“Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la mia prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento. Ho strangolato parecchie persone. Ho sciolto i cadaveri nell’acido muriatico. E, prima di farlo, molti li ho carbonizzati su graticole costruite apposta”.
Parole di Giovanni Brusca, il mafioso che esattamente 15 anni fa, il 23 maggio 1992, fece saltare in aria Giovanni Falcone e tutta la sua scorta. Brusca ha messo queste cose messe a verbale e nel 1999 le ha pure raccontate al collega Saverio Lodato.
“Non ho mai avuto modo di conoscere il dottor Falcone. Il mio risentimento nei suoi confronti era identico a quello di tutti gli affiliati a Cosa Nostra: era il primo magistrato, dopo Rocco Chinnici, che era riuscito a metterci seriamente in difficoltà, quella che aveva inaugurato la pagina del pentitismo, che aveva istruito, anche se non da solo, il primo «maxi processo» contro di noi. Era riuscito a entrare dentro Cosa Nostra, sia perché ne capiva le logiche, sia perché aveva trovato le chiavi giuste. Lo odiavamo, lo abbiamo sempre odiato”.
Non erano i soli.
Sin da quando giunse a Palermo nel 1978, chiamato dal consigliere istruttore Rocco Chinnici, Falcone fece poco per rendersi simpatico. A Palermo era stato appena assassinato il giudice Cesare Terranova, e “mafia” era una parola che si pronunciava ancora malvolentieri. Ma poi, dopo l’uccisione del segretario regionale della Dc Michele Reina e del capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, dal 1982 al 1988, ricomincerà la mattanza: uno cadranno il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emmanuele Basile, il procuratore di Palermo Gaetano Costa; il segretario generale del Pci Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie; il capitano Mario D’Aleo, il capo dell’ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici; il commissario Beppe Montana, il dirigente della squadra investigativa di Palermo Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia, l’ex sindaco Dc di Palermo Giuseppe Insalaco e il giudice Antonino Saetta. E con loro gli uomini delle scorte e gli ignari passanti che si trovano per caso nei luoghi degli attentati.
“Prendemmo la decisione iniziale di uccidere Falcone, per la prima volta, alla fine del 1982” racconta Brusca. “Non tramontò mai il progetto di uccidere Falcone, di eliminare lui e tutti i nostri avversari: quelli che ci avevano tradito, quelli che erano stati amici e ci erano diventati nemici, e mi riferisco agli uomini politici che spesso si trinceravano dietro lo scudo dell’antimafia per rifarsi una verginità. Per esempio quelli che ormai realizzavano tutto ciò che chiedeva Falcone: le sue leggi, i suoi provvedimenti, le sue misure restrittive. Giulio Andreotti per ripulire la sua immagine ci provocò danni immensi: Salvo Lima e Ignazio Salvo sono stati uccisi per questo”.
Falcone non era simpatico neppure ai vicini di casa. Alcuni condòmini del giudice, in via Notarbartolo, stesso stabile dove ora c’è “l’albero Falcone”, scrissero al Giornale di Sicilia nel timore che un attentato potesse tirarli in mezzo. Dopo l’apertura del maxiprocesso nell’aula bunker, nel febbraio 1986, Ombretta Fumagalli Carulli, purtroppo sul Giornale, giunse a scrivere così: “Il vero nodo del contrasto sta in un fenomeno allarmante che solo ora, dopo le notizie intorno alle coperture date da Falcone al costruttore Costanzo, comincia a essere percepito”.
Quando Falcone andrà a deporre al Csm per giustificarsi circa questa faccenda del costruttore Costanzo, racconterà retroscena inquietanti: infatti, mentre uno dei fratelli Costanzo, primo gruppo di costruttori in Sicilia, gli stava raccontando il sistema delle tangenti nell’isola, il consigliere istruttore Meli lo fece arrestare con un mandato di cattura per mafia basato sulle dichiarazioni di Antonino Calderone. I Constanzo non erano organici alla mafia, sostenne Falcone: ne conoscevano certo uomini e meccanismi, ma il loro contributo era ben più imporatante sul versante delle tangenti. E invece fu fermato. La storia di Tangentopoli, forse, poteva essere scritta da un’altra procura molti anni prima delle confessioni di Mario Chiesa.
Così, quando il 16 dicembre 1987 la Corte d’assise di Palermo comminò 19 ergastoli, le polemiche non calarono: tutti si attendevano che il nuovo consigliere istruttore di Palermo dovesse essere lui, Falcone: ma il Csm, il 19 gennaio, 1988, scelse Antonino Meli seguendo il criterio dell’anzianità. Chi temeva che l’arrivo di Meli avrebbe rappresentato un motivo di divisione si rivelerà facile profeta: sette mesi, in due interviste, una a L’Unità e un’altra a La Repubblica, Paolo Borsellino denuncerà la distruzzone del pool antimafia e del suo metodo di lavoro. A futura memoria, ecco chi nel Csm votò per Meli:
A favore i consiglieri: Agnoli, Borrè, Buonajunto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo della Rocca,Paciotti, Suraci e Tatozzi.
Contro i consiglieri: Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Aambrosio, Gomez d’Ayala, Racheli, Smuraglia e Ziccone.
Si astengono i consiglieri: Lombardi, Mirabelli, Papa, Pennacchini e Sgroi.
Il consiglio approva con 14 voti favorevoli, 10 contrari e 5 astensioni.
