C’è un popolo che un tempo era fiero e incazzato, e oggi è imbarazzato e afflitto. Un popolo il cui brivido di piacere si chiama crisi di identità, un popolo messo in un angolino da una maggioranza di bovari texani che ha la sensibilità di una bistecchiera e un po’ se ne vanta. Un popolo che si accascia lungo un fiume e rantola flebimente: “Io lo so che non sono solo anche quando sono solo”. Ed è vero! Perché c’è un ambito in cui questo popolo negletto non è solo, ma conta assai: la hit parade. E sarà esagerato dire che a destra non si comprano i dischi (certo, si guarda la tv e si ascoltano radio dallo spessore della carta igienica). Però in top 10 putacaso si aggira quasi solo gente di sinistra. Ecco il botto: Safari di Jovanotti, a quasi 5 mesi dall’uscita si è ripreso il n.1, superando cd appena usciti come il candito duro di Madonna (n.3) e il mondo che vorrebbe – eeeeh! – Vasco Rossi, in trionfante discesa al n.4, a conferma che dopo lo zoccolone duro dei fans che lo ha comprato in massa all’uscita, l’ascoltatore non convertito al blaschesimo giudica il suo disco per la tronfia broda che è.
E al n. 2 irrompe addirittura Pino Daniele, non coi suoi inspiegabili pezzi nuovi, ma con il raccoltone di quando – fiero e incazzato – cantava “Questa Lega è una vergogna…viva viva o’ Senegal”. E in top 10 dietro Amy Winehouse che di destra non pare, si aggirano Daniele Silvestri (n.6), Afterhours (n.7), la pervicace Gianna
Bella, raga. Ora,
In primo luogo, assistiamo al crollo verticale di una generazione di capisaldi di Radio Italia. Il nuovo disco di Ron era entrato in classifica la settimana scorsa al n.32. Beh, perde 10 posizioni. Il nuovo di Luca Barbarossa, inerpicatosi su quelle (basse) quote quando è uscito un mese fa, è al n.88 e presumibilmente sta per salutare.
Enrico Ruggeri dopo tre settimane arranca al n.37 – oh, forse dovrebbe andare un po’ più in televisione, magari presentare anche le estrazioni del lotto, il meteo, la melevisione; oppure dire qualcosa di sé – che so, ad esempio, lo sapevate che tiene all’Inter? Fa un po’ specie che non faccia mai cenno della cosa.
Non naviga niente bene nemmeno Piero Pelù, che dopo 5 settimane è al n. 28. Deh, negli stadi oggi non va più il suo vocione, ma i Negramaro con la loro vocetta falsetta da maschio fragile ancorché pelato. Ma c’è anche il crollo verticale del contingente sanremese, in tutte le sue componenti. Escono dalle prime cento i Finley. Michele Zarrillo. E addirittura Elio e le Storie Tese – così, bang, da un giorno all’altro, a soli tre mesi dall’uscita: dal numero 50 della settimana scorsa al numero niente.
Invece, menzione d’obbligo per uno che da 100 (cento) settimane è in classifica, oggi al n.59: Tiziano Ferro, bravo ragazzo ammodo che se lo merita (…lo penso davvero). D’obbligo anche menzionare Matteo Branciamore, che sale dal n.62 al n.34 e non se lo merita affatto: il disco dell’attore dei Cesaroni è così insulso e sgangherato che oscura il Checco Zalone di Siamo una squadra fortissimi. Poi vediamo, chi sono obbligato a menzionare – ah, sì! Che è entrato in classifica piuttosto altino, al n.14, anche Mick Hucknall, col suo disco bruttone di cover di Bobby Blue Bland, simpliredizzato a morte. E infine, mi unisco all’omaggio macchianeristico a Douglas Adams segnalando il n.42. E’ una new entry: con I tuoi amici in tv 21, Cristina D’Avena, grande maledetta del rock’n’roll. E’ un anno che dico al direttore di Rolling Stone che bisogna farle un’intervista seria e cruenta. Lui risponde “gnè gnè”. Mondo bastardo, sono un incompreso – come d’altro canto Cristina. Bah, fuck the system – Sailor Moon lives.
Al di là di tutto credo comunque che per la rilevanza che da anni riveste nelle colonne sonore dei cartoni animati con più di 600 sigle in 140 album, 6 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, 17 anni di carriera(cfr: Wikipedia, numeri da star) un’intervista su Rolling Stone se la meriti. In fondo sancirebbe il riconoscimento di una carriera d’artista.
In un business musicale nostrano dove il più rocker è in realtà un morigerato (buon) padre di famiglia, il cinico falso buonismo di Cristina D’Avena è una ventata di aria fresca che lèvati.
Altro che finti-rapper-dall’adolescenza-difficile, Cristina che canta Heidi è la vera ala antagonista.
ho visto cristina d’avena l’anno scorso al roxybar, accompagnata dai gemboy :D
e’ stato uno dei rari momenti in cui ho provato un sincero e piacevole senso di appartenenza generazionale ;)
Almeno da qualche parte la sinistra vince ;)