Gli scemi del villaggio globale

Quando ero ragazzino, girava la voce fosse esistito un gruppo musicale che era andato a cantare “Bandiera Rossa” alla festa tricolore dell’MSI e “Faccetta nera” alla festa dell’Unità, prendendo un sacco di botte in entrambi i casi. Doveva trattarsi di una semplice leggenda metropolitana, perché credo non possa esistere qualcuno tanto scemo. Ma nelle teste di noi adolescenti di allora, confuse da vaghissime idee di anarchia e scemenze situazioniste, quelli erano stati – a loro modo – degli eroi. Oggi sappiamo che trattavasi semplicemente di pirla.

Ora che mi ricordo, si diceva la stessa cosa anche di Alberto Fortis: che fosse andato a cantare la sua A voi romani proprio a Roma e il risultato fu – indovinate un po’ – che prese un sacco di botte pure lui.

Questo per dire che è assodato che le botte siano uno strumento inaccettabile in qualsiasi caso, ma che i citrulli che se le vanno a cercare non aiutano certo a far passare il concetto.

Vengo al punto: qualche giorno fa una vecchia conoscenza della rete, Marco Camisani Calzolari (di lui scrissi già anni fa, qui: lo conobbi che pretendeva seriamente lo si chiamasse “Uno Punto Zero” – giuro – come Prince), ha pubblicato uno studio (“studio”, ovviamente lo dice lui) secondo il quale il 54,5% dei follower di Beppe Grillo su Twitter sarebbero stati falsi e, quindi, probabilmente “comprati”. Disclaimer necessario prima di affrontare il discorso: da queste parti non si nutre la benché minima simpatia per il Grillo versione politicante.

Che i follower di Twitter e i like di Facebook si possano comprare è un segreto di Pulcinella, ormai, per chiunque abbia imparato a dare un senso al proprio pollice opponibile: esistono siti presso i quali, per la modica cifra di qualche dollaro, vieni investito nel giro di qualche minuto da uno tsunami di fan latino-americani, russi, cinesi, peruviani. In un certo senso i follower vengono messi all’asta: vieni da me che te ne do 20.000 per 5$; no, da me te ne porti a casa 250.000 per 100 $, e così via. Appena ne sentii parlare, provai il sistema su un account Twitter che non uso ormai da tempo (perché figuriamoci se per fare esperimenti uso quello ufficiale, nel quale il bello è – secondo me – conquistare ogni singolo follower) e, beh, funzionò. Partivo da poco meno di 1.000 follower: versai 20 $ via PayPal a un tizio che ne prometteva 100.000 nel giro di qualche minuto e, qualche minuto dopo, appunto, bum!, 101.000 follower. Tutti finti, tutti stranieri, tutti con un tweet o poco più, tutti con nessuno a seguirli. Col tempo sono diventati – fatemi andare a controllare – 78.599. E non perché dietro a quegli account esistano persone vere che magari si sono stufate di seguire un utente non più attivo ma, semplicemente, perché di tanto in tanto Twitter li becca e li disattiva.

Svelato il meccanismo, può succedere anche questo: che qualcuno compri dei follower per assegnarli all’account di una persona che vuole delegittimare. Cosa che è regolarmente successa (come dimostra il grafico sulla sinistra) qualche giorno fa, il 21 luglio, quando, a polemica già scoppiata, qualcuno ha speso una manciata di dollari per comprare a Beppe Grillo 13.000 follower in un solo giorno (mentre prima, senza alcuno sbalzo significativo, ne guadagnava 600-700 ogni 24 ore). Così, probabilmente per dire: vedete che è vero che lo fa?

Ora, io non ho tempo e voglia né di difendere Grillo (che politicamente contesterei da qui all’eternità), né di confutare di dati comunicati da Camisani Calzolari (che nel frattempo, essendo andato a prendere a mazzate l’alveare dei grillini, ora lamenta di essere perseguitato e minacciato): basti dire che sono stati sbertucciati un po’ da chiunque, non ultimi alcuni esperti di statistica, che hanno trovato ridicola la metodologia del nostro. Voglio solo fare una prova: ora vado a contare quanti account fake riesco a trovare sugli ultimi 100 follower in un account Twitter come il mio (quello vero, quello serio, quello con 27.343 follower sudati). Risultato: 20 (lo prova l’immagine che trovate qui a destra).

