TheClassifica 141 – Goodbye, Ruby Mubarak

Quindi il rock è morto? Lo fosse, sarebbe la morte sua – ché mica per caso Michael Jackson è al n.1 in classifica (e MiticoLiga e Zucchero, che non stanno granché meglio di Jacko, sono al n.2 e al n.3). I morti sono rock! Carlo Lucarelli si pasce di salme da decantare e Rolling Stone non lesina cadaveri in copertina. Nè “Rock is dead, long live rock” è una frase nuova. A volte mi chiedo se i Beatles non sarebbero stati ridimensionati dall’insipienza del mondo senza l’intervento del sig. Chapman – tipo quelle eresie che vedono in Giuda un elemento fondamentale nel disegno divino, e forse il vero agnello sacrificale, perché oltretutto pronto a prendere su di sé l’odio dell’umanità pur di far giungere il Messaggio alle genti. Comunque, visto che sul tema della settimana scorsa è intervenuto financo Massimo Gramellini, con un articolo mortale (“Non date troppo ascolto ai becchini: il rock non morirà mai. Non fino a quando il piede di un sognatore batterà a ritmo con il suo cuore”), riesumerò la vessata questione, sollevata dalla latitanza del rock nelle vendite mondiali del 2010.

Intanto, lo sapete: definire cosa è rock già potrebbe ucciderci (…coerentemente). E soprattutto, negli ultimi vent’anni, è dura definire CHI è rock. Robbie Williams è autodistruttivo e imbarazzante quanto Ozzy Osbourne. Gli Underworld sono stati ipnotici quanto i Grateful Dead (ma più divertenti). E per contro, quanta coolness, quanta immagine c’è dietro ai White Stripes – per non parlare degli inutili side-project del capellone pallido – rispetto a quella delle boy-band? E quanto davvero sono dirompenti le pallosissime chitarrine indie dei fighetti Strokes e dei loro imitatori approvati dall’occhiuta critica rispetto agli odiatissimi e “commerciali” Linkin Park?

Usciamone con un escamotage. Ognuno di noi ha dentro di sé la percezione di cosa è rock, del suo quid (i più accorti riconosceranno qui una citazione dal diabolico Senso Religioso di don Giussani, testo base dei ciellini) (e l’accostamento non è casuale. Chi ascolta rock, sia quello da megaconcerto che quello di nicchia, è spesso comicamente integralista e gnucco quanto un ciellino)

Col nostro escamotage nel taschino, possiamo dircelo: non è che manchino gruppi o dischi o concerti rock, nel 2010. Vero? Ok.

Il problema è che Arcade Fire, Kings Of Leon, Kasabian, Arctic Monkeys, Green Day e gli stessi Muse, pur capaci di suonare a San Siro – primo gruppo sotto i 40 anni a farlo insieme ai Negramaro – non hanno la stessa capacità trasversale del rock’n’roll vintage, quello che tiene benissimo per diversi decenni e comincia a declinare subito dopo gli anni Novanta, epoca in cui pochi potevano sottrarsi agli anthems di gruppi ancora in buona forma (U2, Guns’n’Roses, Metallica, Aerosmith) o capaci di attirare l’attenzione tanto da creare emuli (Nirvana, Oasis, Alanis Morissette, Red Hot Chili Peppers).