Falcone decise di lasciare Palermo per molte ragioni:
“Quello che paventavo è purtroppo avvenuto: le istruttorie nei processi di mafia si sono inceppate e quel delicatissimo congegno che è costituito dal gruppo cosiddetto antimafia dell’ufficio istruzione di Palermo, per cause che in questa sede non intendo analizzare, è ormai in stato di stallo. Paolo Borsellino, della cui amicizia mi onoro, ha dimonstrato ancora una volta il suo senso dello Stato e il suo coraggio denunciando pubblicamente omissioni e inerzie nella repressione del fenomeno mafioso che sono sotto gli occhi di tutti.
E allora, dopo lunga riflessione, mi sono reso conto che l’unica via praticabile a tal fine è quella di cambiare immediatamente ufficio. E questa scelta, a mio avviso, è resa ancora più opportuna dal fatto che i miei convincimenti sui criteri di gestione delle istruttorie divergono radicalmente da quelle del consigliere istruttore divenuto titolare, per sua precisa scelta, di tutte le istruttorie in tema di mafia”.
(Lettera di Giovanni Falcone al Csm. Palermo, 30 luglio 1988)
“Dal gennaio al novembre del 1985, tanto per fare un esempio, non credo di essere uacito se non per 4-5 ore al giorno, e per giorno intendo le 24 ore, dalla mia stanza senza finestre nel bunker. O meglio ne uscii, perché dopo l’omicidio del commissario Cassarà fummo chiamati, io e Falcone, dal questore di Palermo dell’epoca, il quale ci disse che lo stesso giorno dovevamo esseri segregati in un’isola deserta assieme alle nostre famiglie, perché se questa ordinanza non la facevamo noi, se ci avvesero ammazzati, non la faceva nessuno perché nessuno era in grado di metterci mano. Siccome io protestai, dicendo che questa decisione non doveva essere attuata immediatamente, perché Falcone è senza figli, ma io avevo famiglia e dovevo regolarmi le mie faccende, mi fu risposto in malo modo che i miei doveri erano verso lo Stato e non verso la mia famiglia. Sta di fatto che riuscii a otenere 24 ore di proroga, ma dopo 24 ore scaricarono me, Falcone e rispettive famiglie in quest’isola. Tra parentesi – io non amo dirlo, ma lo devo dire – tutta questa vicenda ha provocato una grave malattia a mia famiglia, l’anoressia psicogena, e mi scese sotto i 30 chili. Siamo stati buttati all’Asinara a lavorare per un mese e alla fine ci hanno presentato il conto, ho ancora la ricevuta”.
(Paolo Borsellino, Csm, 31 luglio 1988, Comitato antimafia, Prima commissione referente)
E a Falcone del resto cominciarono a voltare le spalle in tanti.
Leoluca Orlando, tuonando contro gli andreottiani, era diventato sindaco e aveva inaugurato una cosiddetta “primavera di Palermo” che auspicava un certo gioco di sponda tra procura e istituzioni, anzi “una sinergia” come aveva detto Falcone stesso. Durerà fino all’estate del 1989, quando il pentito Giuseppe Pellegriti accusò il democristiano Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani, ma Falcone fiutò subito la calunnia: Orlando si convinse che il giudice volesse proteggere Andreotti. Fu durante una puntata di Samarcanda che Orlando scagliò l’accusa: Falcone ha una serie di documenti sui delitti eccellenti, disse, ma li tiene chiusi nei cassetti. Accusa che verrà ripetuta a ritornello da molti uomini del movimento di Orlando: Carmine Mancuso, Nando Dalla Chiesa e Alfredo Galasso.
E’ di quel periodo, peraltro, un primo e sottovalutato attentato a Falcone: il comunista Gerardo Chiaromonte, defunto presidente della Commissione Antimafia, circa la bomba ritrovata nella casa al mare di Falcone, all’Addaura, scriverà così: “I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità”. E la voce circolò.
Leoluca Orlando: “Vogliamo capirlo che esistono milioni di siciliani che vorrebbero finalmente vedere colpito il mandante dell’omicidio Mattarella, finalmente vedere colpito il mandante di La Torre, finalmente vedere colpiti i mandanti di Insalaco e di Bonsignore? (…)E’ troppo chiedere alla magistratura, alle forze dell’ordine, finalmente di fare chiarezza? Di chiudere, se devono chiudere, questi procedimenti?”
Santoro: “Lei lo dice come se fosse possibile, come se questa verità fosse a portata di mano, invece è verità lontana”.
Orlando: “Io sono convinto, e mi assumo tutte le responsabilità, che dentro i cassetti del palazzo di giustizia ce n’è abbastanza per fare giustizia su questi delitti”.
Santoro: “E allora perché non lo fanno?”
Orlando: “Lo chieda, lo chieda ai responsabili”.
(Dalla trasmissione di Raitre Samarcanda del 24 maggio 1990)
Così, quando Falcone accettò l’invito del ministro della Giustizia Claudio Martelli a dirigere gli Affari penali, la gragnuola delle accuse non potè che aumentare. L’abiettivo di Falcone era creare strumenti come la procura nazionale antimafia, ma in sostanza fu accusato di tradimento.
