L’educazione del popolo

L’analisi della sconfitta, a sinistra, contiene già la prossima.

Affiorano schematismi che paiono insuperabili, e uno è questo: le elezioni si perdono perchè sono truccate o perchè la gente è stupida. Eccone un altro: non v’è mediazione tra il populismo più becero e demagogico (la destra) e la velleità di calare il potere dall’alto (la sinistra) spiegando alla gente che cosa deve essere e volere. A dimostrazione, alcune frasi raccolte negli ultimi giorni.

Massimo D’Alema alla Festa dell’Unità: «Nelle grandi democrazie, rispetto a concentrazioni come quelle di Berlusconi, ci sono gli anticorpi, una borghesia e una classe dirigente che reagiscono».

Nanni Moretti al quotidiano Guardian: «In Italia non esiste più un’opinione pubblica».

Paolo Flores D’Arcais alla presentazione di un faldone di Travaglio: «Anche quando i regimi fascisti salirono al potere, in Europa, l’opinione pubblica non capiì subito quello che stava succedendo».

Luca Sofri sul Wittgenstein: «Una vera buona politica deve educare noialtri e il Paese, mentre quella italiana recente lo ha maleducato incentivando comportamenti e pensieri che una volta erano almeno sanciti come sbagliati. Sul territorio bisogna starci per capire come migliorarlo, non come accontentarlo».

 

Nota: la cosa di Sofri (la versione completa guardatevela sul suo blog) prendeva spunto da questa di Michele Serra su Repubblica:

 

«Il vero problema, mi pare, è che conoscere il male non è più la condizione per combatterlo. In parole semplici, non abbiamo più né il coraggio né la forza di chiederci se le cose, così come sono, potrebbero cambiare, o avrebbero potuto andare diversamente. Stiamo diventando, tutti, meri registratori di una realtà a volte passabile, a volte orrenda, che comunque sovrasta la nostra speranza di mutamento, ed è già tanto se ci concede ancora libertà di giudizio e di critica. La rassegnazione (e la fuga…) sono i sentimenti dominanti di fronte a meccanismi sociali che, per la prima volta da quando siamo al mondo, ci paiono così potenti da essere immodificabili. Traducendo in politica, la frustrazione della sinistra è molto di più di una somma di sconfitte: è il timore che il campionato sia finito».

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