C’è un leprotto. Sparagli

Anch’io parlo di bestie.
Forse non merita la prima pagina che io abbia deciso di castrare il gatto, ma è per chiarire che la mia anima animalista può sfiorare il patetismo.
Peraltro domenica pomeriggio, in autostrada verso il Garda, per non investire una lepre stavo per ribaltarmi.

Tutto per aprire i giornali e scoprire che secondo la Coldiretti le lepri sono troppe e minacciano le coltivazioni e la viabilità, al punto che che all’aeroporto di Linate hanno organizzato battute per catturarne.

La Coldiretti domenica denunciava anche un rischio desertificazione per un terzo del Paese, e suggeriva d’intensificare l’agricoltura: eppure era dicembre scorso quando il professor Mauro Agnoletti, ricercatore che a Bruxelles ha presentato un piano strategico sullo sviluppo del paesaggio, spiegava che nell’Italia d’inizio Novecento la superficie dei boschi era di circa 3 milioni e mezzo di ettari, mentre oggi è di 10 milioni.
Ma come, e la desertificazione e la deforestazione?
I numeri sono quelli. Il professore, su Repubblica del 16 dicembre scorso, ha spiegato che il rimboschimento indiscriminato ha eliminato paesaggi e colline e colture, tanto che il rapporto uomo-ambiente ne è stato deformato: delle 600 tipologie paesaggistiche che l’Italia aveva alla fine dell’Ottocento ne sono rimaste 18. Più che dal clima e dal cemento, il pericolo è venuto dai boschi triplicati e da certa agricoltura. Chissà che ne pensa la Coldiretti.

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Illustre dottor Filippo Facci,

la metafora della lepre val bene a spiegare il legame tra qualità delle risorse naturali, produzioni agricole e processi di sviluppo territoriale.

Purtroppo, le minacce alla biodiversità e alla struttura del paesaggio – come Lei ha evidenziato – discendono dai processi di abbandono e marginalizzazione delle aree produttive che hanno favorito lo sviluppo di terreni incolti e boschi non curati.

Il risultato noto è la riduzione della superficie territoriale occupata dall’agricoltura quasi del 20% nel corso dell’ultimo cinquantennio. Ed è ancora vero che il patrimonio boschivo sia aumentato nello stesso periodo di un milione di ettari grazie alla ricolonizzazione naturale di terreni agricoli abbandonati con il conseguente moltiplicarsi dei rischi idrogeologici.

Ma, ci stavamo forse dimenticando della lepre? Ne parliamo invece e, a ragione, perché la diffusione della sua presenza sul territorio – insieme a quella di volpi, cinghiali, caprioli, daini, cervi o lupi – è legata proprio a un rallentamento notevole del processo di intensificazione in agricoltura e all’utilizzo di tecniche di coltivazione che possono generare effetti ambientali positivi. Anche grazie alla nuova Politica Agricola Comune crescono gli elementi di naturalità nelle campagne: quali filari, siepi, boschi, boschetti e fossi e dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria sappiamo di poter disporre di una ricca biodiversità consistente per ettaro in 28 metri di fossi e capezzagne e di 8 metri di filari di alberi e siepi.

Ecco che la lepre può diventare elemento di marketing territoriale, lontana dal congestionamento del traffico e del rischio smog, quale testimonial di immagini di luoghi naturali e di verde.

La sfida recente delle imprese agricole è proprio quella di presentare negli scambi commerciali non solo prodotti di eccellenza, ma soprattutto l’identità dei territori di cui sono espressione. Ed è proprio il territorio, riconducibile a forme di paesaggio e a testimonianze artistiche e naturali, a dare personalità ai prodotti agroalimentari, aggiungendo un’irresistibile seduzione alla loro immagine commerciale. Di qui la proposta della Coldiretti di un progetto di esportazione del territorio per rafforzare le capacità produttive e distributive della filiera di prodotti che sarebbero altrimenti slegati da una posizione geografica, ovvero caratterizzati da un non luogo di origine.

Non esiste più, dunque, alcuna incompatibilità tra funzione produttiva e interesse ambientale e questo è dovuto anche alle opportunità offerte dalla nuova domanda di servizi da parte della società, in vista della valorizzazione estetico-culturale del territorio attraverso lo sviluppo di sistemi di produzione diretti alla protezione della natura.

Stefano Masini
Responsabile Ambiente e Territorio Coldiretti

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3 Commenti

  1. 10 milioni di ettari sono 100.000 Kmq, cioè un terzo della superficie dell’Italia. Il numero non mi torna.
    In effetti l’Istat (pagina 336, quarta del capitolo che ho linkato) afferma Nel 2004, il patrimonio boschivo risulta di 6.857.069 ettari (642 ettari in
    più rispetto al 2003) che sono il 30% in meno.
    Così, per la cronaca.

  2. solo io non ho capito un beato cazzo della risposta Coldiretti? a cominciare dalla “metafora della lepre”? ma quale metafora?

    quanto all’articolo: mi pare si mettano insieme più argomenti.
    In primis, lo studio di Agnoletti sul paesaggio è relativo alla Toscana.
    Poi: forse si confondono “rimboschimento programmato” e “ritorno allo stato boschivo = incolto” dovuto p.e. all’abbandono di molte aree montane che nel primo Novecento erano invece abitate e coltivate.
    Le lepri sono troppe? dalle mie parti, anche i camosci e i caprioli. In passato sono stati abbattuti indiscriminatamente i loro predatori naturali, conseguenza: nessuna selezione naturale, indebolimento della specie, sovrannumero … danni alle colture.
    E’ la natura, bellezza: se àlteri da una parte, devi aspettarti conseguenze.

    AH.
    giusto un anno fa il problema erano i caprioli, campagna “salvate i bambi”
    http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200608articoli/8618girata.asp

    E ciclicamente Linate/Fiumicino hanno problemi con gabbiani e rondini
    http://www.corriere.it/vivimilano/cronache/articoli/2007/06_Giugno/18/linate_caccia_lepri.shtml

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