Si scagliò contro di lui Lino Iannuzzi sul Giornale di Napoli: “Dovremo guardarci da due «Cosa Nostra», quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma”. Così Sandro Viola su Repubblica: “Non si capisce come mai Falcone non abbandoni la magistratura… s’avverte l’eruzione d’una vanità, d’una spinta a descriversi, a celebrarsi, come se ne colgono nelle interviste dei guitti televisivi”.
L’Unità, due mesi prima che Falcone saltasse in aria, fece scrivere un corsivo al membro pidiessino del Csm Alessandro Pizzorusso: “Falcone superprocuratore? Non può farlo, vi dico perché”:
“La collaborazione tra il magistrato e il ministro si è fatta così stretta che non si sa bene se sia il magistrato che offre la sua penna al ministro o se sia il ministro che offre la sua copertura politica al magistrato. La prima deduzione è che fra i magistrati è diffusa l’opinione secondo cui falcone è troppo legato al ministro per poter svolgere con la dovuta independenza un ruolo come quello di procuratore nazionale antimafia; la seconda deduzione è che tale opinione sarebbe accentuata, e quasi verificata se, in sede di concerto, il ministro si pronunciasse a favore di Falcone e contro tutti gli altri”.
(Da l’Unità, 12 marzo 1992)
“Inaffidabile e Martelli – dipendente. Così si possono riassumere in sostanza le imputazioni del Csm a Giovanni Falcone. Sono i capi d’accusa che gli hanno fatto preferire Agostino Cordova per l’incarico di superprocuratore antimafia. Secondo la commissione, insomma, la fama di magistrato antimafia, che ha accompagnato Falcone fino alla direzione generale degli Affari penali al ministero, è semplicemente usurpata. E contro l’attuale direttore generale del ministero avrebbe vuotato il sacco anche Antonino Meli, l’ex capo dell’ufficio istruzione di Palermo, quando è stato ascoltato qualche mese fa dalla prima commissione del Csm dopo l’esporto dei vertici del movimento della Rete di Leoluca Orlando, che lamentavano presunte irregolarità a Palermo nella conduzione delle inchieste sui delitti eccellenti di mafia”.
(Da Il Resto del carlino, 12 marzo 1992, “Falcone, una fama usurpata” di Lucio Tamburini)
Così, alla sua nomina, la commissione incarichi direttivi del Csm preferì quella di Agostino Cordova, procuratore a Palmi. Giovanni Viglietta, di Magistratura democratica, spiegò le ragioni della contrarietà sua e della sinistra alla la nomina di Falcone.
Ma Cosa Nostra aveva già deciso di saldare il conto: la Cassazione, infatti, il 30 gennaio, aveva confermato gli ergastoli del maxiprocesso.
Mentre Roma discuteva su come impedire la nomina di Falcone, Giovanni Brusca stava facendo dei sopralluoghi sull’autostrada Palermo-Punta Raisi.
“Nel periodo precedente all’attentato”, ha raccontato Brusca, “si doveva fare il nuovo presidente della Repubblica e si parlava di Andreotti come uno dei candidati più forti. Noi volevamo che l’attentato avvenise prima della nomina, in modo che il senatore non venisse eletto.Tanto che Riina disse: «Glielo faccio fare io il presidente della Repubblica…». Noi pensavamo:«A cu fannu, fannu, a noi non ci interessa. Basta che non è Andreotti». E così accade. Anche un bambino capisce che in quel periodo, con le voci che giravano su Andreotti, con la strage di Falcone, lui era spacciato. Completamente tagliato fuori”.
Poi, a macerie fumanti, il tentativo di sfruttare la morte di Falcone per portare acqua all’inchiesta Mani pulite resterà uno degli episodi più disgustosi della storia del giornalismo italiano.
Piero Colaprico, su Repubblica, definì Antonio Di Pietro “il Falcone del Nord”, e inventò che “si è saputo solo ieri che Falcone seguiva da vicino l’inchiesta sulle tangenti, ma adesso una tonnellata di tritolo ha spezzato per sempre il suo contributo all’indagine milanese”.
L’Unità scrisse: “A Milano i magistrati hanno considerato la strage anche un avvertimento per quanti vogliono smascherare i signori di Tangentopoli”. Solo Ilda Boccassini, e gliene si faccia onore, ebbe la forza di urlare nella aula magna del Tribunale di Milano, rivolta ai colleghi di Magistratura democratica: ” “Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali”.
Due giorni dopo la strage di Capaci, su l’Unità, anche Piero Sansonetti ebbe un sussulto di dignità: “Questo giornale, negli ultimi mesi, e più di una volta, ha criticato Giovanni Falcone per la sua nuova amicizia con i socialisti e per la sua scelta di lasciare Palermo. E ha osteggiato la sua candidatura alla direzione della superprocura. In queste ore terribili una cosa l’abbiamo capita tutti, credo: Giovanni Falcone era un uomo libero. Abbiamo invece fatto prevalere il dubbio politico: forse non è uno dei nostri. Forse è politicamente ambiguo. Forse è il cavallo di Troia. E così abbiamo giudicato la sua scelta tattica una sorta di abbandono. Siamo stati faziosi”.
E’ la sola autocritica, in quindici anni, messa nero su bianco da sinistra.
Per la strage di Capaci hanno fatto almeno undici inchieste, e i processi che hanno inchiodato i capi di Cosa Nostra, i corleonesi, sono almeno sei. Giovanni Brusca, nel libro “Ho ucciso Giovanni Falcone”, come in parte visto, ha rivelato i dettagli di un assassinio che la mafia progettava sin dal 1982.
