Stanotte (ep. 9: “Parazzi”)

150801stanotte009RssButtonpodcast disponibile su iTunesIn ogni puntata di questo podcast ascolterai una storia diversa, scelta tra quelle che mi hanno più colpito, incuriosito o che mi hanno lasciato con più domande che risposte.

Alcune ti piaceranno, altre ti faranno incazzare, altre ancora ti coinvolgeranno al punto da farle tue e raccontarle a tua volta.

Perché è questa la sostanza di cui siamo fatti, alla fine: di un po’ di storie che ci capitano, e di altre che sembrano belle da raccontare.

Questa è la storia di Stanotte.

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La voce che sentite oltre alla mia è quella di Ilaria Mazzarotta, mentre il testo è tratto da un vecchio post di Leonardo, eccolo qui:

Quel mattino Teddi, il Neocone, ebbe un risveglio difficile.

Forse per via della pizza ai peperoni, o della lunga sessione serale al PC – sì, ma ne era valsa la pena. Il suo pezzo sulla Barriera Difensiva israeliana (Non è un Muro!) era diventato, paragrafo dopo paragrafo, un vibrante atto d’accusa contro i pacifisti neofascisti neocomunisti antiamericani e antisemiti. AmericaIsMyLove, IlikeAmerica e AmericaIsMyCountry lo avevano lincato immediatamente, il contatore era schizzato, e una ventina di lettori entusiasti erano venuti a complimentarsi nei commenti. Più qualche idiota di troll antiamericano e antisemita, prontamente ridicolizzato. Che serata di gloria.

Poi evidentemente i peperoni, rimasti fino allora in sonno, avevano cominciato a lavorarlo ai fianchi. A un certo punto Teddi aveva quasi rischiato di addormentarsi sulla postazione, il naso schiacciato sui pulsanti H e J. In un qualche modo era riuscito a spegnere tutto e a raggiungere la camera, buttandosi sul letto senza neanche lavarsi i denti. (Fortuna che Teddi era solito scrivere i suoi vibranti pezzi già in pigiama). La sveglia era già puntata, ma Teddi non la sentì. O meglio, non l’avrebbe sentita, se una mano sconosciuta ma ferma non lo avesse strattonato (e la luce del giorno filtrava già dalle persiane):

