di loro. E’ uno di noi.
(Giornale, 21 febbraio 2009)
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