Niccolò e Pippo

Era settembre del 1997. Eravamo tutti tornati da poco dalle vacanze e di nuovo al lavoro. Pippo lavorava nella scrivania di fronte alla mia. Era contento perché il giorno dopo avrebbe avuto un computer nuovo, lui che come me preferiva i PC. Quella sera era in fila con i suoi amici per entrare in discoteca. Un gruppo di delinquenti appena allontanati dai buttafuori la buttò in rissa, e Pippo e i suoi amici ci finirono in mezzo, senza capire, senza che c’entrassero nulla. Pippo rimediò una o due coltellate, o cacciavitate. In un primo momento non sembrò nulla di preoccupante: Pippo aspettò l’ambulanza quasi scherzando con gli amici. La mattina arrivò a tutti una telefonata che nessuno si aspettava: molti dei suoi amici erano andati a casa pensando che, in fondo, poteva andargli peggio. Gli andò peggio. Morì alla fine di quella stessa nottata, al Policlinico: un colpo l’aveva preso sotto l’ascella ed era arrivato fino al cuore.

Due di quei suoi amici sono tra le migliori persone che io abbia mai conosciuto, e ci teniamo ancora in contatto. Così come si tiene in contatto con me la sua famiglia, il suo papà, soltanto perché scrissi qualcosa di toccante per ricordarlo. Ricordo che promisi loro che nessuno avrebbe mai cancellato la homepage che si era fatto su Clarence ma, figurati, 21 anni dopo hanno cancellato praticamente tutto Clarence (ne resta una copia sulla Wayback Machine, sempre sia lodata, tiè a chi ci ha cancellati, e qui c’è il Museo disegnato che Roberto Grassilli gli dedicò all’interno della nostra comunità virtuale).

È un ricordo che fa malissimo ogni volta che torna, e torna spesso. In questi giorni è stato inevitabile rivivere quella storia perché Niccolò Bettarini, figlio di Stefano Bettarini e Simona Ventura, è stato protagonista di una situazione che sembrava la fotocopia di quella. Non conosco nessuno dei tre e, anzi, forse siamo lontani due mondi e mezzo per abitudini, ambiente e frequentazioni, ma quando ho saputo che Niccolò non era in pericolo di vita malgrado 11 coltellate ricevute così, per sport (a dimostrazione che il numero di idioti è costante nel tempo, e che gli stronzi non imparano mai dagli stronzi che li hanno preceduti) li avrei abbracciati tutti e tre. E io non sono né il tipo da grandi smancerie, né da abbracciare Stefano Bettarini o la Ventura. Però, ecco, per una volta la vita ha trionfato sulla sfiga e sulla stupidità, sull’ignoranza e l’idiozia, quindi c’è soltanto da brindare e abbracciarsi senza che serva un perché. Goditela, ragazzo, ché non era affatto un finale scontato, e in bocca al lupo per tutto il resto.

A me non resta che abbracciare Saverio, il papà di Pippo, la sua famiglia, i suoi amici e tutti quelli che gli hanno voluto bene: non è la stessa cosa non averlo qui, inutile che ve la racconti, ma c’è quel detto messicano che dice che non muori veramente fino a che è in vita qualcuno che si ricorda ancora di te, e io ho iniziato a crederci.

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2 Commenti

  1. Pippo manca sempre e mi chiedo spesso come sarebbe oggi, come sarebbe bello averlo ancora tra noi. Ciao Pippo ovunque tu sia ti pensiamo sempre

  2. Caro Gianluca, solo oggi sono venuto a conoscenza di questo tuo articolo che ricorda le dolorose vicende del povero Pippo.
    Grazie per il tuo ricordo anche da parte di mia moglie.
    Saverio Labombarda

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