Esatto: andando a braccio il 20% dei miei follower (e di quelli di chiunque altro) sono finti e – dai, ammettiamolo, su – si riconoscono a vista d’occhio. Si chiama “spam” ed esiste da che c’è internet. Non li si cerca: sono loro che vengono a rompere le palle per pubblicizzare qualcosa. Ultimamente va alla grande un link, ad esempio: “blog.livedoor.jp” (non cliccatelo: non ne vale la pena). Entri e, dopo pagine che richiamano altre pagine che richiamano altre pagine, trovi ad esempio un video di una tizia che finge di vendicarsi del fidanzato che l’ha tradita, spogliandosi davanti a tutta internet. A pagamento, ovviamente. In un altro, i geni: “Abbiamo così tante donne che non troviamo abbastanza maschi per soddisfarle: scopatele gratis”. Non serve ovviamente che vi dica che  è tutto finto, ma la veridicità della cosa potrebbe essere oggetto di un nuovo strabiliante studio di Marco Camisani Calzolari.

Perché la realtà è questa: secondo Business Insider, esistono 119 milioni di account Twitter che seguono uno o più altri account; e ce ne sono 85 milioni che hanno uno o più follower. Business Insider ha fatto la sottrazione che a tutti verrebbe normale fare e, considerando i 175 milioni di account dichiarati da Twitter, viene fuori che esistono quindi 56 milioni di account che non seguono nessuno, e altri 90 milioni che non sono seguiti da nessuno.

Secondo un altro studio, condotto da Sysomos,

  • l’85.3% del totale di tutti gli utenti posta meno di un update al giorno
  • il 21% non ha mai postato un tweet
  • il 93.6% degli utenti hanno meno di 100 followers, mentre il 92.4% seguono meno di 100 persone
  • il 5% degli utenti Twitter totalizza il 75% dell’intera attività del social network.

Verrebbe poi da chiedersi – al di là della simpatia o dell’antipatia per il personaggio – per quale motivo uno come Beppe Grillo, dovrebbe comprare 300.000 follower da aggiungere ai 300.000 veri che ha già? Conosco gente che per la metà della metà della metà di quei follower inizierebbe a vestirsi come Briatore e mollerebbe tutto per andare a aprire un chiringuito sulla spiaggia a Ibiza.

La verità è che, come in qualsiasi altro ambiente, esistono sulla rete italiana alcuni personaggi dai quali io, se facessi il giornalista, mi assicurerei di stare ben lontano.

Sono quelli che trovi a fiondarsi sulle tartine e sui gadget a ogni party aziendale di una dot-com; quelli che parlano della propria attività definendola una “startup”, e hanno cinquant’anni e alle spalle una storia di fesserie lanciate e poi cadute nel dimenticatoio del web; quelli che mandano ai giornali comunicati stampa in quanto presidenti di associazioni di utenti e professionisti del settore di cui sono l’unico (l’unico: non sto scherzando) associato; quelli che – in campagna elettorale contro Pisapia – vendono a Letizia Moratti un tool grazie al quale un pensa di dare il “like” su Facebook alla pagina “io amo la pizza” e invece lo sta dando – senza saperlo – alla mamma di Batman; quelli che – sempre in campagna elettorale contro Pisapia – sono dietro all’organizzazione che porta la suddetta Moratti a pestare una merda al giorno, sulla rete e, infine, a tuffarsi nel mare di guano della faccenda Sucate; quelli che, nei propri curriculum online riportano anche di quel leggendario discorso al Bar Sport applaudito da ben tre anziani e due giocatori di biliardo; quelli che si dichiarano “super partes” ma che poi, guarda caso, gestiscono aziende che ricevono commesse milionarie dal PDL, da Mediaset, dalla Moratti, dalle società che fanno capo al comune gestito allora dalla Moratti, da Berlusconi in persona; quelli che postano in rete – orgogliosissimi – foto nelle quali Silvio in persona gli fa pat pat sulla spalla.