Caltanissetta, poi, ha inquisito Berlusconi e Dell’Utri quali “mandanti esterni” della strage: archiviata.
La stessa procura, con la stessa accusa, ha inquisito altre cinque persone legate agli appalti siciliani: archiviata.
Caltanissetta, pure, ha inquisito imprenditori e politici che secondo un pentito avevano trescato coi boss prima della strage: archiviata.
La Procura di Firenze, a sua volta, aveva indagato su Berlusconi e Dell’Utri sempre come mandanti esterni: archiviata.
Stavamo per dimenticare “sistemi criminali”, inchiesta palermitana che ipotizzava legami tra mafia, logge segrete, destra eversiva e Lega Nord: archiviata.
Ma non serve. Repubblica nei giorni scorsi ha fatto l’ennesima paginata sui “mandanti” e cioè sul niente, tirando in ballo quella povera donna che è la sorella di Falcone. Ma sono parecchi i giornalisti che ancora favoleggiano sui “mandanti”, con ciò ignorando dove la pazienza e il buon senso comune, da un pezzo, ha mandato loro.
Hanno denigrato Falcone da vivo, lo hanno sfruttato da morto, ora continuano. Sono tra le persone più schifose che conosco.
Buongiorno Filì,
volevo farti presente che se, come tu scrivi e credo che siano le tue parole visto che non c’è il virgolettato, Caselli ha votato contro Falcone durante quella infausta seduta del CSM allora, utilizzando le sole dita della mano, verebbe facile da verificare che Caselli avrebbe fatto parte dei dieci (10) che avrebbero votato contro Falcone; ma soprattutto che quelli a votargli a favore sarebbero stati quattordici (14). Hai subito qualche incidente alle mani di recente?
Ecco le dichiarazioni di Caselli rese in quella seduta:
Giancarlo Caselli:
La soluzione del caso in esame, quando sia riferita alla specificità del caso concreto, ha un percorso obbligato: deve puntare su un uomo del pool antimafia, deve puntare sulla struttura che a questo pool fa capo. Il pool di magistrati dell’ufficio istruzione di Palermo ha saputo attrezzarsi (prima di tutto culturalmente) realizzando così una struttura nuova affiatata, che ha diffuso professionalità. Non bisogna infatti dimenticare che si è trattato di una struttura aperta, nel senso che ha formato professionalmente magistrati che, prima di entrare a far parte del pool, di questi problemi non si erano mai occupati e che viceversa, grazie al pool, hanno conseguito livelli di capacità decisamente di grande rilievo. Alla fine, operando in questo modo, il pool di giudici istruttori del tribunale di Palermo ha ottenuto risultati di grande rilievo, basati sulla individuazione dei caratteri della nuova mafia. I primi risultati, dopo anni, decenni e decenni di sostanziale impunità.
In alcuni interventi si è parlato di premio, in particolare di premio al protagonismo, come di un criterio da non seguire, e la storia del protagonismo e un po’ come la storia di quando le donne portavano il velo. A quel tempo le donne erano tutte belle, ma quando il velo cadde si cominciarono a constatare delle differenze. Un po’ la stessa cosa è successa per la magistratura. Quando i giudici non davano «fastidio», quando non erano scomodi, erano tutti bravi e belli. Ma quando hanno cominciato ad assumere un ruolo preciso, a dare segni di vitalità, a pretendere di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi prima impensati, ecco che è cominciata l’accusa di protagonismo.
Mentre quei giudici che si tirano indietro (ed è successo sia a Torino in occasione del processo d’Assise ai capi storici delle BR, sia a Palermo, in occasione dei processo d’Assise alla mafia da poco concluso) non rischiano proprio nulla e nessuno si leva a protestare o levar critiche nei loro confronti. In altri interventi si è parlato di premio nel senso di carriera che correrebbe lungo corsie «privilegiate» per quei giudici che abbiano fatto determinate esperienze professionali.
Ma è inconcepibile, perfino un po’ scandaloso,. che si parli di privilegio con riferimento ai giudici di Palermo che vivono nelle condizioni a tutti note; che semmai rappresentano una pesante penalizzazione.
Nel caso della lotta alla mafia, questi interessi sono gli interessi della democrazia, ciò che rende questa seconda visione (non settoriale) del tutto giustificata. Per questi motivi esprimo avviso contrario alla proposta della commissione.
Ed infine vorrei ricordare che Dell’Utri ha una bella condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e che di recente (qualche giorno fa) si è preso altri due annetti per tentata estorsione in concorso con un mafioso ergastolano. Insomma, tanto vuote le ultime indagini di palermo non lo sono state. Senza contare poi il processo Andreotti, che lo vede assolto per i reati commessi dopo il 1980, ma per quelli precedenti gli è valsa la prescrizione. Una sentenza politica, ma pur sempre una sentenza dura.
Tipico esempio del giornalismo italiano (minusolo, molto minuscolo), si approfitta di qualunque pretesto per attaccare gli altri, non necessariamente dell’altra parte però.
Anniversario dell’assassinio di Falcone e di cosa si parla? non dei suoi meriti o della strada che aveva tracciato ma di chi l’ha ostacolato ed è ancora in vita vero o no che sia quello che scrivete lo usate sempre e solo come lo userebbe la MAFIA (maiuscolo, molto maiuscolo).