Quello che è successo nello scorso decennio è stata la frantumazione. Mentre tutto andava uniformandosi, paradossalmente il rock’n’roll, nella sua vocazione di strampalato, romantico babbione, andava verso la dispersione in mille idee disunite. E non abbastanza entusiasmanti da spingere nei negozi di dischi – meglio la cotta estemporanea aggratis profittando degli mp3. Dire che gli altri generi continuano a vendere perché chi ascolta rock è più evoluto e ci ha eMule, è un po’ puerile. La realtà è che no logo ha significato anche no mainstream. Niente riffoni alla Smoke on the water capaci di mettere d’accordo tutti, ma migliaia di nicchie nelle quali pascersi compiaciuti dei propri culti. Che quasi sempre poi sono gruppi che partono da un confortevole “già sentito”, aggiungendoci il proprio sapore speziato. Si sono presentate decine di nuovi Joy Division, nuovi Ramones, nuovi Television, nuovi Talking Heads che hanno evidenziato un problema grosso. Mentre il pop e l’hip-hop se ne fregano dell’appartenere a un genere in evoluzione, il rochenroll ci ha lo stesso problema che ha la sinistra. Si chiede da dove viene, e si chiede dove andare. Si fa seghe mentali evoluzioniste, capite. E stiamo parlando di una roba che funzionava alla grande quando un disadattato strillava “A wop bop a loo bop, a lop bam boom!” Eppure è così, il mondo del rock è inpachidermito dalla propria pesantissima cultura fatta di citazioni hendrixiane, echi lisergici, tappeti west coast, alchimie beat, e le altre fesserie da critici (…so quel che dico. Le scrivo) (no, non è vero) (ma facciamo finta che io sia davvero un critico musicale come mi reputano).

Sicché, mentre una furba indossatrice di fashionissimi prosciutti può festosamente ritornellare “Gaga, ullallà!” e arrivare alle masse globali, il rock, che questa facilità di fruizione l’aveva fatta sua da Be Bop A Lula fino a My Sharona, da anni se ne distacca sdegnosamente, finendo per vivere nel perenne culto dei suoi Santi e dei suoi Beati, ruminando incessantemente le liste dei buoni (John, Keith…) e dei venduti (Paul, Mick…) e citando i suoi ipse dixit, ripescando un mellotron oggi o un wah-wah domani.

E questo ci porta a dire che, come la sinistra, il rock non è morto.

Ma, come la sinistra di oggi, il rock di oggi è quella roba lì. Non porta in piazza la gente. Che magari è anche un progresso, vivaddio. Però il patto è chiaro, il patto è questo: ognuno per sé, nessuno per tutti. Vi piacciono i Gossip? Buon per voi. Che cavolo, a me piacciono i Franz Ferdinand… Ma guardiamoci in faccia – ci siamo capiti, no? This passes the convent. Alla fine, quelli che continuano ad andare alle adunate di Don Brucio Springsteen o alle rimpatriate con gli AC/DC, per non parlare di chi va allo stadio per MiticoLiga o MiticoVasco, è animato da questa cosa qui che il rock non gli vuole più dare: quella immediatezza facilona e un po’ ottusa che però puoi condividere con centinaia di migliaia di altri.

…Che poi, tutta questa spatafiata vi arriva addosso solo perché la top ten di questa settimana è fondamentalmente la stessa della settimana scorsa e non avevo argomenti. La settimana prossima cambierà. Ogni tanto, si cambia.

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17 Commenti

  1. Sono annichilito da cotanta coincidenza di pensiero.
    E non oso aggiungere altro per non sciupare un ragionamento solo apparentemente digressivo e invece lucido come una lama di toledo nel 1700.
    Il Rock non è morto. Il rock è nostro. Il rock è questo.
    Non è piaggeria la mia è la consapevolezza di aver trovato una spalla dove piangere.
    Thanks.

  2. chitarrine indie dei fighetti strokes? vero ma “is this it” è bello proprio per quello, sono paraculi al punto giusto.

    d’accordo su tutta la linea.

  3. secondo me la scena rock italiana si è arricchita molto di più di quella anglofona negli ultimi tempi (vedi su tutti Baustelle o Teatro degli orrori) approfittando un po’ della “crisi” globale del rock contemporaneo.
    e poi è verissimo che ormai siamo nell’era degli mp3. tanto che il leggendario negozio Pick up che stava a Lecce e dove passavo ore da “piccolo” ha, ormai, chiuso.

