GENTE CHE SI MINACCIA COL CACCIAVITE, BANDE DI RAGAZZINI CHE SI AFFRONTANO MINACCIOSAMENTE AI GIARDINETTI…
Sono rientrati dalle ferie novanta milioni di italiani, fra cui sessanta milioni di esseri umani e trenta milioni di automobili.
A Sant’Ilario non c’è mai stato un omicidio a memoria d’uomo. Ci sono, questo sì, numerosi furti di biciclette (almeno tre all’anno) e nel ’94 ci fu quella terrificante scazzottatura in piazza in cui il figlio del tabaccaio perse un dente: i due carabinieri della stazione non riuscirono a ricostruire la genesi dell’atto criminoso, ma in paese si mormora che tutto nacque da un complimento di troppo alla ragazza di Gianni, che è un tipo impulsivo. A parte questo, la gente dice “scusi” e “per piacere” e quando qualcuno tampona qualcun altro si scende, si tira fuori il modulo dell’assicurazione e si comincia a discutere civilmente, non senza offrirsi un caffé. Capirete che mi sono sorpreso quando, uscendo dal Bar Sport, mi ritrovo un bel “A MORTE TUTTI” a spray sul muro. Attraverso la strada, e per poco non vengo messo sotto da Ninetto che se ne va in giro col triciclo del pane. Ninetto? Capelli a zero, svastica sulla maglietta, una gran catenaccia alla cintura… “A Niné! Ma come ti sei conciato?”. Passa il dottor Paloscia, il farmacista: braghe mimetiche, rayban, bomber “Search&Destroy”… boh, un po’ originale, a sessant’anni. Ninetto sorride, mi fa: “Scusi profess… no, volevo dire: va ‘mmorì ‘mmazzato!”. Intanto sul marciapiede arrivano due ragazzini: uno dei due si fruga accuratamente in tasca, tira fuori mezzo mattone, lo tira sulla vetrina del Bar Sport – oddìo: s’è incrinato il vetro – poi entra tranquillamente, chiede “Latte e brioche, per favore” e mette le monetine sul bancone. Il barista, sorridendo, lo serve. Insomma.
Siccome, come sapete, da giovane ho fatto anche il giornalista m’è venuta voglia di scoprire che cavolo sta succedendo in paese. Gente che si minaccia col cacciavite, bande di ragazzini che si affrontano minacciosamente ai giardinetti, anziani signori che improvvisamente si afferrano l’un l’altro per il bavero della giacca: e il vigile che lascia correre, come se non ci fosse. Ed ecco i risultati dell’inchiesta.
Giorno 28, alle ore 23.30 nel retrobottega del Bar Sport sito in piazza Roma 3, ha avuto luogo una riunione segreta indetta da Massimo il barista, dal professor Bonafè, dal dottor Paloscia, dal ragionier Del Bono e da alcune altre autorità del paese. Ordine del giorno: il Sant’Ilario Footbal Club, che milita valorosamente in serie D2 e ogni anno riesce fortunosamente (di solito con gol di spareggio e monetina) a non essere retrocessa in serie E. “Quest’anno dobbiamo andare sul sicuro – ha proclamato il barista – Organizziamoci a partire da ora non solo per restare in D, ma addirittura per salire in C!”. “E come? L’anno scorso abbiamo fatto tre gol in tutto il campionato!”. “Non li leggi i giornali? Ci facciamo promuovere per motivi d’ordine pubblico!”. Tutti sono rimasti fulminati dall’idea. “Vuoi dire che…” ha mormorato il ragioniere. “Certo! Si devono spaventare, alla sola idea di quel che può succedere se non ci mandano in serie C!”. “Ma scusa… qui non succede mai niente… come si fa a fargli prendere sul serio…”. “Dobbiamo cambiare metodo! Dobbiamo ter-ro-riz-zar-li! D’ora in avanti qua dev’essere peggio del Bronx!”. “Se ho capito bene – interloquì il professore – si tratterebbe dunque di assumere una sorta di mutazione antropologica tale da pervenire a quella che definirei, se i nostri amici me lo consentono, una sorta di imbarbarimento indotto!”. “Ehm… insomma, una cosa del genere”. “Bene! Allora, Massimo, sai che ti dico? Sei uno stronzo!”. E tutti sorrisero soddisfatti.
