Qualche giorno fa a Napoli un uomo è caduto in una buca ed è morto.
Qual è la notizia, direte voi? Una buca, a Napoli. Manca solo il cane del proverbio.
Ma la notizia è che quella è una buca keynesiana. Una buca dell’economista John Maynard Keynes: l’economista più citato nei momenti di crisi.
Lo ha fatto anche il Ministro Giulio Tremonti, presentando il famoso decreto anti-recessione. Un intervento che è stato sbandierato all’inizio per un valore di 80 miliardi, poi scesi a 13, poi a 7 prima di ripiegare su meno di 4. Ma grazie all’utile analisi di Tito Boeri su La Voce, scopriamo che il piano non vale nemmeno 4 miliardi: lo Stato incasserebbe infatti in saldo più di quanto spende, rendendo di fatto inutile (anzi dannosa) la manovra.
D’altronde che la corsa fosse terminata si era capito. Dall’inizio degli anni ’80 lo Stato Italiano, in una sorta di ipertrofismo della spesa pubblica, ha accumulato quasi tutto il suo debito attuale (dei 1.700 miliardi di euro di debito pubblico odierno ben 1.500 sono stati accumulati dall’81 ad oggi). La Repubblica ha fatto esplodere il deficit ed è riuscita nell’impresa di sfondare completamente le casse statali pur in periodo di forte espansione economica del ciclo.
1.500 miliardi di euro, in poco più di 25 anni, pompati nel sistema economico. Keynes ne sarebbe contento? Con un deficit del genere si sarebbero potuti finanziare 3.700 piani social card, 90.000 chilometri di ferrovia ad alta velocità (due volte il giro dell’Equatore), 245 volte il ponte di Messina, 348 volte la più volte rimandata strada Autostrada Pedemontana tra Bergamo e Malpensa.
Ma vedete niente del genere attorno a voi?
Più che keynesiana in senso stretto questa enorme massa di denaro spesa dallo Stato ricorda più il suo paradosso. Quando il ciclo dei consumi e degli investimenti privati si inceppava per Keynes era fondamentale l’intervento statale, che doveva fornire una vanga ad ogni lavoratore per costruire opere pubbliche e rimettere in moto gli investimenti. Il “paradosso delle buche” sosteneva che anche senza costruire nulla ma il solo dare una vanga e pagare i lavoratori per scavare buche e poi riempirle, avrebbe almeno sostenuto i consumi di quei lavoratori e quindi aiutato la crescita della domanda.
Ma che ha fatto il deficit pubblico italiano negli ultimi 27 anni? A cosa è servito? Non certo a fare ponti, strade, ferrovie ma piuttosto a finanziarie la classe parassitaria statale e para-statale, l’evasione fiscale della piccola impresa e degli autonomi, il sostegno clientelare delle masse elettorali soprattutto del Mezzogiorno. E’ vero si sono aperti cantieri, dati appalti, finanziati progetti. Ma ciò che si è cominciato non si è mai finito, solo sprecato.
Pur spacciato più volte per politica keynesiana, l’intervento pubblico ha applicato in realtà la sua versione paradossale. Quella delle buche da scavare e poi riempire.
Anzi il paradosso del paradosso: sono stati pagati i lavoratori per scavare buche ma poi non sono state riempite nemmeno quelle.
Di più: il paradosso del paradosso del paradosso.
E adesso non ci sono più nemmeno i soldi per comprare le vanghe.
sto leggendo “Il ritorno del principe”, illuminante. Illustra perché l’Italia sta dove sta ed il sistema “mafioso” fatto regola a tutti i livelli di gestione statale. é semplice, chiaro e terribilmente aderente alla realtá. Insomma questo paese non ha futuro messo cosí come sta ora…
Jonkind, purtroppo se dici dall’82 ad oggi e fai il calcolo in valore assoluto non riesci a mettere in luce la vera mostruosità dello sviluppo del debito pubblico italiano.
Il debito pubblico va visto in percentuale del PIL e va visto quan’era nel 1982 e quanto nel 1992. Nel 1982 corrispondeva a circa il 60% del PIL, nel 1992, l’anno di tangentopoli, quando si stava pensando di congelare i BOT, preticamente la bancarotta, dopo dieci anni valeva oltre il 120%. Attualizzato al valore odierno del PIL, circa 1500 miliardi di euro, vuol dire che in dieci anni si sono riusciti a bruciare circa 900 miliardi di euro, 90 miliardi l’anno. Ed il deficit cresceva a botte del -6% annuo. Cose mostruose. 90 miliardi sono quasi tre, TRE CAPITO, finanziarie di quelle del 2007.
A chi si deve tutto questo? Alla lotta di potere che si scatenò in quegli anni tra Craxi e la DC per la supremazia, che finì alla fine in un accordo del panza, il famoso CAF: Craxi, Andreotti e Forlani che si spartirono la torta dell’overcost delle commesse pubbliche a favore dei rispettivi partiti e, in alcuni casi , anche personali.
La cupidigia dei partiti e dei loro dirigenti si era mangiata lo stato e ne aveva caricato il costo almeno su tre generazioni. Adesso siamo 16 anni dopo tangentopoli ed il debito pubblico è ancora al 104%.
Come si è accumulato il debito pubblico?
Furti e tangenti, sprechi e disattenzioni alla cosa pubblica. Appalti caricati di percentuali fisse di tangenti, costi che lievitavano nel tempo fino a diventare follia, accumulando ritardi e bassa qualità. La tangente diventata sistema, mentre l’inflazione e gli interessi del debito pubblico si mangiavano risorse senza che nessuno avesse occhi per guardare e porvi rimedio.
Se oggi non abbiamo risorse per fare niente lo dobbiamo a quel periodo. In quegli anni, gli anni della Milano da bere, e dell’Italia da spolparsi fu mangiato il futuro, il futuro delle generazioni successive.