Ne conto almeno una decina, di personaggi così, in Italia, e forse è venuto il momento di farne i nomi. Facciamo che ne dico quattro (e li scelgo perché il Corriere della Sera, l’ANSA, Libero e l’Espresso hanno più o meno fatto l’en-plain, concedendo loro spazio qui, qui, qui, qui, qui e qui): Marco Camisani Calzolari (appunto), Matteo Flora (ottimo programmatore, davvero, ma al servizio di Darth Vader) e Michele Ficara Manganelli (l’unico associato di sé stesso, appunto; io ve lo dico: diffidate sempre da quelli col doppio cognome) e Caterina Policaro (ovvero “Catepol“, vacua blogger sedicente esperta della rete che si è fatta strada a colpi di spam, vantandosene poi).

Ora, cara Marta Serafini del Corriere della Sera (prendo te come esempio, ma potrei rivolgermi a parecchi altri tuoi colleghi): io non dico proprio un fact-checking all’americana, ma vogliamo farla una ricerca su quel portentoso e – immagino – inesplorato strumento che è Google, prima di dare spazio al prossimo zimbello della rete che parla a nome della rete? Dico davvero: vai in un posto a caso, tipo FriendFeed, e chiedi che ti raccontino qualcosa di Assodigitale e del suo presidente.

E a tutti gli altri (comprese voi, aziende): smettetela di dare risalto e importanza a personaggi che non saprebbero descrivere a un bambino, e con parole loro, il lavoro che fanno.

 

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50 Commenti

  1. Bravo Gianlu,
    questo articolo mi servirà come memento per ricordarmi cosa devo evitare di diventare… :)

  2. Stavo giusto constatando come l’esagerato polverone sollevato dalla vicenda stesse depositandosi a terra… forse ora si rialzerà, quantomeno perché la sfida cambia: dal testosteronico ed effimero confronto sulla questione dei “followers” a quello più definitivo su chi ha le (s)palle più grosse!

  3. 4 nomi sono meglio di 0 nomi, ma credo che chiunque con un po’ di esperienza della rete italiota potrebbe farne almeno una decina.

    Poi ci fai anche un post sulle querele ricevute? :P

  4. “Disclaimer necessario prima di affrontare il discorso: da queste parti non si nutre la benché minima simpatia per il Grillo versione politicante”. Ecco, salutiamo il server per le prossime 72 ore.

  5. occhio che il primo link di friendfeed (quello di marmaz) porta a un feed privato, e quindi invisibile a un non-utente.

  6. applaudo e condivido, e porca troia c’erano più nomi da fare :-)

  7. Mi sono alzato dal divano ad applaudire, post grandioso finalmente qualcuno che fa nomi e cognomi

  8. sembra proprio la scena di Jack
    che urla a Kate “we have to go back”
    e si torna a 10 anni fa a fare i conti
    noi stronzi di 10 anni fa
    contro gli stessi stronzi di 10 anni fa

    sono preso male

  9. ben scritto… purtroppo in Italia conta più l’immagine della sostanza e questi “professionisti” sono molto bravi ad attrarre i giornalisti incompetenti

  10. 90 minuti di applausi anche se io avrei messo anche un po’ di dietrologia, tipo attaccare Grillo perché ora è sulla cresta e il tuo boss no, ma va bene così

  11. Bravo Gianluca.
    La faccenda dei follower comprati non è nota a tutti. Moltissime aziende non lo sanno e ci sono molti blogger che “vendono” la loro popolarità a suon di numero di accoliti.