“Ehi, dico a lei!”
“Eh?”
“La sveglia è la sua, no? Quella che sta suonando”.
“Sì… ma lei chi è, scusi”.
“Già, non ci siamo ancora presentati. Mi chiamo Parazzi, ing. Parazzi. Lei probabilmente conosce la storia della mia famiglia”.
“La storia di che?”
“Il famoso massacro dei Parazzi, durante la guerra. I miei parenti furono tutti sterminati. Io sono uno dei pochi superstiti. Una cosa orribile”.
“Mi dispiace”.
“Ha detto Mi dispiace per cortesia o perché le dispiace veramente?”
“Ma… io…”.
“Va bene, prendo atto che lei non è molto informato sulla strage dei Parazzi, e che al di là di qualche svogliata formula di cortesia non sa andare”.
“Scusi, è che sono ancora un po’ intontito, vede, mi sveglio e mi trovo uno sconosciuto in casa…”
“A proposito di questo, devo dire che lei di prima mattina è veramente uno spettacolo indegno”.
“Sì?”
“Ma dico, si guardi, barba sfatta e occhio stralunato. E dormiva sopra le lenzuola”.
“È estate, fa caldo… Se adesso per cortesia mi fa andare in bagno, mi sistemo un po’, e poi…”
“No, non la faccio andare in bagno”.
“Che cosa?”
“Vede, il fatto è che adesso in bagno ci abito io”.
“Come sarebbe a dire che ci abita lei, scusi?”
“Mi sono introdotto nottetempo, tanto non c’era nessuno”.
“Come non c’era nessuno! C’ero io”.
“Veramente lei non c’era, era in camera da letto e ronfava senza nessuna dignità. Bagno, corridoio e cucina erano del tutto disabitati”.
“Pure la cucina!”
“Sì, ma non si preoccupi, ho vuotato il frigo. Io non mangio le sue schifezze”.
“Ma scusi, lei è un ladro!”
“Ecco, vede? Il solito pregiudizio contro noi Parazzi. Io l’avevo capito subito. Evidentemente lei è un complice dei barbari assassini della mia famiglia”.
“No, guardi, lasci stare la sua povera famiglia, io dico che il ladro è lei! Non si entra nottetempo in casa d’altri occupando le stanze vuote! È una violazione della proprietà pri…”
“Ueee, che paroloni! Mi pare che non sa di cosa sta parlando, signor… signor…”
“Teddi”.
“Bah, che nome. Vede, la mia povera famiglia ha una lunga storia, che ci tramandiamo di generazione in generazione. Mica come lei, che manco sa dove stava il suo bisnonno”.
“Veramente sì!”
“Non mi interrompa, non mi interrompa, non è gentile da parte sua. Dunque, vede questo libro che ho qui? È la ristampa di un codice catastale del sec. IX, e stabilisce senza ombra di dubbio che a quel tempo un mio antenato viveva qui, in comodato d’uso perpetuo, per cui…”
“E quindi lei è venuto qui sulla base di un documento di secoli fa?”
“No, guardi, io sono un uomo laico e spregiudicato”.
“Me n’ero accorto”.
“Attento, però, rischia di offendermi. Se le devo dire la verità, non do molto credito a questi vecchi codici, sono tutte leggende. Il vero motivo per cui ho scelto di vivere qui è che la posizione è buona, c’è tanto spazio, un sacco di luce, un bel giardino, e lei è un poveraccio senza dignità che non chiede meglio di essere estromesso definitivamente”.
“Non è vero!”
“Vedrà, vedrà che non mi sbaglio”.
“No, no, lei si sbaglia davvero. Primo: io non sono un poveraccio”.
“Ah no? Si guardi, sono le otto e non si è ancora tolto il pigiama. Non può andare in bagno a lavarsi perché per ragioni di sicurezza non la faccio passare. Non può andare in cucina a farsi il caffè. Teoricamente non potrebbe neanche raggiungere il pianerottolo per andare a lavorare, ma siccome mi sento generoso le farò pagare un pedaggio”.
“Ah, grazie mille”:
“Prego. Vede che possiamo vivere in pace?”
“Ma no, ma neanche per sogno! E poi, scusi, lei dice che qui c’è un sacco di spazio? Ma non è vero, è un monolocale”.
“Per lei è un monolocale. Io lo trasformerò in un superattico, vedrà”.
“E dice che c’è un sacco di luce? Ma c’è solo un pozzetto interno, e ci cagano i piccioni”.
“I piccioni venivano a cagare perché ci abitava lei, vedrà che con me muteranno atteggiamento”.
“E non è in una buona posizione! Assolutamente!”
“Ah no?”
“No, perché il condominio è pieno di amici e parenti miei, e mi basta arrivare al citofono e fare un paio di chiamate, e ci sbarazziamo di lei. La buttiamo sul marciapiede”.
“Ah, passiamo già alle minacce, eh? Allora, lasci che le spieghi come andranno le cose. Vede, sul pianerottolo ci sono già i pezzi puntati sulla tromba delle scale”.
“I pezzi? Che pezzi?”.
“L’artiglieria. Per quei cialtroni dei suoi vicini non c’è nessuna possibilità. A meno che non cerchino di circondarmi dal tetto”.
“Ecco, già”.
“Ma sarebbe una pessima idea, il tetto è minato”.
“Minato? Il tetto? È stato lei?”
“Avrò ben il diritto di difendermi, scusi”.
“Ma come fa ad avere tutte queste armi, non è mica legale”.
“Diciamo che ho uno zio molto potente che… è nel commercio e mi fa… mi fa dei prezzi di favore. Lui ha molto a cuore la causa di noi Parazzi”.
“E non ce l’ha una casa, lui?”
“Scherza? Ha una casa enorme, un giardino immenso, sei bagni, due terrazze…”
“E perché non la ospita lui, invece di venire a rompere me?”
“Lei non mi capisce proprio, ma non è una novità. Nessuno capisce noi Parazzi. Anche lei, mi conosce da cinque minuti e già vuole mandarmi via. Ha detto che vuole “ributtarmi sul marciapiede”. Non ha nessun rispetto per la mia tragedia famigliare”.
“Senta, a me dispiace, onestamente mi spiace per la sua famiglia, ma questo non le dà il diritto di entrare in casa d’altri e puntare l’artiglieria sui vicini”.
“Lei è come gli altri. È un complice di quei barbari assassini. Ma adesso è finita. È giunta l’ora che i Parazzi abbiano una loro casa”.
“Ah, perché lei non è da solo?”
“No, ora conto di invitare tutti i Parazzi superstiti sparsi nel mondo a venire a vivere qui”.
“A vivere qui? In un bagno, una cucina e un corridoio? Sotto un tetto minato, con l’artiglieria puntata sulla tromba delle scale? E lei pensa che verranno?”
“Verranno, verranno, questo è l’unico posto dove i Parazzi possano sentirsi al sicuro. E poi gliel’ho detto, conto di allargarmi”.
“Se è per questo, anch’io stavo per chiedere alla mia ragazza di venire a stare qui”.
“Se vuole un consiglio, lasci perdere. Non si riproduca. Lei è un essere inutile. Si estingua”.
“E invece ho proprio intenzione di riprodurmi, e tanto, anche, e quando questa casa sarà piena di figli miei, la vedremo”.
“Sa che fine faranno, i suoi figli? Un po’ di loro cresceranno violenti e indisciplinati, non avranno nessun rispetto per lei che non ha saputo riconquistare il suo appartamento, e verranno da me a farsi ammazzare. Un po’ di loro verranno invece a lavorare per me… sa, ci sono tante faccende da fare in questa casa. Un altro bel po’, esasperato, andrà a stare a casa dei suoi vicini, che non sanno dirle di no. Ma a un certo punto i suoi vicini non ne potranno più, molleranno i suoi figli e le sue cose per strada e verranno qui da me a firmare una pace separata”.
“No, non lo faranno”.
“Vedrà, vedrà”.
“Ma sono amici miei”.
“Certo che sono amici suoi, adesso. Ma da qui a qualche anno lei sarà un vecchio pazzo sporco fanatico e disoccupato, senza bagno né cucina, e nessuno avrà molto interesse ad aiutarla. Tante parole, pochi fatti. Invece i miei parenti avranno bagno, cucina, uno zio molto potente e il dito sul grilletto. Si fidi di me. E adesso si sposti un po’, per favore”.
“Che cosa sta facendo con quei mattoni?”
“Che domande, mi sto difendendo. Lei è un individuo pericoloso, peraltro invischiato nella barbara strage dei miei parenti. Il minimo che posso fare è tenerla sotto stretta sorveglianza”.
“Non ci posso credere! Lei sta alzando un muro! Sta alzando un muro in camera mia!”.
“Dio, che pregiudizi, che ignoranza, che odio. Non è un muro, vede? Vede questi pali? Vede questi cavalli di frisia? Vede questo filo spinato? È una barriera difensiva in tecnica mista. Un po’ cemento e un po’ legno. Lei non ha il diritto di chiamarlo muro”.
“Domando scusa. No, volevo dire… ma perché lo costruisce in camera mia?”
“Certo che lei è ben sciocco. Se devo difendermi da lei…”
“Ma lo faccia almeno nel corridoio. Aveva detto che la camera da letto restava a me”.
“Ah, allora riconosce il mio diritto a insediarmi nel corridoio”.
“No! Io non riconosco un bel niente”.
“Lo vede? Lei è contro di me, in partenza. Sotto sotto lei vuole sempre ributtarmi sul marciapiede. Io vorrei vivere in pace con lei, ma non vedo come. Onestamente non vedo come”.
“Ma io devo uscire di qui! Devo andare a lavorare!”
“Passi dalla finestra. Attento, però, perché se la vedo arrampicato su una grondaia in atteggiamento minaccioso, sparo. Lei non mi lascia nessuna alternativa”.
“Ma lei è un pazzo!”
“Io non sono un pazzo! Io sono una persona che ha vissuto un terribile trauma famigliare, non capisce?”
“Lo capisco perfettamente”.
“Ma questo non vuol dire che io non l’abbia superato. Ora io sono perfettamente consapevole di me, e non soffro di nessuna mania di persecuzione! Sono gli altri che hanno la mania di perseguitarmi! È diverso!”
“Lei è un pazzo”.
“Ma non capisce. I miei nonni. I miei zii. I miei cugini. Tutti morti, tutti. E lei dov’era? Perché non ha fatto niente? E perché non piange con me? Pianga almeno con me”.
“Sento che le sto per dire qualcosa di orribile, di cui in seguito mi pentirò”.
“La dica, la dica, tiri fuori tutto il suo odio, faccia vedere al mondo che individuo orribile è”.
“Forse ha ragione, forse sono un individuo orribile, ma per un attimo ho pensato: ma tra tutti i suoi poveri parenti, doveva per forza salvarsi il più srtrrrrrrrrrrrrrrring!

