Io vorrei essere prete anche solo per la Settimana Santa.
La devozione popolare certo non è per i gusti raffinati. Ma è la bellezza della nostra gente, che è semplice, fragile, che alla fine spera anche nelle superstizioni per non chiudersi del tutto al pessimismo che la rende tollerabile a chiunque guarda con il cuore e non solo con la ragione.
Forse quella gente lo fa inconsciamente, ma spera.
Poi c’è il confessionale.
Otto ore sono tante chiuso in un metro quadrato di legno. Certe volte ne esci distrutto.
Ma come sei vivo mentre gli altri ti consegnano la loro vita. I loro drammi. Le loro gioie.
Oggi ho pianto con un padre di famiglia. La grata nascondeva il mio viso, non ha visto che piangevo con lui.
Oggi ho riso con vecchietto che mi raccontava di aver fatto un casino in tangenziale non sapendo guidare. La grata nascondeva il mio viso, ma ridevo con lui, non certo di lui.
E’ la vita è quella storia così incredibile e complessa, così diversa eppure poi sempre uguale con le sue migliaia di varianti che la rendono unica, la storia di ognuno di noi.
Curioso che la luce dell’anima emerga in tutta la sua meraviglia attraverso il buio di un confessionale austero.
E infine la liturgia. Quella solenne di noi preti con il nostro Vescovo, quella semplice e familiare della lavanda dei piedi il Giovedì Santo. Quella del Venerdì, popolare nella via crucis, drammatica come solo la Passione sa esserlo e che tanti artisti hanno cercato, con le note della musica, di raccontare. Io ho capito la musica classica solo dopo che Bach mi ha raccontato San Matteo.
E quindi la Veglia nella notte. Il fuoco acceso fuori, la chiesa immersa nel buio illuminata poco alla volta da tutte le candele accese da quell’unica fiamma portata dal prete.
E la luce un pò alla volta ritorna. Come accade nella vita dopo i momenti di sofferenza e morte. Di dolore e disperazione. La luce ritorna sempre.
Sono felice di essere prete. Ma in questi sette giorni ancora di più.
Auguri
Seven
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