    Quando si entra nel delicato (e anche ignorantemente balordo) mondo delle “marchette” più o meno citofonate su blog o twitter, come fa un brand, agenzia, committente a capire la reale influenza o portata di un prrsonaggio? Esistono modi per “verificare”, anche manuali, al di là dell’armada di ovetti?

    Se voglio invitare una blogger a un mio evento vado a controllare commenti e follower qua e la. Ma non è una sicurezza: i commenti te li puoi mettere da sola come la rasulo e i follower te li compri. Forse esiste un metro, un programmino figo? Ditemelo. Inventatelo.
    Ok prr il rank, ma esiste un rank che verifichi le interazioni di twitter?

    Di recente ho denunciato il caro vecchio furbone ex Sw4n che è tornato su twitter e dall’oggi al domani è passato ma meno di 1000 follower a più di 30mila. Sulla TL gli ho detto cretino, sei sgamabilissimo. Risponde in DM: mi sentivo insicuro e li ho comprati.

    Di cosa sa? Che valore economico, e quale valore di reputazione effettiva, con tutto quel che può significare avere tot followers, diamo e abbiamo effettivamente?

    Grazie

  12. Caro Gianluca, l’articolo è scritto con competenza e autorevolezza. Ma adesso che sono stati fatti i nomi (peraltro già noti alla community) che vantaggio si ottiene?
    E’ vero ogni cosa che affermi è condivisibile, ma è un torto per MCC o Matteo GP Flora lavorare per Berlusconi o Mediaset? E’ un torto per Caterina Policaro aumentare la propria visibilità attraverso l’adozione di tecniche di marketing invasive? E’ un torto per MFM inventarsi un lavoro non avendo possibilità di svolgerne un altro? Hai attaccato delle persone che probabilmente rispecchiano il 90% del web…e adesso cambierà qualcosa? Complimenti per il coraggio o….l’imprudenza.

  13. Hai ragionissima Gianluca e fossi in te alla prossima blogfest oltre a premiare tutti i blog e i bloggers migliori (votati dal pubblico a casa) metterei anche un premio al “Blog eticamente più corretto” ovvero quello che non fa marchette ai prodotti, quello che non pubblica comunicati stampa dietro compenso e che si occupa di analizzare seriamente i problemi, partendo dai dati e non dalla fuffa. l’Antifuffa Blog.

  14. non è un torto (beh, sulle tecniche di marketing invasive io avrei qualcosa a che dire, soprattutto quando l’adottatrice di tali tecniche poi si lamenta quando gli altri le usano nei suoi confronti). Però, visto che il 90% della gente non sa queste cose, è bene renderle pubbliche, perché si abbia almeno la possibilità di dare il giusto e contestualizzato valore a quello che costoro dicono.

  15. Il miglior commento alla vicenda che abbia letto sinora.
    Per la cronaca sono giorni che sto chiedendo a Marco Camisani Calzolari e alla IULM di farci conoscere quale sia il titolo di studio del Teaching Professore (ex 1.0) che oggi pubblica studi e ricerche. Non se ne trova traccia da nessuna parte né gli interessati rispondono. E io lo ritengo fondamentale, non tanto per la docenza (ma parliamone però…) quanto per l’autorevolezza della sua “ricerca”. Che si fa in questi casi se uno non risponde?

    http://www.fabrizionapoli.it/societa/marco-camisani-calzolari-non-sono-un-bot-ne-un-fan-di-grillo-mi-rispondi/

  16. Hai fatto bene. Nomi a parte, è ora he qualcuno dicesse che questo “Web 2.0” ha reso tutti guru ed esperti e che molti se la cantano e se la suonano da soli, come si vuole dire.