Le lucciole. Gl’italiani, da molto tempo, non cantano più. Io sono arrivato ancora a vedere il “contrasto” in un’osteria presso Siena, forse nel ’67: un tizio entra, si volge con aria burbanzosa a un altro avventore suo conoscente e gli declama contro un’ottava ariostesca, improvvisata lì per lì. L’altro deve rispondere letteralmente per le rime, con un’altra ottava. Vince quello che riesce a rispondere sempre perfettamente in versi. È ammesso qualche endecasillabo zoppo o monco (ma non sempre), ma sulla struttura e la rima il pubblico è inflessibile: esitare un minuto è già segno di prossima sconfitta. Di mestiere, per lo più, i contrastanti erano ‘ontadini. Da noi, in Sicilia, non si arrivava a queste altezze; a ogni festa però c’era sempre qualcuno che improvvisava un lungo brindisi in rima, e il festeggiato era tenuto a rispondere, o quantomeno a provarci. Un bellissimo mito del mio paese è la morte del dottor Z., che a un capodanno particolarmente sibaritico alzò il bicchiere per rispondere, fissò il suo interlocutore con sforzo, articolò “Bevu all’amici miei con ‘stu buccali…”, restò assorto un attimo a cercare la rima e s’abbattè fulminato sul tavolo, ucciso dall’età tarda e dal vino. “On oi theoi philousin…”. Una morte invidiata.
Va bene, non mi ricordo più di che cosa stavamo parlando. Gl’italiani una volta cantavano e ora non cantano più. Una volta brindavano in versi, e adesso ciccia. Ah, ecco: una volta giocavano a football, e ora non giocano più. Per “giocare a football” intendo sia i nostri pomeriggi dietro a una palla che le serate di mio padre e i suoi amici davanti alla tv. Ci metto anche la schedina della domenica sera, parte costitutiva (ah, quel povero sogno: che però richiedeva anch’esso delle conoscenze, una sua “cultura”) dell’identità italiana. È bello che lo sport popolare sia stato il calcio, qui da noi in Italia. Uno sport collettivo, da polis, in cui c’è il centravanti brillante ma pure il duro terzino, e il mediano che tiene l’area e il portiere ultima difesa. Ettore e Achille, Nestore e Aiace; uno sport colto, da popolo antico, altro che le bastonate a una palla in mezzo a un quadrato di mammalucchi. E il calcio, come le canzoni e il contrasto, non c’è più. Se fossi un ragazzo e dovessi rioccupare la mia scuola, stavolta non organizzerei il collettivo, dentro il liceo occupato: ma una bella e sovversiva partita, undici contro undici dietro un pallone e niente politici e manager a rompere le palle e a sporcare tutto.
Campionato. “Al quindicesimo del secondo tempo, ecco l’avvocato che passa al cancelliere che passa al giudice che passa all’usciere che dribbla il procuratore.. carta bollata… gol! Gool! Al quindicesimo del secondo tempo velocissima azione degli etnei che passano in vantaggio con un imparabile tiro del bollavanti Garbuglia, qui Catania è tutto a voi studio”.
Quest’anno, per non scontentare nessuno, le squadre di serie B verranno promosse tutt’e 24 in serie A. Lo stesso per le serie inferiori. In C resterà solo il Cuneo.
Blackout. La privatizzazione soffoca la tecnologia, produce poco e male e spreca buona parte del prodotto in reti distributive obsolete. L’occidente non è più in grado di produrre spontaneamente (per la prima volta nella sua storia) l’energia che gli occorre: E allora? La produrrà forzosamente, con il ritorno al nucleare. Qui non occorre alcuna interazione fra società e mercato perché il sistema funzioni: si produce e basta; la quantità del prodotto è tale che il problema non è più di “coltivazione” ma solo di incanalamento. Non è la prima volta che l’umanità piomba in una scelta del genere. Puntare su ulivi e fichi “compatibili”, su terreni irrigati individualmente e autonomi l’uno dall’altro, oppure centralizzare tutto il sistema, irrigando da un centro e distribuendo piramidalmente il prodotto ammassato? È esattamente la differenza fra greci e assiri. Questi ultimi apparivano i più vincenti, a suo tempo: una bella “società idraulica”, e non se ne parla più. Noi adesso però utilizziamo ancora cultura greca, mentre degli assiri (e degli egizi, dei babilonesi ecc.) non si parla più da un bel pezzo.