Anche per questo hanno potuto uccidere Falcone e Borsellino e tanti altri, perchè sapevono comunque di poter contare su chi pensava sempre e omunque prima ai suoi di interessi e non alla cosa pubblica.
Grazie Facci per averci ricordato di che pasta sia la stampa.
ricordo ancora il giorno in cui fu ucciso falcone. avevo 11 anni ed era sabato. la prima serata di raiuno prevedeva scommettiamo che? con fabrizio frizzi e milly carlucci.
ma quella sera non andò in onda.
Articolo orrendo, vergognoso pubblicarlo a quindici anni esatte dalla morte di Falcone. Passi per Facci, ma Neri o chiunque sia responsabile dei contenuti di questo sito, dov’e’? Lo strafalcione aritmetico sul conteggio dei voti che dettero la vittoria all’infausto Meli su Falcone, la candida omissione del truce giornalaio che parla del pool come di una seconda cupola (si tratta di Lino Jannuzzi), il silenzio assoluto sul metodo falcone, ispiratore della legge sui pentiti, e sul contributo di Buscetta.
Una giornata vergognosa per questo sito.
Per chi volesse verificare la posizione di Caselli, il verbale della seduta del CSM che preferi’ l’incredibile Meli a Falcone e’ qui:
http://digilander.libero.it/inmemoria/falcone_meli.htm
Insomma Facci, senza polemica , ma per capire, dai chiarisci questa cosa, hai scambiato la lista dei favorevoli con quella dei contrari o cosa ci sfugge ?
– Ho corretto giusto ora per renderlo più chiaro. I “favorevoli” erano intesi come favorevoli a Meli. Caselli votò “contro Meli”, come ben sapevo e come ho cercato di evidenziare prendendomi gli strali di chi ha pensato che volessi dire il contrario.
Chi non ci crede può controllare sul Giornale di oggi, dove ho pubblicato un’estrema sintesi di quanto sopra e dove infatti non ho scritto quell’ “anche Caselli” che per una volta avevo scritto a suo merito.
– Se avessi voluto fare un’omissione su Jannuzzi non ne avrei riportato neppure il resto, vi pare? La verità è che ho citato l’articolo su Jannuzzi, ma non il suo nome, perchè l’articolo era destinato al Giornale (come detto) e una cosa contro Jannuzzi non me l’avrebbero fatta passare, visto che Jannuzzi sul Giornale ci scrive a sua volta. A ogni modo ora vado ad aggiungere il nome di Jannuzzi nel testo (a proposito: ho riportato anche un’articolo della Carulli pubblicato sul Giornale).
– Per il resto, il mio articolo è così palesemente documentale che i citati commentatori di cui sopra possono solo andare a prendersela nel culo.
Non riesco a capire questi censori. Soprattutto perché così hanno avuto la possibilità di inserire il controcanto nei commenti e dare la possibilità a tutti di decidere quale possa essere la verità.
Mi sa che sto invecchiando troppo.
Sul discorso archiviazione ci sarebbe da approfondire: non si può dire che siccome una parte della inchieste è stata archiviata, allora non esiste.
Sul chi sono i mandanti ancora si sa poco.
Minchiate, Facci, oltre ad essere infradocumentato sei disonesto: il nome di Jannuzzi potevi inserirlo nella versione per Macchianera, mentre per quanto riguarda l’essere “a favore” o “contro” e’ evidente che non avevi capito una mazza di cio’ che stavi scrivendo: essendo Caselli notoriamente un (almeno sedicente) continuatore della linea Falcone, non aveva alcun senso evidenziarne un voto a favore.
Circa Mau., il problema non e’ tanto quello di rispettare o meno opinioni, ma di scrivere cose sbagliate, e soprattutto di scriverle su eventi cruciali della storia d’Italia, e ancora, di scriverle nell’anniversario di un evento tragico: insomma, ci sono cose troppo serie per lasciarle a Facci.
Sul resto dell’articolo interverro’ con piu’ calma, ora non ho nemmeno il tempo di seguire l’invito del nostro povero scribacchino cafone, che seguendo il Rossi chiamero’ “quel tale che scrive sul Giornale”.
Falcone l’ha ucciso il mafioso Brusa. Falcone aveva dei nemici nel CSM. I magistrati di Mani Pulite sono brutta gente. I giornalisti sono brutta gente. Nella mafia non ci sono livelli superiori a Brusa. Andreotti è buono. Dell’Utri è buono. Berlusconi è buono.
Ho riassunto un po’, ditemi se ho dimenticato qualcosa.
Questo “articolo documentale” in realtà è solo un’inutile tesina compilativa.
Un’ennesima riscrittura dei soliti stantii argomenti.
Egregio Charles, solito nick poverello e anonimo, stati attento a come mi definisci perchè ti faccio sputare tutti i denti.
Per il resto la verità è quella che è. Il testo di Iannuzzi l’ho messo io, è inutile che ci giochi. Se vuoi lo metto per esteso e ne aggiungo altri di altrei personaggi.
Molto divertente che Caselli sarebbe stato il continuatore di Falcone., il quale era favorevole alla separazione delle carriere, era per il controllo istituzionale sull’’attività del pubblico ministero, denunciava il correntismo politicizzato del Csm, negava l’esistenza di terzi livelli mafiosi, incriminava i pentiti quando li riteneva calunniosi, lamentava certa cultura del sospetto e dubitava del feticismo di certa obbligatorietà dell’azione penale: e di ciò si potrebbe fornire ampia rassegna. Fallo tu, Carletto.