Rrrrrrrrrring!
Rrrrrrrrrring!

In quel momento Teddi, il neocone, aprì gli occhi, vide la sua camera illuminata dal sole delle sette, il poster di Ronald Reagan, le viste della skyline di Mahattan prima e dopo la cura, e anche se non era una camera molto grande, si sentì inspiegabilmente sollevato.
Doveva aver fatto un sogno orribile, ma non lo ricordava.
Probabilmente uno di quei maledetti troll necomunisti neofascisti antiamericani antisemiti lo aveva perseguitato nel sonno, con le sue obiezioni capziose, finché lui non era sbottato e non aveva pronunciato una frase orribile, davvero orribile, di cui ancora si vergognava. Era strano vergognarsi di un sogno. Almeno nei sogni uno dovrebbe essere libero di pensare tutto quello che vuole, senza dover spiegare niente a nessuno.
Dal soggiorno veniva un ronzio familiare. Merda! Il Pc era ancora acceso. Si era piantato durante la chiusura, macchina di merda. Maledetto Bill Gates.
Ora andava riavviato. Teddi lo riavviò. Il monitor si spense e subito si riaccese, visualizzando il monumento a Saddam Hussein strattonato dai marines, mentre la folla applaude. Bei tempi, quelli. Teddi fu quasi tentato a connettersi. Perché no? È ancora presto. Giusto per vedere se qualche coglione ha replicato al mio vibrante post…

…ma mentre il mouse si avvicinava all’icona di explorer, Teddi sentì una fitta lancinante allo stomaco. Maledetti peperoni.

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