Non è un cattivo ragazzo/special edition

berlusconi1…è solo che porta sfiga.

La UE vede al ribasso il tasso di crescita PIL per l’Italia al -2,0% nel 2009( anche se per il Premier, intervistato sulla questione, non è un dramma).

Il tasso di crescita medio del PIL reale dei governi Berlusconi passa così al 0,48% annuo dal precedente 0,71%.

Tasso di crescita annuo del PIL  in Italia dal 1981 ad oggi:

Media Governi non-Berlusconi: +1,97%

Media Governi Berlusconi (incluse previsioni fino al 2010): +0,48%

(Fonte: Fondo Monetario Internazionale e UE.  Anni Berlusconiani considerati: 1994, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2008, 2009, 2010)

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22 Commenti

  1. “Emilio F.H.” mi procurava ben qualche sorriso.
    Anche al primo post sulla falsariga di questo, mi compiacqui.
    Fino a quando la cosa è limitata, la si prende come uno sfottò, una cosa scherzosa (e probabilmente sbagliai).
    Continuando, questo filone ancor più di quello di Emilio, mi arriva un’ altra ottica.

    Se la si deve prendere come una cosa un fil più seria, tendo a non essere d’ accordo con il messaggio.
    Già solo per il fatto che, presentato così, tanto “serio” in vero non è.

  2. Se il 1994 e il 2001 sono considerati berlusconiani, allora anche il 2006 deve essere considerato tale.
    E poi perché tenere conto anche delle previsioni 2009 e 2010?

  3. Ma non si sta ripetendo ormai da immemori millenni che il PIL e’ uno strumento di cui bisognerebbe fare a meno, vistane l’obsolescenza e l’inadeguatezza a rispecchiare le condizioni socioeconomiche di un paese? In questo caso, ed una cancrena mi si forma nei visceri mentre lo penso, Berlusconi ha ragione.

  4. Kluz, te lo ricordi quando ti parlavo della necessità del cambiamento e della difficoltà di attuarlo. Qui in neretto c’è una risposta. Al cambiare per non morire, Obama ha risposto: “Change? We Can, or better still, We Must!”

    IL DISCORSO
    Rimettiamoci al lavoro insieme
    per ricostruire una grande America
    di BARACK OBAMA

    OGGI mi trovo di fronte a voi, umile per il compito che ci aspetta, grato per la fiducia che mi avete accordato, cosciente dei sacrifici compiuti dai nostri avi. Ringrazio il presidente Bush per il servizio reso alla nostra nazione, e per la generosità e la cooperazione che ha mostrato durante questa transizione.

    Quarantaquattro americani hanno pronunciato il giuramento presidenziale. Queste parole sono risuonate in tempi di alte maree di prosperità e di calme acque di pace. Ma spesso il giuramento è stato pronunciato nel mezzo di nubi tempestose e di uragani violenti. In quei momenti, l’America è andata avanti non solo grazie alla bravura o alla capacità visionaria di coloro che ricoprivano gli incarichi più alti, ma grazie al fatto che Noi, il Popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati e alle nostre carte fondamentali.

    Così è stato finora. Così deve essere per questa generazione di americani.

    E’ ormai ben chiaro che ci troviamo nel mezzo di una crisi. La nostra nazione è in guerra contro una rete di violenza e di odio che arriva lontano. La nostra economia si è fortemente indebolita, conseguenza della grettezza e dell’irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di compiere scelte difficili e preparare la nostra nazione per una nuova era. C’è chi ha perso la casa. Sono stati cancellati posti di lavoro. Imprese sono sparite. Il nostro servizio sanitario è troppo costoso. Le nostre scuole perdono troppi giovani. E ogni giorno porta nuove prove del fatto che il modo in cui usiamo le risorse energetiche rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.

    Questi sono gli indicatori della crisi, soggetti ad analisi statistiche e dati. Meno misurabile ma non meno profonda invece è la perdita di fiducia che attraversa la nostra terra – un timore fastidioso che il declino americano sia inevitabile e la prossima generazione debba avere aspettative più basse.