Forse sarebbe stato più corretto lasciare anche il testo cancellato con una riga sopra in modo che tutti potessero farsi un’idea.
Tristo buzzurrone, hai cosi’ pochi argomenti, cosi’ scarsa cultura e cosi’ poca fiducia (et pour cause!) nelle tue capacita’ intellettuali che passi alle minacce fisiche. Ti rassicuro: un confronto fisico con me ti andrebbe ancora peggio di quello intellettuale. Ti conviene, sempre e comunque, abbassare i fari.
Dovresti peraltro munirti di un abbecedario e di un vocabolario, perche’ cosi’ scopriresti il senso del lemma “sedicente”. Che ho incluso, comunque, a tuo uso, perche’ ben sapevo che l’armadio delle tue minchiate e’ ancora ricco, e tutto volevo tranne che ruzzolarmi con te nell’eterna disputa “ma Caselli e’ falconiano o no?”.
Successore di Falcone Caselli lo e’ di certo nell’indagine su Cosa Nostra, e anche nei risultati riportati: circa 450 condanne definitive, molte delle quali al carcere a vita, per esponenti di cosa nostra, decine di miliardi di beni confiscati e restituiti allo stato, indagini pioneristiche sul legame mafia-istituzioni, tutte riconosciute fondate, alcune giunte a sanzione definitiva di cassazione (Contrada, Andreotti), altre non avallate per insufficienza di prove. Anche questo sulla linea di Falcone, che per sette anni tento’ di convincere Buscetta a parlare del legame mafia-politica. Il mafioso rifiuto’, predicendo che cio’ che avrebbe detto avrebbe provocato la distruzione anche fisica di Falcone, e morale di tutto il suo entourage.
La profezia di Buscetta si e’ avverata: Falcone e’ saltato in aria 15 anni fa e chi ha investigato sui rapporti tra mafia e politica si e’ trovato moralmente delegittimato: anche grazie a giornalisti conniventi e compiacenti, nonche’ ad altri giornalisti solo un po’ troppo teste di minchia.
venti euro su john, entro la terza ripresa
(retropensiero: facci l’ho visto in tivù e mi sembra smilzo, se john charles ha una mole adeguata al nick, FF farà bene a prenotare una visita maxillo facciale)
comunque, sì, trovo pelose le argomentazioni di FF
che peccato, quando non si lancia nella politica, nella giustiza, quando si dimentica il giornale per il quale scrive e le sue tesi a finale già scritto, è bravo, acuto e condivisibile. Cosa non si fa per campare.
Bene. Ciò posto, e posto che il mio articolo non parlava di Caselli, nè ora m’interessa parlare di Caselli, c’è qualcuno in grado di smentire una sola riga di quello che ho scritto?
Per la millesima volta: occupatevi del post, non di me.
E’ vero che a proposito dei ” livelli occulti ” politici Buscetta disse che non era il momento. NOn ricordo le parole esatte, ma più o meno il senso era:” figuriamoci se posso dire certe cose”.
Comunque, dal post sembrerebbe che persone come Orlando etc fossero proprio nemici giurati, di Falcone. Non è proprio così. Le divergenze non furono mai cattive. Le parole di Orlando potevano essere polemiche e censurabili, ma si muovevano nella normale dialettica politica.
A confermare ciò due episodi che ricordo benissimo personalmente.
1, una trasmissione di Costanzo in cui si parlava, per criticarla, la decisione di Falcone di andare a lavorare per il Ministero con Martelli. AD un certo punto, Alfredo Galasso,mi pare, dopo avere criticato Falcon per la sua decisione, proruppe in un .” A Giovà, è che non ci piace che vai a Roma!!” IL tono non era accusatorio, ma amichevole.
E un altro episodio che riguarda Orlando. Una manifestazione, poco dopo la morte di Falcone. Prende la parola Borsellino. Ha nello sguardo il dolore della morte di Falcone. La sue prime parole furono:” Come ha detto l’AMICO Orlando…”Anche qui, tono amichevole.
Ecco, se le contrapposizioni tra Facone e i suoi ” nemici ” alla Orlando erano così violente dubito che a cadavere ancora caldo dell’amico Giovanni Borsellino avrebbe usato quelle parole e soprattutto quel tono.
Anche io provo schifo. Non per i motivi dell’autore dell’articolo.
Torniamo al post,
è schifoso utilizzare una ricorrenza per spargere altra merda per coprire l’odore dei veri merdosi.
Del resto l’ha scritto sul giornale.
Ma per ricordare Falcone , forse è meglio rileggere le parole di Borsellino.
…ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’AMICO Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica. Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. C’eravamo tutti resi conto che c’era questo pericolo e a lungo sperammo che Antonino Caponnetto potesse restare ancora a passare gli ultimi due anni della sua vita professionale a Palermo. Ma quest’uomo, Caponnetto, il quale rischiava, perché anziano, perché conduceva una vita sicuramente non sopportabile da nessuno già da anni, il quale rischiava di morire a Palermo, temevamo che non avrebbe superato lo stress fisico cui da anni si sottoponeva. E a un certo punto fummo noi stessi, Falcone in testa, pure estremamente convinti del pericolo che si correva così convincendolo, lo convincemmo riottoso, molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli…
l’opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant’è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. La protervia del consigliere istruttore, l’intervento nefasto della Cassazione cominciato allora e continuato fino a ieri (perché, nonostante quello che è successo in Sicilia, la Corte di cassazione continua sostanzialmente ad affermare che la mafia non esiste) continuarono a fare morire Giovanni Falcone. E Giovanni Falcone, uomo che sentì sempre di essere uomo delle istituzioni, con un profondissimo senso dello Stato, nonostante questo, continuò incessantemente a lavorare. Approdò alla procura della Repubblica di Palermo dove, a un certo punto ritenne, e le motivazioni le riservo a quella parte di espressione delle mie convinzioni che deve in questo momento essere indirizzata verso altri ascoltatori, ritenne a un certo momento di non poter più continuare ad operare al meglio.
Già, la Corte di Cassazione, presente? Quella di Carnevale.TRa gli altri.
La Corte di Cassazione e quella sciagurata campagna contro i prefossesionisti dell’antimafia.Parole di Borsellino. Anche questo manca nel post.
http://digilander.libero.it/inmemoria/falcone_isolato.htm
per restare in tema … se mi è permesso
CAPACI E GLI INCAPACI
Il silenzio è d’oro
di Marco Travaglio
Nel XV anniversario della strage di Capaci, c’è una cosa molto utile che potrebbero fare i politici italiani: tacere. Risparmiarci la solita grandinata di dichiarazioni, esortazioni, rassicurazioni, omelie, giaculatorie con lacrima incorporata. Disertare, una volta tanto, le celebrazioni ufficiali, sempre più rituali e retoriche, nelle quali le parole sono inversamente proporzionali ai contenuti e le promesse ai fatti concreti. E ritirarsi a riflettere in silenzio sul fallimento di questi dieci anni di lotta alla mafia, del quale tutti, pro quota, sono responsabili, visto che tutti hanno governato. Casomai qualcuno volesse anche informarsi, ci sono ottime letture. Saverio Lodato ha ripubblicato negli Oscar Mondadori la sua memorabile intervista del ’99 a Tommaso Buscetta, dal titolo eloquente «La mafia ha vinto». Più in sintesi, c’è la lettera disperata (su «l’Unità» di ieri) Giovanna Chelli, che ha avuto un parente morto nella strage dei Georgofili del ’93: da mesi attende risposta dal ministro della Giustizia a un’interpellanza sui mafiosi passati dal carcere duro del 41-bis al carcere molle. C’è l’intervista del «Corriere» alla vedova Rosaria Schifani, che ai funerali di Capaci lanciò il suo grido di dolore nella cattedrale di Palermo e oggi si sente evitata dalla gente e dimenticata dalle autorità. C’è l’intervista di Maria Falcone a «Repubblica», per chiedere a una politica sorda ma loquacissima notizie sui «mandanti occulti» delle stragi del ’92-’93. E c’è il libro di Lirio e Abbate e Peter Gomez, «I complici – Tutti gli uomini di Provenzano da Corleone al Parlamento» (ed. Fazi), con tutte le storie attuali di mafia e politica, a destra come a sinistra. Appena uscito il libro, Abbate, cronista dell’Ansa di Palermo, è stato messo sotto scorta (auto blindata e due angeli custodi) per le minacce ricevute da ambienti mafiosi collegati, forse, con la malapolitica. La cosca che lo intimidisce è quella di Brancaccio, retta fino a qualche tempo da Giuseppe Guttadauro, amico di Totò Cuffaro e di altri amici degli amici. Ma il libro parla anche delle collusioni trasversali della cosca di Bagheria-Villabate. Una telefonata minatoria, un biglietto sull’auto, una foto sotto il portone dell’Ansa hanno indotto le autorità a proteggerlo. Fatti più gravi ancora di quelli che costringono lo scrittore Roberto Saviano a vivere da clandestino nel suo paese. Una notizia enorme,se si pensa che a Palermo nessun giornalista girava scortato nemmeno negli anni della guerra di mafia. A parte un articolo de «l’Unità», un paio di «brevi» di 5-10 righe su «Repubblica» e «Corriere», un servizio del Tg3, nessun quotidiano o tg l’ha raccontato. Ma il fatto più agghiacciante è il silenzio della politica nazionale. Fino alle 18 di ieri si segnalavano solo dichiarazioni di politici siciliani: Rita Borsellino; Forgione e Rappa del Prc; Garraffa dei Ds; Piro dei Dl; Cuffaro dell’Udc; Vizzini, Santoro e Scoma di FI. La dichiarazione migliore è questa: «È drammatica l’immagine di una terra dove chi fa informazione debba muoversi sotto protezione. In Sicilia la mafia vuole uccidere un’altra libertà fondamentale: quella di informazione. Sono certo che Abbate non mollerà, ma il problema è anche quello di una politica che invita sempre gli altri ad andare avanti e poi resta un passo indietro. La vera solidarietà che voglio dare a Lirio Abbate è quella di stare concretamente accanto a chi, come lui, è in prima linea per difendere la libertà di informare soprattutto quando l’informazione può apparire scomoda». Chi l’ha detto? Il presidente del Consiglio? Un leader della maggioranza? Magari. L’ha detto Carlo Vizzini, ex Psdi ora Forza Italia.Tutto normale, no?