  17. Condivido articolo e nomi. Ovviamente Gianluca Neri dimostra ancora una volta di essere uno che il web lo conosce davvero. Ma questo è il rischio del mestiere. Di chi è riuscito a fare un mestiere parlando della rete e del mondo digitale. Lo usano tutti ma pochi ne conoscono le dinamiche; è quindi facile trovarsi davanti a uno che usa il metodo “fininvest” che sta provando ad abbindolarti. Quelli son fatti così. Conoscono bene il vecchio “1.0”. Che è ancora quello che governa. Che in qualche modo è collaudato, e ancora arriva prima. O almeno l’effetto di una notizia sui mass media è simile a quello di una bomba: esplode forte e colpisce tutti. Mentre la notizia sulla rete serpeggia, ci va tempo prima che venga diffusa, commentata, rielaborata, ritwittata, è più simile a un virus che ha bisogno di tempo per passare da individuo a individuo. E magari quando la conoscono tutti nel frattempo ci sono già i farmaci, gli anticorpi, e magari il mondo 1.0 ha messo tutto a tacere.
    A mio parere la fase di transizione non è ancora finita. E io che pensavo che il meccanismo della rete dovesse vincere sempre e comunque in tutti i settori, dal mercato alla politica, dall’eliminazione dell’intermediario alla personalizzazione dei prodotti.
    Non è finita perché io pensavo fosse un cambio generazionale, invece è un cambio culturale, e quindi più difficile. Forse nasceranno figli 1.0 che avranno più comodità ad ereditare modelli di potere paterni. Roba poco social ma decisamente più divertente (per loro). Roba di tipo “uno verso molti”.
    Che è un po’ quello che fanno i blogger alla ricerca di audience e di followers. Un modello decisamente 1.0 nella bolgia troppo democratica della rete. Del resto c’è bisogno di qualcuno che scelga, selezioni e decida per noi. Come sempre.

  18. Tutto perfetto.

    Vorrei solo notare che su Twitter c’e’ anche
    chi, come me, segue solo 29 account, ma lo
    fa costantemente ed e’ a tutti gli effetti un
    utente reale e costante del mezzo.

  19. Ho conosciuto di persona quasi tutti quelli che nel Tuo sincero post hai menzionato.
    Qualche anno fa giravo per barcamps e capii che c’era gente capace di campicchiare con la Rete.
    Mcc, che è uno di questi, è molto bravo ad auto-promuoversi e Grillo, con mia somma meraviglia,ci è cascato come un pollo. O forse no…..
    La pubblicitá, in fondo, resta l’anima del commercio, per tutti!!

  20. Altro che Renzi, è Neri il rottamatore :)

    Peccato il post sia finito sul più bello, ma è un buon incipit. Magari smuove qualcosa. Magari.

  21. A proposito di Catepol, qualche tempo fa Le chiesi un aiutino a pubblicizzare un servizio di assistenza che offrivamo nella sua cittá (Potenza)..Inutile dire che non mi cagò nemmeno di striscio. Salvo poi di chiedermi di votarla per i numerosi concorsi per bloggers!
    Cito sta cosa per dare l’idea dei personaggi che gravitano nella Rete italica con patenti di digital influencers…..

  22. Finalmente un articolo intelligente, oltre al fatto che sono d’accordo su tutto.
    Il mezzo (internet, i social media, chiamate come volete) non cambia ciò che esiste da sempre: gente auto referenziata, con la parola start up in bocca per qualsiasi idea, anche una cagata che non serve a niente e non migliora la vita delle persone comuni. Gente che “non ti followo, non ti retwitto, non ti accetto su FriendFeed (la nicchia degli intellettuali stronzi che se la tirano) perché sei da poco sui social o perché non ti ho mai visto nei posti giusti” . Gente che sa solo riempirsi la bocca e poi magari non sa rispondere a banali domande sull’adv di FB, ad esempio: ne parla, ne scrive pure, ma non ha mai fatto una campagna. E ne farei altri di nomi… anche io avrei una listina di stronzi, ma non vale la pena andare in rogna per degli sfigati. Ci son ben altri problemi.