    Oggi vi dico che le sfide che abbiamo di fronte sono reali. Sono serie e sono numerose. Affrontarle non sarà cosa facile né rapida. Ma America, sappilo: le affronteremo.

    Oggi siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l’unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia.

    Oggi siamo qui per proclamare la fine delle recriminazioni meschine e delle false promesse, dei dogmi stanchi, che troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica.

    Siamo ancora una nazione giovane, ma – come dicono le Scritture – è arrivato il momento di mettere da parte gli infantilismi. E’ venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l’idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza.

    Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, ci rendiamo conto che la grandezza non è mai scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie, non ci siamo mai accontentati. Non è mai stato un sentiero per incerti, per quelli che preferiscono il divertimento al lavoro, o che cercano solo i piaceri dei ricchi e la fama.

    Sono stati invece coloro che hanno saputo osare, che hanno agito, coloro che hanno creato cose – alcuni celebrati, ma più spesso uomini e donne rimasti oscuri nel loro lavoro, che hanno portato avanti il lungo, accidentato cammino verso la prosperità e la libertà.

    Per noi, hanno messo in valigia quel poco che possedevano e hanno attraversato gli oceani in cerca di una nuova vita.

    Per noi, hanno faticato in aziende che li sfruttavano e si sono stabiliti nell’Ovest. Hanno sopportato la frusta e arato la terra dura.
    Per noi, hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg; in Normandia e a Khe Sahn.
    Questi uomini e donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato finché le loro mani sono diventate ruvide per permettere a noi di vivere una vita migliore. Hanno visto nell’America qualcosa di più grande che una somma delle nostre ambizioni individuali; più grande di tutte le differenze di nascita, censo o fazione.

    Questo è il viaggio che continuiamo oggi. Rimaniamo la nazione più prospera, più potente della Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi rispetto a quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari di quanto lo fossero la settimana scorsa, o il mese scorso o l’anno scorso. Le nostre capacità rimangono inalterate. Ma è di certo passato il tempo dell’immobilismo, della protezione di interessi ristretti e del rinvio di decisioni spiacevoli. A partire da oggi, dobbiamo rialzarci, toglierci di dosso la polvere, e ricominciare il lavoro della ricostruzione dell’America.

    Perché ovunque volgiamo lo sguardo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede un’azione, forte e rapida, e noi agiremo – non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuova fondamenta della crescita.

    Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano gli uni agli altri. Restituiremo alla scienza il suo giusto posto e maneggeremo le meraviglie della tecnologia in modo da risollevare la qualità dell’assistenza sanitaria e abbassarne i costi.

    Imbriglieremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche.
    E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi. Possiamo farcela. E lo faremo.

    Ora, ci sono alcuni che contestano le dimensioni delle nostre ambizioni – pensando che il nostro sistema non può tollerare troppi grandi progetti. Costoro hanno corta memoria. Perché dimenticano quel che questo paese ha già fatto. Quel che uomini e donne possono ottenere quando l’immaginazione si unisce alla volontà comune, e la necessità al coraggio.

    Quel che i cinici non riescono a capire è che il terreno gli è scivolato sotto i piedi. Gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non sono più applicabili. La domanda che formuliamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funzioni o meno – se aiuti le famiglie a trovare un lavoro decentemente pagato, cure accessibili, una pensione degna. Laddove la risposta sia positiva, noi intendiamo andare avanti. Dove sia negativa, metteremo fine a quelle politiche. E coloro che gestiscono i soldi della collettività saranno chiamati a risponderne, affinché spendano in modo saggio, riformino le cattive abitudini, e facciano i loro affari alla luce del sole – perché solo allora potremo restaurare la vitale fiducia tra il popolo e il suo governo.

    La questione di fronte a noi non è se il mercato sia una forza del bene o del male. Il suo potere di generare benessere ed espandere la libertà è rimasto intatto. Ma la crisi ci ricorda che senza un occhio rigoroso, il mercato può andare fuori controllo e la nazione non può prosperare a lungo quando il mercato favorisce solo i già ricchi. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non solo dalle dimensioni del nostro Pil, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità per tutti coloro che abbiano volontà – non per fare beneficenza ma perché è la strada più sicura per il nostro bene comune.