  4. Ma come potrebbe essere diversamente? Cinquanta anni fa il rock era una novità e tutto era bello perché era inaudito. Come quando apri una scatola di cioccolatini assoriti: le prime volte li provi tutti, poi capisci quali ti piacciono e mangi solo quelli. Il rock di Tuttifrutti è morto, defunto. Ma ha lasciato una miriade di eredi, di discendenti, ognuno dei quali si occupa di una porzione dell’eredità. Cosa c’è di male? A me piace, mi va bene così. I concertoni dei decenni passati, poi, erano una novità pure quelli, erano eventi in senso storico, oggi sono eventi in senso pubblicitario, come lo direbbero i PR, così come categorie pubblicitarie sono le parole ‘nuovo’ e ‘vecchio’. Bello e brutto, queste sono categorie artistiche.

  5. Sono d’accordo su tutto, ma bisogna concedere al rock il beneficio del dubbio: dopotutto, non è già stato considerato morto negli anni ’70 e poi negli anni ’80 ? (negli anni ’90 no però). Magari tra 20 anni si guarderà agli anni 2000 come a un’epoca d’oro del rock, in cui i giovani scaricavano a più non posso pezzi rock dalla rete, gli Arcade Fire erano primi in classifica e i Muse riempivano gli stadi…

  6. i baustelle? quel fighetto finto-ruvido che su musichette e melodie riciclate dai decenni passati mette testi imbarazzanti? il teatro degli orrori, che dal vivo pare un gruppetto di vecchi fuori forma scappati da villa arzilla? e allora i ministri, piuttosto, che loro si fanno e sono rock? o i malfunk, che senza battage bloggeristico/elitario/fighetto da tanti anni fanno vero rock?

  7. il teatro degli orrori, che dal vivo pare un gruppetto di vecchi fuori forma scappati da villa arzilla?

    vabbè va torna a votare berlusconi

  8. premetto che dire “rock” implica mettere dentro i Ministry, Jethro Tull, gli Staind e Belle and Sebastian. E’ una definizione troppo ampia per definirla morta.
    2 chitarre sono rock? il tappeto west coast è rock? è un’attitudine? un modo di vestire, mangiare, dire le parolacce?

    continuo dicendo che non ricordo i Nirvana fare folle oceaniche, almeno in Italia, e che gruppi come i Led Zeppelin sono sempre stati di nicchia, mai riempito San Siro, cosi come nelle classifiche (italiane, ma anche Nevermind arrivò solo al 3°posto di Billboard…) no ho mai visto sti gran fenomeni di vendite (forse VS dei Pearl Jam, forse anche i Coldplay o i Radiohead, ma parliamo degli anni 90…).

    aggiungo che se prima dovevi leggere riviste su riviste e ascoltare, se andava bene, una cassettina registrata dall’amico piu avanti di te, oggi trovo la discografia dei Crass abbastanza agevolmente, tra google e rapidshare.

    mi piace sottolineare che quello che oggi manca è, invece, la TENDENZA GENERALE, quel tipo di movimento/citta/maglietta che ti faceva scaricare qualunque cosa di quel movimento (e l’unico cosi penso proprio sia il numetal, ma non uccidetemi) e che ti permetteva di capire dov’eri e qual era la tendenza generale e dichiararti metal o grunge o post-rock davanti a una birra.

    concludo dicendo che il rock non è morto, si è solo “onanizzato”, grazie al web, dove ognuno ascolta DAVVERO quello che gli pare con grande semplicità senza sentire il gran bisogno di condividere nomi, temi e gestualità.

    detto questo, gran pezzo come al solito, continuo a setacciare sapendo bene che di definizioni in giro non ce ne sono proprio, ma di buona musica rock si possa ancora parlare.

  9. Il 10° commento, è come un comandamento. E quindi:

    @Stone: oddio, è un po’ che non passo da West Point ad Almè (Bg). Sarebbe un trauma. E comunque non gli dò soldi da almeno dieci anni, non posso fare il sepolcro imbronciato.

    @Pietro: eppure, a metà anni 90 sembrava parecchio in salute, e con 40 anni di storia, diciamo – ma con continue rinascite e mutazioni nonostante le tante campane a morto, come ricorda @Filippo1. Però a metà anni 00, la salute gli è venuta un po’ meno. E’ strano, no?

