Libero ha mandato due inviati a Torino. Uno per la cronaca più seria e tradizionale. L’altro per il cosiddetto colore: ero io.
Alle 9.15 si entra – finalmente – dopo spintonamenti come a un concerto rock, siamo passati alla napoletana e abbiamo saltato a fila riservata ad avvocati e magistrati e nello zainetto avevamo di tutto, il metal detector neppure ha suonato.
Alle 9 e 23 la cancelliera comincia a innervosirsi: «E’ un’udienza, non è uno show». Forse scherza: è uno show, non è un’udienza. Ci sono 204 giornalisti ufficialmente accreditati – che diventano 223 compresi quelli infilati tra il pubblico – e ci sono 27 telecamere con treppiedi più uno sciame inafferrabile di telecamerine selvagge; ci sono i grandi quotidiani che hanno sino a quattro inviati ciascuno e poi c’è la mitica stampa estera, El mundo, El pais, Wall street journal, France press, France 2, la tv nazionale olandese, Bloomberg News, l’americana Dow Jones al telefono con Londra, e le testate locali scatenate perché giocano in casa, tutte le radio del mondo, tutti i fotografi del mondo, soprattutto la crema del forcaiolismo giudiziario nazionale – oltre ai meglio garantisti pelosi e prezzolati, certo – e insomma, che diceva quella? Che è un’udienza, che non è uno show?
«Incredibile, c’è tutta la vecchia guardia come al maxiprocesso» osserva un cronista d’età non verdissima guardando verso un Enrico Deaglio dall’espressione scettica. Il maxiprocesso sarebbe quello a Cosa nostra istruito da Falcone e Borsellino e Ayala, davvero altri tempi, altri giudici, altri pentiti, altri riscontri: anche perché ce n’erano, di riscontri. Ora ci sono i cameramen un po’ disorientati che si avvicinano a qualsiasi persona riconoscibile, ma è come se mancasse la tensione. Arriverà.
«Signori, sta per entrare la corte» annunciano alle 9 e 34: ecco i signori giudici che prendono posto mentre i giornalisti si decidono a mollare il procuratore dell’accusa, Antonino Gatto – un personaggio eccezionale, un talento assoluto del grande show giudiziario – mentre una ventina di poliziotti e carabinieri e bodyguard comincia a presidiare il paravento ospedaliero dietro il quale parlerà la star assoluta, lui, esso, Spatuzza Gaspare detto u’ tignusu (il pelato).
«Dell’Utri non c’è» osserva un vecchio topo di sala stampa, ma non è vero: «Eccolo», arriva alle 9 e 39 con la solita aria stralunata e una pettinatura da vecchia fotografia dei barbieri. Si parte, parlano gli avvocati con le solite eccezioni procedurali che per una volta, però, non paiono le solite eccezioni procedurali: è arduo negare che c’era un processo d’Appello, questo, che adesso sta diventando un’altra cosa, era un dibattimento su una collusione di Marcello Dell’Utri con ambienti mafiosi e d’un tratto c’è da occuparsi di un mafioso di secondo o terzo piano che sta per spiegare – il contenuto lo si è già letto sui giornali – che la seconda Repubblica è stata costruita con le stragi, che il più grande partito della storia italiana ha avuto terrore e bombe come propellente.
Gli avvocati Nino Mormino e Alessandro Sammarco sono molto colloquiali: «Noi non ci saremmo mai aspettati tutto questo», dice Mormino, «anche perché dalla stampa sappiamo già tutto: mandanti, indagati, pentiti, pseudo pentiti ascoltati non è chiaro neppure bene dove». Alle 10 e 25 le difese chiedono l’acquisizione di tutti i verbali rilasciati in anni di peregrinazioni giudiziarie da questo Spatuzza, così da sondarne l’affidabilità: acquisirli tutti, non solo i 12 interrogatori rilasciati dall’ergastolano pluriomicida – 40, ne ha ammazzati – tra Palermo, Caltanissetta, soprattutto Firenze e – si apprende – pure Milano.
Tutte schermaglie relativamente noiose: la stampa italiana e mondiale aspetta la star, attende assiepata tra i banchi, è divisa per testata e per solidarietà di specie. E’ curioso come ancora resista la tipizzazione del cronista di sinistra rispetto a quello di destra: il primo più severo, serioso, sobrio e un po’ sciatto nel vestire, lo sguardo a bramare un momento rivelatore; il secondo più disegnato, sbarbato, cinico, mai perturbato e sempre convinto che non succeda mai niente.
A proposito, e la star? Alle 11.50 l’annuncio. «Ora possiamo sentire Gaspare Spatuzza», annuncia il presidente. E meno male, perché si cominciava a pazziare: dopo aver parlato e sproloquiato interi quarti d’ora coi giornalisti, durante una pausa, il senatore Dell’Utri se n’era andato in bagno inseguito da un misterioso paesano – un tizio che sosteneva di conoscerlo – e subito un cronista di Repubblica l’aveva intercettato per intervistarlo: il paesano, non Dell’Utri. Tra i giornalisti, intanto, qualcuno temeva allucinazioni: sembrava ci fossero due Sandro Ruotolo di Annozero – l’altro era guido, fratello gemello e cronista della Stampa – e a un certo punto addirittura i Ruotolo parevano tre, perché c’era anche Giuseppe D’Avanzo di Repubblica che tutto sommato sembrava uno di famiglia: messi insieme, i baffi di tutti e tre basterebbero per farci una scopa di faggina. La ramazza giudiziaria.
