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si parla di questo. cioè, noi si tace.
Sei ministro, fa il tuo lavoro: LEGIFERARE nella tua materia, non lanciare editti intimidatori e avvertimenti mafiosi.
Peccato che l’intento autopropagandistio sia così spudorato ed evidente che risulterà invisibile ai più. […]
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o pe fà prima: un nuovo fallimento!
mak sei un maestro!
mak sei unico!
mak sei un maestro unico!
;P
alle prossime elezioni ci sarà una vera opposizione?
ci saranno le prossime elezioni?
quando capirà che è ora di farsi da parte sarà troppo tardi, perchè “il magnate” se sarà “magnato” tutto…
Toccherà implorare Berlusconi di consentire (“Ci consenta…”) una corrente di sinistra all’interno di Forza Italia, altrimenti qui, di sinistra, non c’è rimasto più niente…
Bruno, chi ti dice che non ci stia pensando?
L’ombra dietro è quella del mostro di Cloverfield.
Lion, ci ha già pensato ma non ha ancora avuto il coraggio di confessarselo.
Sempre ottimo Makkox..
Ventomare “Bersani for President” Campaign.
TATAAAAAANNNNNNN!
Intervista su Repubblica on line
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Intervista a Bersani: “Un partito solido sa anche distribuire i volantini”
“Da oggi al congresso del 2009 dobbiamo rimetterci in piedi per dare risposte alla crisi”
“Nessuna alternativa a Walter?
Se serve non mi tiro indietro”
di SEBASTIANO MESSINA
Pierluigi Bersani
ROMA – Onorevole Bersani, Veltroni ha messo il Pd davanti a un bivio: innovare o fallire. Ma cosa significa la parola “innovazione”, per lei?
“E’ una parola su cui son d’accordo, e che ho chiesto di qualificare. Per non renderla generica. Se parliamo di innovazione programmatica, Veltroni ha elencato alcuni punti, che io condivido e che è giusto proporre al Paese. Ma se parliamo di innovazione del profilo, della logica, della struttura di un partito, allora è meglio che ci chiariamo meglio le idee”.
Le sembra un appello ambiguo?
“Io credo che il partito sia uno strumento, che deve funzionare per poter cambiare il Paese. Perché questo strumento funzioni, deve avere i piedi nella società, ma non deve esserne lo specchio. La società è piena di cose ottime, di energie vitali, ma è piena anche di diffettucci. Il partito deve saper spostare energie e chiamare tutti a una riscossa civica”.
Il Partito democratico è stato un po’ zoppicante, su questo fronte?
“Secondo me all’inizio di questa nostra vicenda c’è stata questa utopia di una presa diretta tra il partito e la società, di un meccanismo automatico che può portarci dei guai. Prendiamo le primarie…”.
Non le piacciono le primarie? Non crede che sia giusto che siano gli elettori del Pd a scegliere chi dovrà essere il candidato sindaco, o presidente della Regione?
“Sia ben chiaro, io sono favorevole alle primarie. Però dico: cos’è un partito?”.
Già, cos’è un partito? Le è stato rimproverato di voler tornare al modello del Pci.
“No, io non voglio rifare il Pci. Voglio fare l’Avis”.
E cioè?
“Una associazione di volontari della politica. Lì la sovranità è degli aderenti. I quali nei momenti decisivi la devolvono, per meccanismi statutari o per scelta, ai cittadini. Il collettivo di associati chiamato partito decide di fare le primarie per qualsiasi candidatura? Di fare l’elezione diretta per qualsiasi carica interna? Bene, ma lo decide lui. Non è possibile che in tutti i comuni d’Italia debbano esserci automaticamente le primarie, senza che il Pd faccia una valutazione collettiva. Altrimenti alla fine il partito diventa solo un regolamento. E diventa permeabile a qualsiasi cosa”.
Massimo D’Alema ha parlato, nel suo intervento in Direzione, di un partito frutto di un “amalgama mal riuscito”. Condivide?