    @Sergio: perché, qualcuno qui dentro NON vota Berlusconi? Insinui nel mio cuore un sospetto lancinante.

    @Riciard: intendi dire che Pavement e Violent Femmes lo sapevano e quindi si sono dedicati ad altro?

    @Gianni Nardo: oddio, sui Belle & Sebastian ti seguo col collo obtortissimo, però va bene, ti seguo (…sugli altri, nessun problema). Comunque la questione dell’attitudine è un punto controverso. Per questo me la sono cavata con l’escamotage del quid soggettivo, cercando di evitare il pastrocchio di una definizione sonora e attitudinale.
    Poi, i Led Zeppelin di nicchia, oddio. In America hanno venduto tanto ma tanto (ma tanto). E San Siro non lo potevano riempire perché negli anni 70 non veniva concesso a nessuno. Quanto ai gran fenomeni di vendite in Italia, la mia memoria personale mi suggerisce che Pink Floyd, Police e Dire Straits lo sono stati di sicuro; poi, credo che hitparadeitalia possa aiutarci a scoprirne altri.
    Per il resto, tu concordi con me sull’assenza di mainstream, e io concordo con te sul fatto che comunque dal punto di vista della fruizione, è una pacchia. Salvo i biglietti dei concerti.

  10. e invece mi sembra una delle cose più lucide sull’argomento.
    ti consiglio (magari lo conosci già) “la coda lunga” di Chris Anderson, di wired, che postula quello che dici tu. migliaia di “grandi nicchie” anzichè un unica grande messa.
    E suggerisco anche sergio messina che sostiene nel suo sito radiogladio.it che la pornografia home made sia il vero rock ‘n’ roll del terzo millennio, di cui condivide alcuni topoi dell’esordio:
    Fa schifo ai genitori, è odiato e censurato dalla società, non gli viene riconosciuta alcuna valenza culturale, è troppo sexy. Definizione che si attanagliava perfettamente ad Elvis Presley nei ’50.

  11. @Maddu: beh sui concerti sono ancora piu sfigato, considerato che ai 50-60 euro odierni devo aggiungere un volo low cost e una notte in ostello/hotel/saccoapeloacasadiamicidiamici se tutto va bene.

    la cosa che fa specie è che l’aereo lo pago meno del biglietto…

    @Luca: ho letto la coda lunga di Anderson, e ti consiglio sempre su Wired questo articolo sulla cultura geek (http://www.wired.com/magazine/2010/12/ff_angrynerd_geekculture/all/1) che piu o meno esemplifica il fatto che TUTTO è nicchia perche TUTTO è mainstream.
    L’ho trovato confortante e spaventoso…

  12. ho qualche remora a pensare di reputarmi capace di attribuire un valore a una canzone,e parecchi dubbi sul resto(i dubbi sono di sinistra.”le contraddizioni esistono?”).E non voglio farmi infinocchiare da melodie studiate a tavolino per intorpidire le mie capacità di giudizio.Forse i morti siamo noi e il rock è l’eco che trasmettono gli autoparlanti del limbo.Diversamente non saprei spiegarmi

    http://www.jezdesign.net/vault/The%20Magnetic%20Fields/69%20Love%20Songs/64%20Papa%20Was%20A%20Rodeo.mp3

  13. Beh, però devi ricordare che nel frattempo i giovani sono diventati una minoranza nella “””””società occidentale”””””, e quindi anche i concerti più riusciti sembrano roba di nicchia se confrontati coi decenni in cui la gioventù era maggioranza visibile. E poi la riproducibilità (aiutami Benjamin) della musica ha cambiato definitivamente le carte in tavola: se in passato vi erano periodiche riscoperte consentite dal fatto che l’archivio era la memoria d’uomo, oggi l’archivio è youtube ecc., cosa che genera l’effetto già sentito, limita i margini di manovra dei musicisti e congela il passato consegnandolo alla tomba. Da qui l’esigenza di esplorare terreni meno facili e il rischio di sembrare pretenziosi.
    Azz, devo decidermi a curarmi la logorrea

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