Dov’è il trucco? Una società idraulica ha bisogno di guardie, faraoni, palazzi reali, piramidi, religioni “pesanti”, reggimenti, mura; tutta roba che costa soldi, e che fra l’altro impedisce lo sviluppo dei software individuali cui poi diamo il nome di civiltà. Una società nucleare è una società idraulica aggiornata, in cui il principale problema (e poi l’ideologia, e infine la religione) è la sicurezza del centro rispetto al “terrorismo” (ai barbari del nord, agli Hyksos, agli elamiti, a tutto ciò che sia esterno). Soluzione: una grande muraglia e una buona polizia segreta. Non servono a niente, ma che altro potrebbe fare un povero imperatore?
La storia, nella sua ironia, dà dei segni graziosissimi se uno ci sta attento. Il blackout più politico, d’un paio d’anni fa, è stato quello della California. I più avanzati del mondo, eppure sono rimasti senza luce semplicemente perché i vari notabili a cui erano stati regalati i vari acquedotti (la privatizzazione dell’energia) non avevano alcuna voglia di spender soldi per mantenerli efficienti. La California è uno stato relativamente civile, in cui il dibattito è abbastanza avanzato per essere un dibattito americano. Alla fine, la parte più benestante della popolazione ha deciso di candidare alle elezioni Schwarzenegger, muscoloso gladiatore da poco importato dai Germani. Non inventerà niente, ma terrorizzerà i nemici (interni e esterni) che sono l’unico problema ormai percepito dalla comunità. Tutti gli imperi idraulici alla fine sfociano in Caracalla.
Tornano, ritemprati dalle vacanze, i grandi e scaltri politici a “occuparsi” volenterosamente della sinistra. Il primo: “Non si può confondere l’Ulivo con i manifestanti di qualche corteo. Noi non abbiamo nessuna ossessione contro Berlusconi“. Noi no, ma lui dovrebbe sognarselo di notte, per le fregature che ne ha avuto. Il secondo: “Pensione cinque anni dopo? Perché non ne parliamo?”. Qui il tentativo d’inciucio è callidamente rivolto – se non andiamo errati – non verso l’obsoleto Cavaliere ma verso gli astri sorgenti Casini e Fini. Il terzo… il terzo è direttamente Giuliano Amato, che Repubblica tira spietatamente fuori dalla cripta per proporlo nella prima (di, ahimè, temo molte) intervista della serie “centrosinistra, ulivi, mondo e dintorni”. Intanto, per completare il quadro d’antan, al vecchio hotel Rafael ricominciano i furti. Stavolta sono ammancati tre quadri antichi. Investigatori perplessi: porte e finestre intatte, e nessun segno d’effrazione. Secondo l’ispettore Gimko, il mariuolo è passato attraverso i muri.
Campbell. È quello che sta rovinando il povero Blair. Una specie di Velardi, però furbo.
Largo ai giovani 1. In Italia non riescono a trovare lavoro un ragazzo su quattro e una ragazza su tre sotto i venticinque anni. Il peggior tasso di disoccupazione giovanile (27 per cento) del continente, quasi il doppio della media europea.
Largo ai giovani 2. Negli ultimi nove anni (parte di centrosinistra e parte di centrodestra) l’assicurazione dei motorini è aumentata tranquillamente del 1900 per cento.
Emissioni. Sono usciti i primi francobolli dell’Unione europea, ognuno dedicato a un personaggio diverso. Quello da un euro porta l’immagine dell’attuale presidente, con sotto la scritta: “Attenzione: sputare dall’altro lato”.
Elementare. Secondo il professor James Watson dell’Università di Cambridge la stupidità è determinata principalmente dal Dna. Restano pertanto escluse le cause esogene: televisione, pubblicità, conformismo sociale, bombardamento mediatico fin da piccoli, ecc.
Incontri. S’incontrano Bush, Eltsin e Berlusconi. Bush: “I think so”. Eltsin: “I think so, too”. Berlusconi: “I think so, three”.