“Un momento. D’Alema ha fatto un discorso più complesso. Ha detto: qualcuno sostiene che noi saremmo un partito a canne d’organo, un partito di correnti, ma non è così perché siamo in una fase precedente, quella in cui prevalgono semmai degli elementi di anarchia e di frantumazione. Altro che correnti. In questo momento noi non abbiamo nemmeno gli aderenti. Stiamo raccogliendoli adesso. E avremo il primo congresso nell’autunno prossimo. Sarà quello il momento in cui si confronteranno le diverse piattaforme politiche. Lì si creerà il pluralismo. Per adesso non è possibile parlare di correnti”.
Che lei, mi pare di capire, non demonizza.
“Quando matureranno le condizioni, noi avremo certamente delle aggregazioni interne, che io vorrei che fossero anche statutariamente mobili e transitorie. Ma in un grande partito, come avviene ovunque, immagino che poi le varie sensibilità si organizzino in piattaforme, in proposte da mettere a confronto. Il nostro non sarà mai un partito con un padrone, dobbiamo tutti abituarci alla discussione”.
E’ vero che la leadership del Partito democratico avrebbe bisogno, come ha detto D’Alema, di più autorità e di più autorevolezza?
“Messa così, non sono d’accordo. Per me il leader è il vertice di un collettivo, un leader dei leader espressi dal basso. Nelle condizioni attuali, l’autorevolezza non è che te la puoi fabbricare. Oggi abbiamo un leader che ha un’investitura enorme ma non ha con sé un collettivo strutturato. Quindi rischia la solitudine, ma non perché si chiama Veltroni. Si chiamasse Bersani, o D’Alema, sarebbe la stessa cosa”.
Teme il virus del cesarismo?
“Noi non possiamo mutuare dei meccanismi di autorità alla Berlusconi, alla Di Pietro, alla Bossi. Quelli sono partiti che emanano da persone. Noi no. Noi abbiamo chiesto il massimo della partecipazione per la scelta del segretario. Non è che il giorno dopo l’esercizio democratico può trasformarsi in autorità. O in autoritarismo”.
Lei però ha condiviso la proposta di dare al segretario pieni poteri quando c’è da affrontare situazioni di emergenza locali che investano l’immagine del partito.
“Non solo l’ho condivisa ma mi sono battuto per farla passare. Però ho detto anche: attenzione, non c’è solo il problema di cacciare i disonesti, c’è anche il problema di difendere gli onesti. Perché se noi disamoriamo gli onesti, su quelle sedie potranno finirci solo i disonesti”.
Dopo il crollo in Abruzzo, una sconfitta alle europee sarebbe un colpo durissimo per il Pd. E’ davvero concreto il rischio di una disgregazione, di uno scioglimento?
“No. La nostra avventura di oggi è nel solco, almeno ai miei occhi, di 150 anni di storia di civismo, di riformismo, di battaglie democratiche. E questa vicenda ne ha viste tante. Se noi ci rendiamo conto di questo, relativizziamo anche la fase che stiamo attraversando. Non può esistere un futuro di questo Paese senza un grande partito riformista. Questo è sicuro. Io spero che le europee vadano bene. Ma, comunque vadano, non sono assolutamente in grado di provocare la fine del progetto del Pd”.
Dunque una sconfitta non metterebbe a rischio la leadership di Veltroni?
“No, questo no. Io aspetto il nostro primo congresso per avere quel confronto di piattaforme politiche e culturali che aiutano a creare il profilo del partito. Nella situazione in cui saremo, certo”.
Dice Massimo Cacciari: non c’è nessuna alternativa a Veltroni.
“Ma nessuno la sta cercando”.
Però arriverà il momento del congresso, dice lei. E lì è possibile che l’alternativa a Veltroni si chiami Bersani?
“In tutta sincerità, questo problema io non me lo pongo. Vediamo come andrà il confronto sul profilo politico del Pd. Io so di avere delle idee, in proposito. E sono pronto a sostenerle, in un partito che possa condividerle”.
Si sta candidando a fare il segretario?
