Blog termoautonomo, no perditempo

“Dovessi spiegarti che cos’è il mio blog ti direi che è un luogo, riscaldato d’inverno ed areato d’estate, con un indirizzo e una buca delle lettere, finestre per guardarci dentro se passi nei pressi ed una porta aperta per entrare se ti andrà. L’insieme dei blog che leggiamo e di quelli che ci leggono è un villaggio particolarmente salubre fatto di abitanti che si siano scelti fra loro e non paracadutati lì dal caso”.
Sono queste le parole con cui inizia un articolo di Marino Niola su Repubblica.
Mi chiedo però perché a scrivere certe cose sia sempre gente che la blogosfera non la vive affatto.
Lo sapranno che non basta avere una connessione per  poter dire che “il blog non è solo uno strumento del comunicare, ma è una potente metafora del nostro presente in rapida trasformazione e un simbolo anticipatore del nostro futuro”?
Più che un simbolo anticipatore sembra solo un tentativo simbolico.
Punti di vista.

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16 Commenti

  1. Robinson Crusoe è uno dei più bei romanzi di avventura che sia stato scritto e, pur avendo preso spunto da un accadimento reale, è puro frutto di fantasia.
    Così’ “America” di Kafka e altri che in questo momento non mi vengono in mente.
    Personalmente ritengo che il concetto di “Blogosfera” sia superato o in corso di.
    Per ora mi dedicherei al concetto, seicentesco e sensistico, di “Sfera”.

  2. In questo commentario tutti sono stati corretti e sin troppo pazienti, fino all’ultimo. Pur meno “mal abituata” di Vic, ho condiviso la sua esperienza.
    Ho trovato cortese la precisazione di Mantellini che ha smentito un castelletto di ipotesi su quel concetto di vissuto che, come obiettato da barynia, ancora resta poco chiaro. Sottoscrivo in pieno il commento 5 di ArMyZ.
    Ma soprattutto Broono mi è parso in buona forma. Anche se un paio dei suoi passaggi mi sono parsi contraddittori:

    “E’ una realtà fatta di persone che non sono in politica ma ogni giorno sentono di saper produrre analisi politiche (io in cima, eh), che non sono vescovi ma conoscono la chiesa al punto da analizzarla (io ancora più in cima), che non sono mai saliti su un palco ma canterebbero meglio di ogni personaggio analizzato in duecento post quotidiani che spiegano come si metta la gamba per fare quel salto là o come si pieghi la carta per fare un origami migliore del miglior origami giapponese, ma che la stessa operazione non sono in grado di accettarla quando l’oggetto della critica sono loro stessi.

    In quel caso no, basta, non si fa se non dall’interno, per parlare (capendo) di blog bisogna avere un blog, come se per studiare le rane servisse essere una rana e non semplicemente conoscere l’anatomia le sue regole e le formule necessarie per traslare quele due competenze nel rana-mondo al fine di poterlo studiare.
    O come se per parlare di politica si dovesse essere un politico o come se per parlare di musica si debba poter vantare almeno un festival vinto.”

    Broono, puoi pf elaborare?

  3. @broono: analisi interessante (scusa leggo solo ora). Che condivido e che pero’ mi pare abbia un paio di punti discutibili.

    E’ vero non serve farsi rana per parlare di rane. Nello stesso tempo non e’ semplice analizzare dall’esterno un fenomeno che si basa in gran parte su relazioni individuali emozionalmente forti. Si vedono sul serio da fuori? Per esempio il grande punto di debolezza dell’analisi della blogosfera come ambito informativo (un argomento che un po’ ho seguito in questi anni) si basa proprio sulla frequente incapacita’ di riconoscere il valore delle connessioni individuali. Difficile per esempio parlare di autorevolezza informativa in rete se non si e’ mai sperimentato il concetto di reputazione (e infatti tipicamente anche i giornalisti piu’ acuti ma “senza blog” equivocano alla grande questo punto). Nella blogosfera farsi rana talvolta serve anche solo a capire il contesto.

    Quanto al resto, il resto e’ buzz. Il pezzo di Niola e’ buzz, la critica positiva della blogosfera e’ buzz (compresa la noiosa ripetizione dei non luoghi di Auge che hanno sfinito chiunque tranne che forse il lettore medio della pagina culturale di repubblica) e perfino la pretesa (che pero’ mi pare nessuno abbia) di chiamare blogger a definire i blog lo sarebbe.