Michele wrote:
< Figuriamoci se tocca a me difendere D’Alema, però… Il presidente dei Ds ha commesso una serie di errori (bicamerale, silenzio sul conflitto d’interessi, più in generale aver ritenuto che Berlusconi fosse un interlocutore credibile), ma di qui a scrivere che è d’accordo con Berlusconi ce ne passa. Eletto a Gallipoli grazie ai voti di Berlusconi? Ma se quello è andato in Puglia a fargli comizi contro! Da dove sono usciti i suoi voti? Cofferati ha chiamato personalmente tutti i quadri Cgil pugliesi per chiedergli un contributo alla campagna di D’Alema. Cofferati e D’Alema, nella loro diversità, sono dirigenti con la D maiuscola e nel momento della battaglia scendono in campo uniti e per il bene comune, lasciandosi alle spalle i personalismi. Dire che i voti di D’Alema sono di Berlusconi sarebbe come dire che i voti di Bertinotti vengono da Forza Italia per dividere l’Ulivo. Non diciamo sciocchezze >
diego wrote:
< Ministri, sottosegretari, capigruppo, portaborse, uscieri, etc. etc. stanno perorando la causa di varie societa di calcio, approfittando del decreto governativo (ad agosto non c’è tempo per stanziare soldi per gli anziani che muoiono di caldo o per chi non è in vacanza perché non ha un lavoro, ma per i decreti salva-calcio sì). Non è che qualcuno si sta tenendo buoni gli elettori di Roma, Napoli, Cosenza, Catania, ecc? La Roma e il Napoli non vengono radiate “per motivi di ordine pubblico”. Significa che se a Firenze l’anno scorso avessero minacciato di bruciare la città la Fiorentina oggi esisterebbe ancora ? >
alessandro.paganini@iol.it wrote:
< Il presidente del consiglio propone l’innalzamento dell’età pensionabile. Strano. Non mi sembra di ricordare il punto fra quelli del “contratto con gli italiani”. Aaah, ora che ci penso, il “piano di rinascita democratica” della P2 recita testualmente: “il divieto del pagamento di pensioni prima dei 60 anni”. Tutto spiegato! Il grande statista deve solo aver fatto confusione fra i due contratti: quello con la P2, e quello con gli italiani >
Viviana wrote:
< Sulle pensioni cadde il primo governo Berlusconi. Nutriamo speranze >
vincenzo wrote:
< In un bel libro, “Shakespeare nostro contemporaneo” di Jan Kott, c’è una pagina sull’interpretazione del Riccardo III come despota-tiranno-buffone. Ma la sua buffonaggine nulla toglie alla sua ferocia. Il potere come recita astuta e spietata >
renata francesco tania simona (da Chatila) wrote:
< Sono quasi le 13 e aspettiamo che arrivi il gruppo dei bambini per cominciare il lavoro. Ma al campo c’aria di agitazione: in giro per il campo ci sono gli uomini della compagnia dell’elettricità libanese. Consegnano avvisi di pagamento e dopo aver staccato la luce a tutto il campo tagliano i fili della luce lasciando molte case al buio. A noi è stato detto di chiuderci dentro, di non aprire a nessuno, e così siamo rimasti tutto il pomeriggio nel nostro ricovero, nascosti dietro la tenda senza ventilatore ed è pure saltato il laboratorio. Tra due giorni partiremo per il summer camp, organizzato dalla Palestinian youth organization, l’associazione che ci ospita; in una località di montagna ad un’ora da Beirut, 200 ragazzi e ragazze palestinesi provenienti da Libano, Siria, Giordania ma non dalla palestina si riuniranno per partecipare a 2 settimane di incontri sulla resistenza palestinese, il ruolo delle donne, i giovani e i movimenti sociali… Nel programma del summer camp ogni giorno avremo 4 ore per continuare il nostro laboratorio. Probabilmente riuniremo grandi e piccoli in un unico gruppo. Il lavoro procede molto bene anche se siamo molto stanchi. Le giornate sono pienissime tra laboratori, incontri, giri. Stiamo imparando moltissimo dagli uomini, le donne, i bambini di qui. Speriamo di saper riporatare in Italia le loro voci. Un abbraccio (ps: nel pomeriggio gli uomini erano di nuovo sui tetti a riallacciare la luce) >
Dalle parti di Roma, dov’è già autunno
e il vento, la mattina, porta un’umidità pensierosa,
è l’ora in cui si affollano sul fiume,
venendo dalla foce del Tevere, i gabbiani.
Chissà – viene il pensiero – se qualcuno di loro
è passato volando sopra di te,
e tu l’hai visto…
È ancora estate, attorno a te, e la figura graziosa
forse in quest’attimo odora d’acqua di mare.
Io spero che qualcuno di loro, amico dei poeti,
arrivi nel suo volo a gridarti qualcosa.
Noi lo sappiamo bene, noi che voliamo
– ti dicono – quant’è difficile incontrarsi su in alto,
per gli esseri che volano; ed è raro
che scendano le dee per farli avvicinare
come per caso; ed è triste deluderle,
respingendo per pigrizia i loro doni.
O forse – ma è possibile? – non sai
la lingua dei gabbiani: e li guardi volare
senza capirne le parole, e di loro non senti
nel cielo immobile che strida senza valore.