“Chi conosce la mia mini-biografia sa che io non mi sono mai candidato a niente. Tutto quello che ho fatto è stato perché si pensava che potessi essere utile. Detto questo, non mi sono mai sottratto quando era necessario. C’è chi ama gli sport individuali e chi preferisce gli sport di squadra. A me è sempre piaciuto lo sport di squadra, sennò non mi diverto. Poi in uno sport di squadra uno può giocare in qualsiasi ruolo. Può fare il capitano ma può anche stare in panchina senza piangere”.
E da qui al congresso che succede nel Pd?
“Guardi, io ho una grande, grandissima preoccupazione. La crisi sarà acuta e non sarà breve. Da qui all’estate noi ci troveremo in una situazione assolutamente inedita, sul piano produttivo e su quello sociale. Qualcosa che non abbiamo mai visto, almeno quelli della mia generazione. Noi rischiamo che la fascia più colpita, giovani precari, lavoratori e piccoli imprenditori, vengano abbandonati o alla compassione della destra o a qualche rigurgito rabbioso di tipo populista. Io sento acutamente che c’è bisogno di noi. Per questo dobbiamo rimetterci in piedi ed essere forti. Un partito come il nostro, deve esserci”.
Cosa vuol dire, “esserci”? Non c’è, oggi, il Pd?
“Voglio dire che non basta che Bersani abbia la piattaforma giusta, se poi non abbiamo qualcuno che attacchi un volantino nella bacheca della fabbrica in crisi. Se agli occhi di un giovane precario, che ha perso anche quei 500 euro al mese che aveva, apparisse che a Roma siamo tutti d’accordo e diciamo che tutto va bene, ma dove va questo giovane? Ci vuole qualcuno che gli sia di riferimento e che gli dica: guarda, cerchiamo di combattere perché così non va. La mia preoccupazione più grossa oggi è questa: essere lì, accanto a quel precario che resta disoccupato”.
(21 dicembre 2008)
Bruno, non l’ha ancora confessato a te.
Lo scrivo qui perché di farci una vigna non mi viene.
Ho ascoltato la conferenza stampa di Silvio e su certe cose è spudorato. Non gliene frega un cazzo dei brutti tempi che si prospettano. Le sue preoccupazoni son altre.
Lui sa che se condannano Mills per essersi fatto corrompere è come avessero condannato Lui (di sponda) pur non potendolo processare a causa del lodo alfano.
A questo punto gli sarebbe preclusa l’elezione a presidente della repubblica (non riuscirebbe ad aver numeri con ‘sta pregiudiziale).
Ecco quindi che cala la carta dell’elezione diretta del Presidente. Che lo sa che il popolo vota pure Mengele se sa raccontar le barzellette in tv e sembra un vincente.
Silvio ha un incentivo che manca a qualsiasi altro politico: se torna “civile” è finito. Non parlo di galera, intendo economicamente. Non sa nemmeno cosa sia il libero mercato. Ne verrebbe distrutto.
Non può permettersi di perdere, di mollare. Nessun costo sarà mai troppo alto, nessun compromesso troppo lurido, nessuna magagna sarà mai troppo sporca per lui.
Tutto qui.
E’ motivato abbestia, non lo si schioderà MAI :)
Ecco, questa è una bella osservazione.
Si una osservazione molto intelligente, davvero..ecco se Silvio torna civile, con un capitale stimato di 11,8 miliardi di euro, se la passerebbe davvero male, malissimo, sarebbe davvero distrutto.
Un multimiliardario non ne esce distrutto, è vero.
Però è anche vero che in certi imperi economici (e in
particolare nel caso in questione) si ha una corte
di fedelissimi stipendiati che troppo sanno e che
tacciono finchè hanno il portafoglio gonfio.
Siccome il caro Silvio senza gli “scudi statali” è un
imprenditore mediocre che fa fallire le aziende,
non sarebbe fantascientifico che qualcuno di quelli,
toccato negli affetti (i privilegi), decidesse di
scoperchiare qualche tombino fognario.