Craxiana

Orario in cui l’agenzia Ansa del 19 gennaio 2000 diede la notizia della morte di Bettino Craxi: 17.46.

Attività della Camera dei Deputati in quel preciso momento: un dibattito sulla richiesta di una commissione d’inchiesta su Tangentopoli.

Durata del silenzio di tomba – espressione infelice – che si creò nell’aula del Senato dopo che Nicola Mancino diede la notizia della morte di Craxi: minuti quattro.

Agenzia Ansa, 19 gennaio 2000: «Da Palazzo Chigi si fa sapere che si è pronti ai funerali di Stato».

Orario in cui venne inoltrata alla Procura la richiesta di Paolo Pillitteri affinchè potesse partecipare ai funerali tunisini di suo cognato Bettino Craxi: ore 13.00.

Orario della risposta di rigetto: 13.09.

Ultima frase udita pronunciare da Bettino Craxi prima di morire, alla figlia: «Devo fare pipì. Dammi il pappagallo ed esci».

Sua risposta, quand’era in fin di vita, dopo che la figlia gli aveva ventilato l’ipotesi di farlo operare in una clinica privata anziché nell’ospedale militare di Tunisi: «Non posso fare un torto al presidente Ben Alì».

Episodio. Nel luglio 1999, ad Hammamet, pochi mesi prima della morte di Craxi: lui che si alza faticosamente, saltella su un piede solo, giunge sino a bordo piscina, e poi si tuffa di testa.

Frammento di un’intervista rilasciata da Craxi il 23 settembre 1999 e trasmessa da Meteore, su Italiauno; domanda: quando ha pianto l’ultima volta?; risposta: «Qualche giorno fa».

Comunicato della Lega Nord il 16 dicembre 1992: «L’avviso a Craxi cessa di essere un fatto politico e diventa solo uno squallido episodio di cronaca nera».

Francesco Rutelli su Repubblica del 2 dicembre 1993: «Voglio vedere Craxi consumare il rancio nelle patrie galere».

Vittorio Feltri sull’Indipendente del 9 gennaio 1993: «Se è vero che anche un politico è innocente fino a prova contraria, è anche vero che questa vicenda non è un giallo e non si tratta di aspettare l’ultimo capitolo per capire chi è l’assassino».

Umberto Bossi, 26 luglio 1993, mesi prima che Craxi lasciasse l’Italia: «Quando scoppiano le rivoluzioni, i re non sono mai destinati alla galera. Salgono sulla ghigliottina o muoiono in esililo. Craxi ha già scelto l’esilio».

Bettino Craxi, 29 dicembre 1992: «Mi hanno già seppellito. Meno male che ho fatto i buchi nella bara e continuo a respirare. I nervi sono saldi, è del cuore che non mi fido».

Dichiarazione del liberale Renato Altissimo in data 22 dicembre 1992: «Craxi ha denunciato un sistema di finanziamento ai partiti che coinvolge tutti e non solo il Psi, ma io non mi sento affatto colpevole, non sono corresponsabile».

Data della condanna definitiva di Renato Altissimo per finanziamento illecito dei partiti: 13 giugno 1998.

Dichiarazione di Claudio Martelli in data 9 febbraio 1993: «Dopo dodici anni di odiose insinuazioni, la verità inizia a venire a galla. Il conto Protezione, come si vede, non era mio, non ne sono mai stato beneficiario né direttamente né indirettamente».

Data dell’avviso di garanzia a Martelli per il conto Protezione: ventiquattr’ore dopo; condanna in Appello: 13 luglio 2001; prescrizione: 26 febbraio 2003.

Espressione adottata dal segretario repubblicano Giorgio La Malfa per sostenere il Pri durante la campagna elettorale del 1992: «Partito degli onesti».

Data delle dimissioni di La Malfa per avviso di garanzia: 25 febbraio 1993; condanne definitive di La Malfa assieme a Bettino Craxi: una per la tangente Enimont.

Da un’intervista televisiva rilasciata da Craxi il 23 settembre 1999 per la trasmissione Meteore, su Italiauno; domanda: Conosce a memoria il verso di una poesia? «Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta / ch’ogni lingua deven tremando muta e gli occhi non ardiscon di guardare».

Vittorio «Bobo» Craxi su la Stampa di qualche giorno fa: «A metà ottobre del 1999 si scopre che operare mio padre in Tunisia avrebbe significato accelerarne la fine. Alcune delle massime autorità dello Stato si mossero motu proprio, ma furono stoppate. Luciano Violante ci raccontò che della vicenda si erano interessati il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e il capo del governo Massimo D’Alema, e che a opporsi alla possibilità di far rientrare mio padre da uomo libero fu in prima persona il Procuratore generale della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli».