    Liberi tutti di parlare di rane con appropriatezza o a caso da qualsiasi pulpito., ma libero anch’io di chiedere alle rane come sono fatte le rane. Lo trovo plausibile. Visto che certe rane comunicano, ed anche piuttosto bene, meglio in ogni caso di quanti per una ragione o per l’altra le vorrebbero vedere fritte. saluti

    p.s (che poi insomma la rana fritta non e’ questo granche’…;)

  4. Appena ho un attimo (sto lavorando) e sempre che tu sia abbastanza veloce.
    La fatwa che mi sono guadagnato oggi mi impedisce di partecipare ulteriormente a questo dibattito e per questo dovrai essere più veloce della grande scure, se vuoi leggere l’elaborazione prima che segua il destino dell’ultima.

    Erano anni che non vedevo cancellare così anti commenti sotto uno stesso post e con una velocità che quasi anticipava persino la pbblicazione degli stessi.

    C’è del talento, le va riconosciuto.

  5. Nel frattempo, visto che Mantellini è nei paraggi adesso e mi spiace non poterne approfittare, cerco di anticipare un po’ l’elaborazione rigirando la domanda:

    “non e’ semplice analizzare dall’esterno un fenomeno che si basa in gran parte su relazioni individuali emozionalmente forti. Si vedono sul serio da fuori?”

    Quelle relazioni individuali che i protagonisti definiscono istintivamente e coralmente “emozionalmente forti”, lo sono davvero?
    O vengono vissute come tali per un istintivo bisogno di (auto)legittimarle?

    Perché non chiedi se si veda la relazione, chiedi se si vede la relazione individuale emozionalmente forte.

    Ecco, secondo me l’articolo analizza (benissimo) le relazioni, visibilissime da fuori, lasciando ai ‘blogger’ l’affanno di darne anche la dimensione poiché se l’esistenza delle stesse è verificabile anche solo avendo una connessione, la loro reale (reale) dimensione e consistenza è verificabile solo quando giunti dall’altra parte del famoso ponte citato nell’articolo, parte nella quale con onestà e correttezza non solo non ha collocato i bloggers. ma non ha messo nemmeno sé stesso.

    Un consulente matrimoniale non ti dirà mai che non ami abbastanza tua moglie, ti dirà soltanto come fare per farla sentire amata abbastanza.

    Poi torno sulla parte analisi politiche, ora mi è finito il render e devo tornare a lavurà.

