Il testamento biologico lo conosciamo: è una carta in cui mettere per iscritto i trattamenti sanitari ai quali vorremmo essere sottoposti (o non vorremmo) nel giorno in cui non fossimo più in grado di deciderli da soli. In Italia non esiste ancora, ma credo che passerò dal notaio per sottoporgli almeno un testamento mediatico.
L’idea è quella di una carta dove si possano pre-vincolare i propri comportamenti, le dichiarazioni, le interviste televisive proprie o dei propri familiari: il tutto nella disgraziata ipotesi che dovessimo ritrovarci al centro di un episodio di cronaca nera, di quelli che fanno impazzire i mass media ma per esempio fanno orrore a me. Nessuno può sapere in che stato psichico sarebbe ridotto dopo una tragedia che lo toccasse da vicino, e neppure io, dunque, posso conoscere quanto rimarrebbe della mia capacità di sottrarmi al mostro mediatico ansioso di sapere «che cosa provo».
Posso solo conoscere, e stra-conosco, quanto può essere famelica la mia categoria quando il lavoro che gli è stato ordinato è strappare interviste, fotografie, conversazioni citofoniche, confessioni intimistiche, reperti, lacrime. Cedere è un attimo, il compatimento mediatico è pronto a sezionarti, esporti, asciugarti la lacrimuccia salvo poi risputarti fuori.
Piuttosto la morte.
Per un testamento mediatico
(Visited 36 times, 1 visits today)
Non è una novità, se vai a spulciare i vecchi casi di nera dagli anni 40 in poi. Il caso Cianciulli, il caso Bellentani, il caso Pasolini persino il delitto sull’isola di Cavallo… L’attenzione verso la nera non è mai cambiata, ti sembra più forte solo perché i mezzi d’informazione sono cresciuti di numero. il problema è che non ci sono cronisti di nera e giudiziaria alla Besozzi.
E forse il testamento mediatico è l’unica soluzione, alla faccia delle varie “carte” e codici deontologici che l’Ordine, sommo Ordine, non applica mai.
“Posso solo conoscere, e stra-conosco, quanto può essere famelica la mia categoria quando il lavoro che gli è stato ordinato è strappare interviste, fotografie, conversazioni citofoniche, confessioni intimistiche, reperti, lacrime.”
A me fanno paura. Ma la cosa piu` bella e` quando non riescono a strappare niente a nessuno e si sparano “il pezzo sul silenzio”. Quello e` il top. Credo andrebbe fatto un libro sui “pezzi sul silenzio”.
Anche la grammatica ha fatto testamento oggi. Tra Un e Attimo si è apostrofata l’estrema unzione…
Nonostante questo vi leggo sempre volentieri… Saluti e baci
Avete mai vissuto in una qualunque cittadina di provincia? è circo mediatico ininterrotto.
Tutti pensano di conoscere tutti, tutti si sentono autorizzati a interpretare minimi gesti e insignificanti smorfie per ricostruire comportamenti, ricchezze, perversioni… di perfetti sconosciuti.
La tv non fa altro che amplificare tutto questo: non è villaggio globale, è profonda provincia.
Con l’aggravante di ridicoli campioni assoluti di provincialismo, che pensano di essere raffinati maitre-a-penser: Vespa, la Palombelli, la Boralevi, Mentana, Crepet, il criminologo Bruno (quello che per l’omicidio di Tommy individuò con certezza l’opera di una setta satanica, e ancora qualcuno lo sta a intervistare)…
Io Facci lo conoscevo, era un ragazzo tranquillo, bravo a scuola, educato. Si faceva ben volere da tutti. Sportivo, spiritoso, il massimo per lui era una serata in pizzeria insieme a noi amici di sempre e alla fidanzatina con la quale un domani si sarebbe sposato. Con lui non ci sono state mai tensioni, mai uno screzio.
Quando l’ho saputo mi sono detto “non è possibile, non è vero!”. Non meritava proprio una fine così orribile!
Io in vita mi vincolerei a non strafottermene una cippa di quello che succede dopo che ho salutato tutti. Dovunque dovessi ritrovarmi. Se mai manderei un e mail. Dopo. Con calma.
sull’argomento risultò magnifico Pennac In Signor Malussene.Vivere il proprio processo è come passare le vacanze in un buco nero
si potrebbe citare anche Achille Campanile con il “Povero Piero” storia di tutte le ipocrisie e le falsità del dopo-morte. Solo che il caro estinto Piero in quel caso sbuca nel finale per dire che aveva fatto finta di morire per veere l’effetto (e i commenti) che si fanno. Dal che si evinceva già decenni fa di quanto fosse marcia ogni manifestazione di TUTTE le categorie umane e profesionali nel dopo-morte, non solo TRA i giornalisti, che per carità..
I QUALI TRA L’ALTRO se non fossero comandati da interessi di cassetta e da direttori e caporedattori col pelo sullo stomaco le cose migliorerebbero.Io posso anche essere un coglione di giornalista e registrare per caso con la telecamera l’arrivo del padre della ragazza massacrata a Torino che disperato urla e piange, come ieri ha fatto il TG5(vedi lepisodio di Sara a Torino) ma poi in redazione il buon direttore Mimun anziché prendere a pedate e sospendere il giornalista, mette il servizio in bella evidenza e all’ora di pranzo? lo fa per il pubblico. cioè noi. Noi umani, giornalisti e no, che ai testamenti e ai suoi scannamenti a cadavere ancora caldo siamo interessatissimi (vedi Pavarotti) e dunque si riparte col circo(lo) vizioso.
Per questo facciamo pure il testamento mediatico, ma poi anche di quello faremo strame.
E’ sempre difficile capire se una guerra viene persa per i generali incapaci o per la codardia dei soldati.
ottima idea!
ma per l’iscrizione all’albo non è previsto un giuramento?