Bruno Vespa in Scontro finale, Mondadori 2000: «Nell’ottobre 1999, prima dell’ultimo intervento, Don Verzè si era rivolto a Francesco Saverio Borrelli. “La cortese risposta – mi dice il sacerdote – fu un diligente allineamento alla legge”».

Don Verzè sul Giornale del 22 gennaio 2000, durante i funerali di Craxi: «Avevo fatto avere tutta la documentazione clinica… Sono andato, discretamente, ma con la morte nel cuore, a chiedere a supplicare: fatelo tornare, è questione di giorni. E hanno detto no… ha detto no chi aveva il potere di dire sì».

Bruno Vespa in Scontro finale, Mondadori 2000: «Nel giorno dei funerali di Craxi i magistrati milanesi fecero filtrare la motivazione, allora inedita, della sentenza del processo All Iberian, conclusosi nell’ottobre ’99 con la prescrizione dei reati addebitati a Craxi e a Berlusconi».

Indro Montanelli dopo la morte di Craxi: «Di coraggio ne aveva. Una volta seguii sul video un suo intervento dal banco di governo. Per due volte si interruppe alla ricerca di un bicchier d’acqua. Per due volte Andreotti, che si sedeva accanto, glielo porse. E per due volte egli lo bevve».

Gianfranco Fini, marzo 1999: «Trovo bizzarra questa polemica sulla riabilitazione di Craxi. Il problema è se sia stato artefice della corruzione dilagante. Per saperlo i socialisti devono rivolgersi alla magistratura e non ai politici».

Massimo D’Alema, stesso periodo: «Il Psi e il suo leader sono stati giudicati in modo inappellabile».

Frammento di un’intervista televisiva rilasciata da Craxi a Sergio Zavoli nell’agosto 1997; domanda: «Ha in mente di non essere solo uno sconfitto ma solo un perseguitato?»; risposta: «Io sono sia sconfitto che perseguitato. Tuttavia il fattore che mi aiuta è l’amore che porto alla storia e quindi sono in condizione di misurare i casi della storia, e di misurare quanto di peggio è successo ad altri, che per essere cacciati dal potere hanno perso la vita, o hanno dovuto subire dolorose persecuzioni per essere cancellati e tolti di mezzo dai propri amici e dai propri familiari, dai propri nemici e dai propri avversari. Possiamo incontrare molti altri casi simili nella storia, e questo mi aiuta, mi dico che ad altri è successo di peggio».

Frammento dal suo discorso alla Camera il 3 luglio 1992, cinque mesi e mezzo prima che ricevesse il primo avviso di garanzia: «Fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione che come tali vanno definiti, trattati, provati e giudicati».

Frammento del primo avviso di garanzia recapitato a Craxi: «Doveva essere a conoscenza, almeno nelle linee generali, dell’esistenza di somme illecitamente pervenute al partito».

Antonio Di Pietro nel libro «Intervista su Tangentopoli», Garzanti 2000: «A Craxi non abbiamo mai applicato la regola del “non poteva non sapere”: l’avviso di garanzia gli arriva non quando maturiamo un sospetto sul piano logico, ma quando Larini dichiara che gli portava i soldi in Piazza del Duomo».

Data dell ctato avviso di garanzia a Craxi di cui parla Di Pietro: 15 dicembre 1992.

Data in cui si costituisce il citato Larini e racconta dei soldi portati in Piazza Duomo: 8 febbraio 1993, cioè successivamente all’ avviso di garanzia.

Dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano (1997) che condannò Craxi per la tangente Enimont: «Si può dare atto a Craxi che in questo processo non è risultato né che abbia sollecitato contributi al suo partito né che li abbia ricevuti a sue mani, ma questa circostanza – che forse potrebbe avere un valore da un punto di vista per così dire estetico – nulla significa ai fini della responsabilità penale».

Episodio: nell’autunno 1994 Craxi tornava da un incontro segreto con Antonio Di Pietro ed era seduto dietro la Lancia Thema assieme ai suoi avvocati; a un semaforo l’auto fu affiancata da una moto con due giovinastri che lo riconobbero e presero dirgli «ladro, buffone»; la Thema ripartì, ma loro pure, sino al semaforo successivo: «Ladro, buffone, zozzo»; Craxi continuava a parlare delle sue cose ma al terzo semaforo disse all’autista, Nicola Mansi: «Stringili»; scese; la scorta non c’era; Craxi andò incontro ai centauri, sorridendo, e sferrò un pugno in faccia al tizio seduto dietro, che rimase imbambolato; «Cazzo fai?» reagì allora l’altro (quello alla guida) prima di essere centrato da un gancio sinistro e rovinare a terra con la moto e il passeggero; Craxi risalì sulla Thema e ricominciò a parlare laddove aveva interrotto, senza una sola parola di commento; gli avvocati raggelati; dell’episodio scrisse anche l’Ansa.