    Quanto alla nostra difesa comune, noi respingiamo come falsa la scelta tra sicurezza e ideali. I nostri Padri Fondatori, messi di fronte a pericoli che noi a mala pena riusciamo a immaginare, hanno stilato una carta che garantisca l’autorità della legge e i diritti dell’individuo, una carta che si è espansa con il sangue delle generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo, e noi non vi rinunceremo in nome di qualche espediente. E così, per tutti i popoli e i governi che ci guardano oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove è nato mio padre: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che sia alla ricerca di un futuro di pace e dignità, e che noi siamo pronti ad aprire la strada ancora una volta.

    Ricordiamoci che le precedenti generazioni hanno sgominato il fascismo e il comunismo non solo con i missili e i carriarmati, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Hanno capito che il nostro potere da solo non può proteggerci, né ci autorizza a fare come più ci aggrada. Al contrario, sapevano che il nostro potere cresce quanto più lo si usa con prudenza. La nostra sicurezza emana dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e del ritegno.

    Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta dai principi, possiamo affrontare le nuove minacce che richiederanno sforzi ancora maggiori – una cooperazione e comprensione ancora maggiori tra le nazioni. Cominceremo a lasciare responsabilmente l’Iraq alla sua gente, e a forgiare una pace duramente guadagnata in Afghanistan. Con i vecchi amici e i vecchi nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e respingere lo spettro di un pianeta che si surriscalda. Non chiederemo scusa per il nostro stile di vita, né ci batteremo in sua difesa. E a coloro che cercano di raggiungere i propri obiettivi creando terrore e massacrando gli innocenti, noi diciamo adesso che il nostro spirito è più forte e non può essere infranto. Voi non ci sopravviverete, e noi vi sconfiggeremo.

    Perché noi sappiamo che il nostro retaggio “a patchwork” è una forza e non una debolezza. Noi siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti e non credenti. Noi siamo formati da ciascun linguaggio e cultura disegnata in ogni angolo di questa Terra; e poiché abbiamo assaggiato l’amaro sapore della Guerra civile e della segregazione razziale e siamo emersi da quell’oscuro capitolo più forti e più uniti, noi non possiamo far altro che credere che i vecchi odi prima o poi passeranno, che le linee tribali saranno presto dissolte, che se il mondo si è rimpicciolito, la nostra comune umanità dovrà riscoprire se stessa; e che l’America deve giocare il suo ruolo nel far entrare il mondo in una nuova era di pace.

    Per il mondo musulmano noi indichiamo una nuova strada, basata sul reciproco interesse e sul mutuo rispetto. A quei leader in giro per il mondo che cercano di fomentare conflitti o scaricano sull’Occidente i mali delle loro società – sappiate che i vostri popoli vi giudicheranno su quello che sapete costruire, non su quello che distruggete. A quelli che arrivano al potere attraverso la corruzione e la disonestà e mettendo a tacere il dissenso, sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che vi tenderemo la mano se sarete pronti ad aprire il vostro pugno.

    Alla gente delle nazioni povere, noi promettiamo di lavorare insieme per far fiorire le vostre campagne e per pulire i vostri corsi d’acqua; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quelle nazioni, come la nostra. che godono di una relativa ricchezza, noi diciamo che non si può più sopportare l’indifferenza verso chi soffre fuori dai nostri confini; né noi possiamo continuare a consumare le risorse del mondo senza considerare gli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso.

    Se consideriamo la strada che si apre davanti a noi, noi dobbiamo ricordare con umile gratitudine quegli americani coraggiosi che, proprio in queste ore, controllano lontani deserti e montagne. Essi hanno qualcosa da dirci oggi, proprio come gli eroi caduti che giacciono ad Arlington mormorano attraverso il tempo. Noi li onoriamo non solo perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché essi incarnano lo spirito di servizio: una volontà di trovare significato in qualcosa più grande di loro. In questo momento – un momento che definirà una generazione – è precisamente questo lo spirito che deve abitare in tutti noi.