Silenzio, entra Spatuzza: ed è silenzio per davvero, tensione vera. Ora uno squillo di cellulare – prima trillavano liberamente – suona sacrilego. Le telecamere si girano verso l’ingresso destro dell’aula nonostante il divieto. Un totale di 22 poliziotti copre un figuro con cappellino blu e giaccavento azzurro/nazionale di calcio: è un imputato in reato connesso.
Sono le 11.53. «Anzitutto buongiorno», sorprende tutti. L’unica novità assoluta di tutta una deposizione scarna, frammentata, a tratti contraddittoria e assolutamente priva di sorprese – non una, ma proprio neanche mezza – è direttamente in esordio, dopo che gli hanno chiesto se faceva parte di Cosa Nostra: sì, certo, faceva parte di cotanta «associazione terroristico-mafiosa». «Terroristico-mafiosa»? Sì, e il perché lo spiegherà più avanti: sinché c’era stato da trucidare Falcone e Borsellino era ancora tutto normale, erano nemici tradizionali; ma poi, dal 1993, si aveva sconfinato: omicidi, stragi, sequestri di persona «e altro», dice, ossia l’attentato a Maurizio Costanzo, le bombe di Milano e Firenze e Roma, «la morte di una bellissima bambina di pochi mesi», e poi «qualche cos’altro di cui non mi ricordo». Strage più, strage meno.
Quando Gaspare Spatuzza parla poi di «un paesano» e di «quello del Canale 5» sono le 12 e 33. E le frasi già le si conosceva, tutte: risultano da centinaia di pagine di interrogatori che Spatuzza ha atteso 15 anni prima di dettare a verbale. Nulla più.
E’ questo il nuovo Buscetta? Uno che in confronto fa sembrare un gigante di affidabilità Salvatore Cancemi, mafioso e pentito gerarchicamente assai più rilevante? Uno che tuttavia non aveva impedito, pur parlando e sparlando, che tutte le inchieste su Berlusconi e Dell’Utri fossero archiviate?
Intanto i giornalisti, ormai, s’intervistano tra di loro. «Forse c’e’ stata una eccessiva attesa nei confronti di questa deposizione», dice Steve Scherer di Bloomberg News», «giustificata soltanto dal fatto che il testimone ha tirato in ballo Berlusconi». «Le dichiarazioni sono state di basso profilo» aggiunge una inviata di France 2. «Ho atteso per ore di scrivere qualcosa: i miei editor di Londra aspettavano che dalle parole di Spatuzza uscisse una qualche notizia» aggiunge un’inviata di down Jones.
La «pausa di 15 minuti» ne durerà quasi ottanta. Giornalisti e giudici e avvocati si abbruttiranno con pasta al tonno e panna e zucchine, consumata nella mensa del palazzetto di giustizia. I cronisti di Repubblica girano in branco, il commissario Davanzoni sovrintende col suo impermeabile bianco. Sandro Ruotolo annuncia strepitose puntate di Annozero. Alla cancelliera, una spigliata e simpatica, quella che aveva detto «non è uno show», glielo ricordiamo durante la pausa sigaretta, dopo la pasta con panna e tonno e zecchine: lo sa che cosa disse Giuseppe Tarantola, il giudice del processo Cusani, all’apertura della prima udienza? «Non sarà un processo spettacolo», disse.
sempre da Il corriere della Sera online:
ROMA – «Non penso a un complotto, nè credo che la mafia voglia far cadere il governo. Però non mi sento di escludere che Spatuzza voglia rifarsi un’immagine, non più killer, bensì salvatore della patria. E non escludo che sia pagato, magari da magistrati, o da terzi». È quanto afferma Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Mi sta bene pretendere dai magistrati che siano in grado di produrre prove solide in tribunale, ci mancherebbe. Ma mi piacerebbe anche che qualcuno chiedesse conto ai politici di dichiarazioni come questa. Ce l’avranno dei nomi questi magistrati che non si esclude che paghino Spatuzza? E questi “terzi” chi sarebbero?
ps: e poi: la mafia sarebbe davvero in grado di far cadere il governo? ma non ci avevano raccontato che la mafia è stata decapitata dall’arresto di Provenzano in poi?
Il pentito non è solo uno ma decine..e tutti accusano il premier e il caro amico allo stesso modo..ha preso soldi e protezione dalla mafia..e i pentiti vengono da famiglie diverse, anche in guerra fra loro..ma non solo mafiosi..anche il vecchio capo dell’amico dice di aver visto in Foro Bonaparte a Milano sacchi di denari per Canale 5…eppoi…
è normle che il capo e l’amico riconoscano tal Vittorio Mangano quale autore di attentati alla villa padronale a Milano e poi se lo tengano in casa?
Cfr sentenza Dell’Utri. Da leggere
Non solo.
Presente il bandito Giuliano? Pare che fosse Ferrara.
Facci è un buon scrittore, fa sorridere e ha trovato un titolo divertente.
Per il resto, è inutile discutere del fatto in sè; le domande sono sempre la stesse:
Un premier che possiede tre televisioni, svariati giornali può convivere con il concetto (e il funzionamento) di una democrazia?
Chi lo critica è “invidioso” (mah…) o semplicemente preoccupato di una situazione anomala?
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