  23. Faccio una cosa antipatica e di cattivo gusto (cioè uso i commenti di un blog per linkare un mio post), ma non posso non bullarmi di aver sollevato ragionevoli dubbi sulla credibilità di Assodigitale e sul suo fondatore e unico membro (uno che non si capisce che lavoro fa e attualmente dirige – per motivi che sarebbe interessante sapere – una rivista dedicata al mondo della pubblicità senza avere nessuna esperienza in quel settore) già nel 2007.
    http://www.suzukimaruti.it/2007/10/20/assi-digitali/

    E sto parlando di uno che nel suo comico curriculum (ora sparito dalla Rete) si bullava di essere tra i fondatori di Forza Italia a Milano. Sì, lo stesso signore che, interpellato dal Corriere sulla querelle Grillo-MCC affermava di essere super partes politicamente.

    Personaggi come lui stanno cercando di rifarsi una verginità, visto che l’aria è cambiata. E bisogna impedirglielo.

  24. Scusa, non capisco. In che parte dello studio MCC ha detto che i BOT di Grillo sono comprati? Ha detto solo che sono falsi. Tu dici che e’ il segreto di pulcinella che molti BOT sono fatti autonomamente da altri per spammare, e dove MCC l’ha negato? Davvero, io non capisco la critica che si fa a MCC.

  25. Caro Suzukymaruti (non sei ancora passato alla Alto?)
    C’è poco da rifarsi la verginitá…Chi ha bisogno di ADV stai sicuro che sa benissimo a chi rivolgersi!

  26. Ma quella di MFM almeno sulla carta e’ davvero un’associazione?
    Guardando il sito direi che Assodigitale sta al digitale come Cronaca Vera sta alla cronaca.

  27. Bravo Neri! Eccome se ce n’è bisogno di articoli come questi, soprattutto a sensibilizzare i giornalisti che scrivono su testate importanti e molto diffuse. E’ veramente disarmante leggere interviste agli “opinionisti digitali” come Ficara e vederli chiamare “i massimi esperti della rete”!! Altro che… questi sono solo i massimi esperti del guazzabuglio, di come annaspare senza avere nè arte nè parte, un titolo di studio, una professionalità certa. Mi riferisco a Ficara soprattutto. Vergognoso.

  28. bello leggere post seri e circostanziati. bello leggere di cose di cui si sospetta l’esistenza e da cui mi tengo lontana. per me il web è evasione da una vita di routine. quando decido di leggere, di seguire qualcuno su twitter spero sia capace di dare un valore aggiunto al mio tempo libero, quello che decido di passare su un SN piuttosto che in un altro posto. che poi abbia millemila follower o poche centinaia di solito passa in secondo piano se dietro un account e una fotina si nasconde una persona vera. ma forse ad alcuni questo non interessa, tutti presi a pomparsi l’ego.
    Marlene

  29. “Conosco gente che per la metà della metà della metà di quei follower inizierebbe a vestirsi come Briatore e mollerebbe tutto per andare a aprire un chiringuito sulla spiaggia a Ibiza.”

    Ma che gente conosci? :-)

    bravo.
    ciao

  30. Federica Doria, ti stimo :-) Anche a me in questo periodo coloro che si riempiono la bocca con la parola “startup” mi stanno sugli zebedei! In questi mesi in Italia non c’è un becco di un quattrino e c’è gente che guadagna organizzando conferenze e autoproclamandosi guru della situazione con la pretesa di insegnare agli altri come si mette in piedi una società IT di successo e diventare ricchi e famosi. Spiegassero loro cosa hanno fatto di concreto nella vita, di concreto però! A quante persone hanno dato lavoro? Quali prodotti usati da un sacco di clienti hanno realizzato? Buh!

  31. …e puntualizzerei: a quante persone hanno dato lavoro a tempo INDETERMINATO? Eh, no! perché a parlare di startup con gli schiavetti assunti a progetto o a partita IVA siam tutti bravi! Siam tutti bravi a fare startup col culo degli altri :-)

  32. Ecco, questa cosa dei corsi su come fare una startup di successo tenuti da gente che non ha mai fatto startup di successo (e si riduce a fare qualche lira organizzando corsi su come fare startup di successo) mi incuriosisce molto.

    E forse meriterebbe un altro dei tuoi post con nomi & cognomi, Gianluca.

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