    Per tanto che un governo possa e debba fare, alla fine è sulla fede e la determinazione del popolo americano che questa nazione si fonda. E’ la gentilezza nell’accogliere uno straniero quando gli argini si rompono, la generosità dei lavoratori che preferiscono tagliare il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto, che ci hanno guidato nei nostri momenti più oscuri. E’ il coraggio dei vigili del fuoco nel precipitarsi in una scala invasa dal fumo, ma anche la volontà di un genitore di nutrire il proprio figlio, che alla fine decidono del nostro destino.

    Forse le nostre sfide sono nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma i valori da cui dipende il nostro successo – lavoro duro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo – tutto questo è vecchio. Sono cose vere. Sono state la forza tranquilla del progresso nel corso di tutta la nostra storia. Quel che è necessario ora è un ritorno a queste verità. Quel che ci viene chiesto è una nuova era di responsabilità – il riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo un dovere verso noi stessi, la nostra nazione, il mondo, doveri che non dobbiamo accettare mugugnando ma abbracciare con gioia, fermi nella consapevolezza che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, così importante per la definizione del carattere, che darsi completamente per una causa difficile.

    Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza.

    Questa è la fonte della nostra fiducia – la consapevolezza che Dio ci ha chiamato a forgiare un destino incerto.

    Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo – perché uomini, donne e bambini di ogni razza e di ogni fede possono unirsi nella festa in questo Mall magnifico, e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il giuramento più sacro di tutti.

    Perciò diamo a questa giornata il segno della memoria, di chi siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno in cui l’America è nata, nel più freddo dei mesi, una piccola banda di patrioti rannicchiati intorno a falò morenti sulle rive di un fiume ghiacciato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico avanzava. La neve era macchiata di sangue. Nel momento in cui l’esito della nostra rivoluzione era in dubbio come non mai, il padre della nostra nazione ordinò che si leggessero queste parole al popolo:

    “Che si dica al futuro del mondo… che nel profondo dell’inverno, quando possono sopravvivere solo la speranza e la virtù… Che la città e la campagna, allarmate da un pericolo comune, si sono unite per affrontarlo”.

    America. Di fronte ai nostri pericoli comuni, in questo inverno dei nostri stenti, ricordiamo queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, affrontiamo con coraggio le correnti ghiacciate, e sopportiamo quel che le tempeste ci porteranno. Facciamo sì che i figli dei nostri figli dicano che quando siamo stati messi alla prova non abbiamo permesso che questo viaggio finisse, che non abbiamo voltato le spalle e non siamo caduti. E con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e l’abbiamo consegnato intatto alle generazioni future.

    (20 gennaio 2009)

  5. Lorenzo,

    per anni Berlusconiani si intendono anni nei quali Berlusconi vince le elezioni ed il Governo è responsabile almeno della finanziaria di settembre-dicembre.

    Kluz,

    forse il gioco non è serio, ma nella comunicazione politica attuale vincono messaggi comprensibili e suggestivi, come ci ha insegnato proprio Silvio.

    Se l’Economia va male o sei poco bravo o hai semplicemente sfiga. Qui però non discutiamo le qualità governative del Premier.

  6. E’ chiara la strategia (chiamiamola così) di questo governo: aspettare. Alla fine avremo chi avrà fatto tesoro dell’attuale crisi per rinnovare ed innovare. Altri, Italia in primis, rimarranno al palo. L’attuale governo tira a campare (più del criticatissimo, dall’opinione pubblica, governo Prodi).
    Il Pil sarà uno strumento obsoleto ma guarda un pò, a fronte di un consistente calo del suddetto, nel 2009 molta gente perderà il lavoro (o lo ha già perso). *Continuo a rimanere basito su quanti danno ancora credito all’attuale capo dell’esecutivo. Capisco la fede politica ma e’ la totale assenza di senso critico che lascia di stucco.
    (*) Quest’ultimo pensiero trattasi di puro sfugo, scusate.