Ricordo di Gennaro Acquaviva circa il giorno in cui fu firmato il nuovo Concordato del 1984: «Craxi, dopo la stretta di mano, si sedette per primo. Un monsignore gli si avvicinò allibito: “Ma come, si siede per primo? E porta persino gli stivaletti?”».

Alcuni degli oggetti volati fuori dall’Hotel Raphael: sassi, monetine, accendini, pacchetti di sigarette, un ombrello, un casco. Frase di Craxi, quel giorno, dopo esser salito sull’auto circondata dai dimostranti: «Tiratori di rubli».

Commento di Antonio Di Pietro nel 1994, dopo che i legali di Craxi avevano presentato un certificato medico: «Mi sembra che Craxi ha un foruncolone al piede con pus, più che un’ulcerosi. O se volete una piaga».

Altro commento di Antonio Di Pietro dopo che i legali avevano spedito un altro certificato riguardante un attacco cardiaco: «Quante storie, anch’io ho dei problemi alle coronarie e sono sotto controllo medico»; il titolo di apertura del Corriere della Sera del giorno dopo – dopo che, sul cattivo stato di salute di Craxi, non era uscita una riga – fu il seguente: «Di Pietro è malato di cuore».

Indro Montanelli sul Giornale del 17 dicembre 1992: «Di tutti gli eroi della mitologia greca, Capaneo non è tra i più celebrati. Ed è una bella ingiustizia. Perché arrogante, tracotante e sbruffone con tutti, Capaneo seppe esserlo anche con Giove quando si trovò a tuppertù con lui (…) La classe politica italiana non è di certo un vivaio di eroi, ma un Capaneo ce l’ha: Bettino Craxi. Non sappiamo come Craxi si difenderà. Ma è impensabile che non si difenda e che esca di scena al modo dei democristiani: che si dissolvono in aria».

Che cosa c’è a destra della tomba di Craxi, sotto le mura della Medina di Hammamet: lapide di certa Louise David nata Gros, scomparsa nel 1961. Che cosa c’è a destra: spazio vuoto che Anna Craxi ha riservato per sé. Possibilità che la salma di Craxi rientri in Italia: zero.

Seguono estratti da alcuni editoriali di Eugenio Scalfari pubblicati su Repubblica.26 ottobre 1983: «Che grinta quel Craxi! Che senso della posizione! Che audacia di gioco! Berlinguer lo attacca come se fosse il pericolo pubblico numero uno e lui quasi non gli risponde… Con Forlani adotta un atteggiamento di massima freddezza… Sull’aborto rintuzza papa Wojtyla… Insomma un capo».24 luglio 1983: «Un uomo politico e uno statista insieme. Ce n’è pochi in circolazione».23 marzo 1990: «Craxi ha avuto un tono calmo, un timbro alto, un approccio non rissoso… Ne guadagna la sostanza delle tesi sostenute e l’immagine del personaggio». 29 aprile 1993: sotto il titolo di prima pagina «Vergogna, assolto Craxi» (il più cubitale della storia di Repubblica) ecco l’editoriale di Eugenio Scalfari: «Dopo il rapimento e l’uccisione di Moro è il giorno più grave della nostra storia repubblicana… Non sembri azzardato l’accostamento: la negata autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi ha la stessa valenza dirompente ed eversiva dell’uccisione di Moro. Forse c’è addirittura un filo nero che lega l’uno all’altro questi due avvenimenti a 15 anni di distanza».

Frase di Bettino Craxi che sua figlia, Stefania, ha incorniciato dietro la propria scrivania: «Tutto vorrei, tranne che essere riabilitato da coloro che mi hanno ucciso».  «Tutto vorrei, tranne che essere riabilitato da coloro che mi hanno ucciso».