  6. Non ho letto tutti i commenti, ma in parte.
    Non entro nel dibattito di antropologia culturale anche perché ho avuto la fortuna di studiare con Niola e qualsiasi cosa io dica saprebbe di ex studentessa, di piaggeria, di ostentazione fine a se stessa.
    L’antropologia stessa, peraltro, si caratterizza per avere come proprio oggetto di studi materiale vario e vasto e, come metodo, uno che sta a metà tra le discipline cosiddette “molli” e quelle dure. Il tutto per dire che i contenuti di cui la disciplina tratta, alle volte, se non adeguatamente spiegati, compresi, trasmessi rischiano di diventare fumosi alla stregua degli interrogativi che ci sottopone Barbara D’Urso circa le sue mercanzie (se rifatte o meno).
    Tralasciando questo discorso, ciò che mi muove a scrivere è altro ossia tutto ciò che è affine al concetto di sensibilità (risentimento, suscettibilità, ironia, sarcasmo e come si dice oggi in Italia “quant’altro”- che, ahimé, niente a che fare con Paul Ricoeur).
    Io non so granché di blogosfera, di blogger, di barcamp (fino a poco fa ritenevo fosse la pubblicità di un integratore per sportivi, ma vi risparmio il grottesco qui pro quo), etc.
    E’ il secondo anno che navigo su blog e uno che ne ho aperto uno. Tuttora mi confondo tra BLOB e Blog, ma questo credo che capiti anche ai blogger più esperti ;)
    Mi sono avvicinata a questi contatti virtuali, di vario genere, con la sprovvedutezza della vita reale e ne ho raccolto subito i risultati nel senso che, pur essendo forse l’unica persona che utilizza sempre lo stesso nickname (tranne su “Grazia”, dove mi chiamo Caterina) e ha da poco apposto una microfotografia (risalente ai tempi in cui ero immensamente felice, ma questo è un dettaglio da donna isterica bloggante) vengo spesso confusa per uomo o cose ben più gravi che vi risparmio.
    All’inizio ci stavo male oppure ci stavo bene, quando conobbi, ad esempio, una persona piacevole e particolarmente intelligente che inspiegabilmente e vigliaccamente sparì.
    Poi ho capito: usavamo due filtri diversi, due bilance tarate diversamente. Io avevo quello della vita reale; queste persone, quelle del virtuale che, chissà perché, sono sempre un pò più spietate e codardelle.
    Allo stesso modo la sensibilità e l’ironia risultano completamente manipolate sul web e non è pura questione di anonimato del proprio nome e cognome, ma c’è una massa di “anime senza nome” che si muove senza controllo, che si assiepa nei commenti, che spesso molesta pesantemente utilizzando lo schermo come un elettrodomestico e dimenticando l’interlocutore.
    Allo stesso modo l’interlocutore, blogger o chicchessia, dimentica il proprio contesto che inevitabilmente non può essere quello di quattro amiche al bar a discutere di meches o a litigare per chi si accaparra il saldo più conveniente.
    Molto serenamente credo che ad alcune persone manchi questo e Ninna, come Bruno Ballardini ( i primi due che mi vengono in mente), spesso danno questa impressione. Per cui fioccano commenti circa la loro livorosità, ipersensibilità e via discorrendo.
    Nella vita reale magari utilizzano registri differenti, o più semplicemente, non hanno aspettative di riscontro che nutrono qui al pari di tutti, me compresa, commentatore sporadico compreso.
    Ho imparato con grande sorpresa, umiltà e con notevole ritardo (nel frattempo è arrivato Iphone e io sto ancora a mercanteggiare con mio nipote per farmi caricare un Ipod shuffle comprato in America, probabilmente “appezzottato”) che Internet e i cosiddetti Internauti seguono binari peculiari e diversi e, piaccia o no, come nella vita reale bisogna imparare a conoscerli, conviverci, perlomeno considerarli perchè chiudersi in una torre eburnea desta scherno, delusione, fa pensare a complessi. Che uno poi dice chessenefrega non sempre è vero; se hai un blog o un diario o un pezzo di carta dove scrivi dopo controlli chi ti risponde, che ne pensano, etc. Se non ti importa non tieni a ciò che scrivi o ne fai un mero esercizio di retorica.
    E questo è uno dei motivi per cui si crea una dipendenza da una parte e spesso un’ossessione dall’altra.
    Ora, constatando che ho fatto la fine di Broono ovverossia avrò scritto con buona probabilità mezza pagina, vi saluto con una affermazione, anzi due, ed un interrogativo.

    1) La mia convinzione che chi si apre un blog (tranne quelli di taglio specifico, culturale, politico. etc) sia un nerd o uno che ha attraversato un momento di “nerditudine” nella vita permane fino a che non starò a quattro di bastoni sottoterra.

    2) Uno dei pochi che riesce a elegantemente bilanciare l’insulto appassionato e il salutare nonché siderale distacco è Filippo Facci il che denota che trattasi di una persona che ha lavorato molto su se stesso, sui propri limiti e sui rischi che questi comportano.

    2bis) “2” non è stato affermato in conseguenza del fatto che io possegga edicole con la sua immagine tipo la Chiesa di Maradona in Argentina.

    1 interrogativo) sarà un caso che Gianluca Neri non interviene quasi mai?

    Buonanotte al secchio.

  7. Ci si fa rana anche a 14 anni, Mantellini. Senza per ciò capire il contesto. Non è che facendoti un blogghetto diventi di colpo più consapevole e sei upgradato per direttissima. L’autorevolezza, in rete come anche attraverso altri media, te la costruisci attraverso la qualità di ciò che scrivi. La reputazione non è un concetto declinabile a seconda del medium. Se, a livello informativo, scrivi sciocchezze confutabili da chiunque, non importa se tu lo faccia via fax, a matita o attraverso il più elaborato dei “blogses”. E vale lo stesso anche per il più scalcinato dei tuoi commentatori più anonimi, che presume di poterti confutare solo perché può commentarti democraticamente. La capacità di riconoscere il “valore delle connessioni individuali” prescinde dal medium.
    Tu, in quanto tu, sei onestamente autorevole su ciò che ti compete. Ma se domani posti un pezzo sul Festival di Sanremo o su una sfilata di moda, non hai una corsia preferenziale in quanto tenutario di blog o possessore di password o perché sai la rava e la fava sull’Iphone.
    Lo sei per ciò che dici. Hai voglia poi a cassare commenti, inebriato da quel potere autoriale che nella realtà magari non possiedi. Anche lì, nella gestione del potere di cassazione, trasmetti più o meno qualità.