  7. O entrambe Jonkind, le cose non sono alternative, anzi, se sei incapace porti sfiga e miseria: Ma Berlusconi non è solo incapace è egoista che è peggio. Riesce a mobilitare le energie e apremiare solo quelli che lo incensano e lo aiutano a diventare più ricco. Tutti quelli che vorrebbero mobilitare le energie per l’Italia lui non li guarda nemmeno. Da questo ne discende la sfiga. Blocco totale delle energie creative al servizio della crescita del destino comune.

  8. e a proposito d’egoismo, chiaramente disse, qualche giorno fa, che lui comparsa non e’.
    Trovo esaurito il suo ruolo politico, fuori i comunisti e limati a dovere i fascisti adesso dovrebbe levarsi dai maroni..che so che si pigli una stanzetta in Texas col suo amico George Walker Bush.

  9. Essendo uscita una nuova revisione del PIL 2008 (-0,6 invece di +0,3) abbasso di nuovo la performance media del premier da 0,53% a 0,48%. Meno di mezzo punto di PIL di crescita annua.

  10. Sembra abbastanza logico che le stime su pil, disoccupazione e debito pubblico vengano manipolate (cioè interpretate) ad uso convenevole (per chi sta antipatico Berlusconi tutto negativo, per chi sta antipatico Prodi tutto negativo 2 anni fa)…e la verità? accettate il mio consiglio, cercatevela da soli in tanti siti che trattano argomenti di economia non su basi pretestuose ma su veri e propri dati di fatto…

  11. Ma sì, che ce ne frega della crisi se c’è da andare 10 volte in Sardegna a fare campagna elettorale per le regionali (e magari ne approfittiamo per raccontare barzelletta, come si è fatto in Abruzzo). Oppure rilasciamo interviste e ci impegniamo a trattenere Kakà al Milan mentre tutti gli altri primi ministri si sbattono, cagati in mano, per capire che cazzo fare per evitare il baratro. E questo poi dice che il pil che non cresce non è un problema, che la crisi non è crisi. Ma d’altronde, cazzo ne sa lui di vita quotidiana, di posti di lavoro persi, di precari che rimangono tali.
    Ma dio santo, ma ci sono ancora dei folli che pensano che sia moralmente accettabile spalleggiare uno del genere?

  12. Fabio Marangon:

    se e’ vero che il pil non dovrebbe piu’ essere strumento di misura del benessere economico, del progresso, della qualita’ di vita di un popolo, che e’ un falso indice e che porta a un tipo di sviluppo e crescita sbagliato e pericoloso, e’ altrettanto vero che in alcun modo il nostro sb nelle sue affermazioni voleva riferirsi a questo, neppure di striscio.
    Anzi, non so neppure se conosce queste teorie, e se ne ha sentito parlare, sara’ convinto siano bubbole da comunisti, o peggio, da verdastri.

    Per cui, se mai disgraziatamente in questo caso si trovasse ad avere ragione, sara’ nello stesso modo casuale dell’orologio guasto.

    Quello che due volte al giorno segna l’ora esatta.

  13. Scusa Luca,

    ma questi dati sono per l’appunto un fatto oggettivo. La crescita del PIL è data da cifre ufficiali poi ognuno fa i collegamenti che vuole.

    Ovviamente il post è scherzoso, una carinerìa.

    Ma quelli che sparano cifre sono altre.

  14. dici che berlusconi porta solo sfiga?
    ragazzi obama è molto più giovane, la costruzione di un futuro che lui vivrà è coinvolto, i nostri politici berlusconi compreso ha già una certa non ha una prospettiva di futuro lunga e gliene auguro pochissima

  15. “cercatevela da soli in tanti siti che trattano argomenti di economia non su basi pretestuose ma su veri e propri dati di fatto…

    oddio magari anche su qualche buon libro…

  16. raddrizzare le sorti di un’economia andata a gambe all’aria con la classe politica che ci ritroviamo(opposizione compresa e con le dovute eccezioni) è come cercare di “circumnavigare la terra partendo dal Mar Caspio” senza scali(cfr Michele Serra)

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