Episodio tratto dal libro di Francesco Cossiga «La passione e la politica», Rizzoli 2000,  sintesi: Bettino Craxi incontrò l’ex presidente Cossiga dieci giorni prima di morire, il 29 dicembre 1999. Craxi quel giorno è su una sedia rotelle e non beve, non mangia non fuma, anzi, dice sempre di non fumare anche alla ragazza che gli porta le medicine: ti fa male, le dice. Cerca di alzarsi, ma ogni volta si riaccascia. Lui e Cossiga parlano delle cose più varie: Adriano Celentano, il sedere di Claudia Mori, Massimo D’Alema: «Spregiudicato», dice Bettino di quest’ultimo, «ma più fragile di quel che appare». Racconta che D’Alema gli aveva mandato un biglietto d’auguri ma che non lo aveva firmato. Poi regala a Cossiga alcune cose: litografie dei fratelli Lumière comprate a un mercato parigino, altre litografie con la preghiera di Maometto (compresa una che aveva regalato anche al Papa). Craxi, durante il congedo, ha il tipico modo spiccio che hanno le persone timide nell’accomiatarsi; prima che Cossiga sia uscito dalla villa, lo fa richiamare; si chiudono in una stanza, si abbracciano. Craxi ha le lacrime agli occhi: «Tu sai che è l’ultima volta che ci vediamo, vero? Volevo salutarti da solo».

Ultimi timbri sul passaporto di Craxi: Roma-Tunisi il 5 maggio 1994, Tunisi-Parigi l’8 maggio, Parigi-Tunisi il 16 maggio, poi non ha più lasciato la Tunisia.

Vittorio «Bobo» Craxi nel suo libro «Route El Fawara: Hammamet»: «Arrivammo all’aeroporto di Orly (Parigi) all’ora di pranzo, Mitterand gli telefonò in albergo e lo ricevette poco dopo. Quando ritornò era sereno e sorridente, Mitterand gli aveva fatto un discorso da spocialista e da amico: “Se ritieni opportuno avere una protezione io sono in grado di offrirtela”. Mio padre era soddisfatto, aveva avuto da Mitterand esattamente quel che s’aspettava… Però la sera stessa apprendemmo dal telegiornale francese che si era appena suicidato Pierre Bérégovoy, ex primo ministro di Mitterand e suo uomo di fiducia, per una vicenda di tangenti… annunciava anche in Francia una sorta di Mani pulite».

Dallo stesso libro: «Ho dato soldi ai palestinesi e ai sandinisti, ai socialisti spagnoli e portoghesi, ho aiutato le forze democratiche dell’Est che si ribellavano ai sovietici e quelle cilene che resistevano a Pinochet. Ho dato soldi anche a Pannella, e me lo ricordo Marco, quel giorno alla Camere mentre parlavo chiamando tutti i partiti in causa. Salì le scalette dell’emiciclo fin sotto il banco da dove parlavo, e gli leggevo negli occhi il timore che dicessi: sì, ho dato soldi pure ai Radicali. Evidentemente, anche Marco non mi conosce bene».
Ancora: «Una sera mio padre fu raggiunto da una telefonata a casa, quindi si spostò in un altro luogo dove poter comunicare più tranquillamente e senza venir registrato, io lo accompagnai. Ripreso il contatto telefonico, Berlusconi gli comunicò che era sua intenzione portare Antonio Di Pietro ad un ministero o alla direzione generale dei servizi segreti. “Tu che ne pensi?”, domandò Berlusconi. “Penso che sei diventato matto”, rispose mio padre chiudendo lì la conversazione politica, “sì, sto bene, non proccuparti per me ma non chiedermi che cosa ne penso”. Una telefonata breve».

Stesso libro: «Eravamo sul divano di casa nostra ad Hammamet per seguire lo scrutinio delle elezioni europee, e scoprivamo che dal 20 per cento di due mesi prima Berlusconi e Forza Italia erano passati al 30. Papà, incredulo e divertito, esclamava: “Io ho sbagliato tutto nella vita. Ho lavorato trent’anni in un partito, e ogni volta che guadagnavamo lo 0,5 facevamo i salti di gioia, brindisi e gran sventolio di bandiere. Questo, invece… è un altro mondo». Dichiarazione di Franco Zeffirelli del 25 luglio 1993: «Uno così, in altri tempi, sarebbe stato impiccato». Dichiarazione alla Camera di Luigi Rossi, deputato Lega Nord, il 29 aprile 1993: «Onorevole Craxi, ai tempi di Robespierre lei sarebbe già stato ghigliottinato».

Incipit di un corsivo di Filippo Facci su Libero del 19 gennaio 2009: «Oggi è il decennale della morte di Benedetto Craxi detto Bettino, uomo politico italiano, latitante secondo gli uffici giudiziari della Penisola, rifugiato politico secondo il governo tunisino che l’ospitava, maggior modernizzatore del Dopoguerra a margine dell’unico reale dibattito in corso in questi giorni (come tanti servi di procura non hanno ancora capito) e personaggio che risorgendo dalla tomba, col piede sano, avrebbe probabilmente preso a calci nel culo la maggioranza dei pellegrini di Hammamet che adesso lo riveriscono e che per tutti gli anni Novanta lo lasciarono morire, ignorandolo».

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