  8. Virginia: qui non si parlava di autorevolezza ma solo di esperienza.
    Riassumo il mio post citando Massimo: “E’ vero non serve farsi rana per parlare di rane. Nello stesso tempo non e’ semplice analizzare dall’esterno un fenomeno che si basa in gran parte su relazioni individuali emozionalmente forti. Si vedono sul serio da fuori? Per esempio il grande punto di debolezza dell’analisi della blogosfera come ambito informativo (un argomento che un po’ ho seguito in questi anni) si basa proprio sulla frequente incapacita’ di riconoscere il valore delle connessioni individuali. Difficile per esempio parlare di autorevolezza informativa in rete se non si e’ mai sperimentato il concetto di reputazione (e infatti tipicamente anche i giornalisti piu’ acuti ma “senza blog” equivocano alla grande questo punto). Nella blogosfera farsi rana talvolta serve anche solo a capire il contesto. “

  9. La nuova frontiera della scrittura è SCOTTEX, dieci piani di morbidezza.

    *Broono,
    “stordita” è perfetto. Io sono il clone della signorina Carlo (Marchesini docet).
    Una volta, dal dentista, trapano sul settimo inf. dx, sbavino laterale, capelli a “tuppo (chignon)” sul poggiatesta, mano destra a presa di ragno sul ginocchio del dottore, sinistra avvingiata alla colonnina del coso dove si sputa:
    -” Stia tranquilla, signora, ci metterò un attimo”.
    – “Ahhh, ……,ehm, SIGNuooORiiiINAaaahh!”.
    Fui cazza di parlare anche lì, col trapano in bocca ed un’evirazione al malcapitato-causa spavento-in atto.

  10. Ehi, pupa, nononnnnnò.

    io non ho scritto stordita, ma

    ‘fingendosi una simpaticissima finto-stordita’

    c’è in più un ‘simpaticissima’, un ‘finto’ davanti a stordita e soprattutto un ‘fingendosi’ davanti al tutto.

    T’ho fatto un monumento e mi tieni solo il ‘stordita’ come t’avessi detto che?

    Orsù, che tolta la tua sfenata passione (ahimè) per il Facci ti noleggerei per feste di compleanno e giornate spupazzanti.

    Senza dimenticare che parlando del Niola t’ho citata come fossi lui in incognito e poi scopriamo che c’hai studiato e allora vuol dire che dietro l’amore (ahimè) per Facci si intravede ben altro che una stordita accecata dal fascino del sublime.

    Te c’hai ancora più talento di questa della fatwa, lasa stà.
    Macchianera può sopportare la vacanza di un (ahimè) Facci (torna ti prego le colline non stanno in fiore per sempre) meno, molto meno saprebbe sopportare l’assenza delle tue incursioni.

    Non ci fosse Barynia a catalizzare ogni singola cellula del mio amore viscerale, m’ingelosirei ogni volta che chiedi a qualcuno di sposarti, qualcuno che non sono io.

    Ciao.
    Baci.
    Ciao.

  11. Detto questo e finito il doveroso preambolo pompino virtuale, mettiamo i puntini sulle i:

    Carta da culo lo dici a tua sorella.

    je t’aime, comunque come sopra.

  12. Broono,
    hai asciugato ogni mia lacrima di commozione.
    Prima che sopraggiunga quella cerebrale, lasciami dirti:
    vestiti da Facci e corri a spupazzarmi.

    Per il resto,
    il “Sublime” monzese ha gli occhi foderati di prosciutto brianzolo e più che immaginarmi delle omelettes per asportarglielo, al momento non so fare.

    Broono, io ti chiedo QUI, solennemente, di sposarmi prima però passo a spolverare un ciuffo di Facci nell’edicola (al momento ne ho sette) in segno di devozione e rispetto e per chiedergli con gli occhi, a mò di Beato nella Rosa, se è d’accordo che io convoli e se intende farmi da paggetto biondo.

    Il ruolo della damigella scassacazzo lo affidiamo a Rossella (detto senza cattiveria), a Barynia quella della zia austera che corre ad aggiustare il velo quando non ce n’è affatto bisogno, il sacerdote o tizio del comune a Ballardini: sento che ne ha giusta autorevolezza.

    Prima di tutto, però, ho una cosa in sospeso con Piti sedicente sosia del Vibrazionoman. Sai com’è, ho tanta voglia di essere intercettata.

    In quanto alle sorelle, specificami quale perché ne ho 3 e, volendo, anche un fratello.
    Al Sud si tromba da matti, come vedi ;)

    Je t’aime, moi aussi, mon p’tit chou**

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