La settimana scorsa visita di un vescovo ad una casa di cura per malati di mente. Il personale e la clinica sono tirati a lucido. C’è il sindaco con la banda e la giunta per l’apertura del nuovo padiglione.
Il vescovo arriva con il segretario. Una persona affabile. Il vescovo. Rigido e secco come un manico di scopa, il segretario. Dopo i saluti di rito tra di noi e quelli delle autorità (la solita noiosa minestra di luoghi comuni) si inizia la visita. Il vescovo vuole parlare anche ai ricoverati che per ora sono stati a lato, controllati da alcuni infermieri. Nessuno di loro è pericoloso ma l’ipotesi di trovarsi un matto correre nudo intorno alla gente tra i giornalisti e la benedizione fa assumere ai dirigenti della clinica qualche precauzione extra.
Roberto è uno dei malati della clinica. Se ne sta a fissare il cielo mentre le autorità religiose e non dicono quello che devono dire. La sua attenzione è catturata solo dalla volontaria che gli porta un piatto di plastica con delle paste e un bicchiere di coca cola. Ecco che la sua esistenza trova un significato su cui concentrarsi con tutto se stesso.
Arriva appunto il momento dell’incontro con i malati e il vescovo.
Il segretario si agita per ottenere il silenzio tra quella folla di gente che, è il caso di dirlo, non vuole sentire ragione. Il vescovo parla della volontà di Dio, di come sia necessario saperla accettare anche quando questa significa dolore e sacrificio. Con voce benevola e dolcezza il monsignore racconta alcuni istanti particolari della sua vita che ha trovato difficili da mandare giù. Poi chiede ai ricoverati e ai parenti che sono loro vicini cosa pensano della volontà di Dio.
Roberto ha finito il suo bicchiere di coca cola. E’ a un metro dal vescovo. Alza il braccio destro e mostra il dito medio della mano sventolandolo a rotazione davanti a tutti. E’ la sua sintesi teologica ed antropologica.
Il segretario cerca di abbassare quel braccio così vicino alla faccia di monsignore. Roberto non si fa acciuffare e lancia alcuni bacetti soddisfatti all’impettito sacerdote. Poi aggiunge con la sua voce distorta e un pò balbettante: “Il matto sei tu!” e si allontana dal gruppo cercando altre paste da intercettare.
Tutti a commentare sdegnati la scena, il vescovo (persona di buon cuore e intelligente) a smorzare i toni, il segretario indignato più di tutti. Poi la vita riparte, normale come prima.
Non so se i dottori abbiano poi riempito Roberto di calmanti per “ringraziarlo” dell’intervento. Per la volta in cui ha dimostrato più concretezza e rispetto per Dio di tanti noi laggiù, con il suo scandaloso dito medio alzato davanti alla celebrazione dei luoghi comuni.