L’articolo di Sciascia sui “professionisti” rappresenta senz’altro il punto piu’ basso del rapporto tra intellettuale e societa’ in Italia e probabilmente anche in Europa.
Per chi non se lo ricordasse (era il 10 gennaio 1987) Sciascia sosteneva che in Sicilia i magistrati usavano l’impegno antimafia o una sua parvenza solo per fare carriera. A paradigma di questo malcostume, Sciascia citava Paolo Borsellino, appena nominato Procuratore a Marsala.
Esemplare e’ il ragionamento di Sciascia: in magistratura, per il (cattivo) maestro di Racalmuto, occorre far carriera solo per anzianita’, e un concorrente piu’ anziano di Borsellino per Marsale c’era: tale Alcamo: bocciato per non essersi mai occupato di mafia.
Ancora piu’ esemplare e’ il motivo per cui Sciascia lancia il grido di dolore: il suddetto Alcamo era suo amico personale!
Effetti collaterali: siccome c’era il maxiprocesso (il grande risultato di Falcone, ricordiamolo almeno oggi) in dirittura d’arrivo, l’articolo di Sciascia venne brandito contro chi l’aveva istruito (Falcone) da parte di personaggi al di sotto di ogni sospetto: ad esempio Ciancimino e addirittura Luciano Leggio, l’advisor di Riina e Provenzano, che si scoprirono immediatamente sciasciani.
Significativo che Borsellino facesse partire dall’infame pezzo del Corriere il meccanismo di stritolamento di cui sara’ vittima anche lui.
(A ulteriore disonore di Sciascia andrebbe citata la polemica davvero ripugnante in cui si lancio’ nel 1982 contro Nando dalla Chiesa, immediatamente dopo la strage di via Carini: era colpevole, l’attuale sottosegretario, di avere dichiarato che il protagonista del giorno della civetta era ispirato a suo padre. Guai.)
Sulla storia dei professionisti c’e’ questa ottima pagina del sito cuntrastamu
http://www.cuntrastamu.org/mafia/speciali/falcone/sciascia1.htm
Materiali.
Da Micromega, marzo 1993
I giorni du Giuda
Di Paolo Borsellino
Ho letto giorni fa, ho ascoltato alla televisione – in questo momento i miei ricordi non sono precisi- un’affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire ne gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione di Caponnetto. Con questo non intendo dire che so il perche dell’evento criminoso avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento che possa aiutare a ricostruirlo, e come ho detto ne riferirò all’autorità giudiziaria; non voglio dire che cominciò a morire nel gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale epilogo di questo processo di morte.
Giovanni Falcone è andato al ministero di Grazia e giustizia, e questo lo posso dire sì prima di essere ascoltato dal giudice, non perché aspirasse a trovarsi a Roma in un posto privilegiato, non perché si era innamorato dei socialisti, non perché si era innamorato di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto della sua vita ritenne, da uomo delle istituzioni, di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante e nelle sue convinzioni decisivo, con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa. Dopo aver appreso dalla radio della sua nomina a Roma (in quei tempi ci vedevamo un po’ più raramente perché io ero molto impegnato professionalmente a Marsala e venivo raramente a Palermo), un volta Giovanni Falcone alla presenza del collega Leonardo Guarnotta e di Ayala tirò fuori, non so come si chiama, l’ordinamento interno del ministero di Grazia e giustizia, e scorrendo i singoli punti di non so quale articolo di questo ordinamento cominciò fin da allora , fin dal primo giorno, cominciò a illustrare quel che lì egli poteva fare e che riteneva di poter fare per la lotta alla criminalità mafiosa.
***
Da l’Unità, 14 agosto 1991
Indagate sui politici, i nomi ci sono
Di Saverio Lodato
Orlando, che vuol dire fare antimafia oggi?
“Nei cassetti dei palazzi di giustizia, delle commissioni parlamentari, dei servizi, e in quelli dell’Alto commissariato, e ormai anche nelle deposizioni dei pentiti, c’è la verità, la conferma dei rapporti mafia e politica. Sono migliaia e migliaia i nomi, gli episodi a conferma di questi rapporti. Ma quella verità non entra neppure nei dibattimenti, viene sistematicamente stralciata, depositata, e neppure rischia di diventare verità processuale”.
***
Esposto Orlando- Galasso al Csm sulle “carte nei cassetti”
Al consiglio superiore della magistratura, Roma, 11 settembre 1991
“Nessun provedimento giudiziario è stato assunto nei confronti dei Costanzo per il delitto Dalla Chiesa, neppure una informazione di garanzia che fosse il segno della volontà di sviluppare le indagini. Da notare che agli atti dei maxiprocessi risulta che indizi di non maggiore consistenza e affidabilità hanno indotto i giudici a emettere mandati di cattura”
***
Csm, 15 ottobre 1991
Prima commissione referente
Audizione Giovanni Falcone, direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia
“L’informazione di garanzia non è una coltellata che si puo infliggere così,è qualcosa che deve essere utilizzata nell’interesse dell’indiziato, ma non per fatti di questo genere.
I fratelli Costanzo erano personaggi estremamente interessanti da cui mi ripromettevo di trarre tutta una serie di utili informazioni e soprattutto una seri di riscontri alle dichiarazioni rese da Antonio Calderone.Tenendo conto che l’impresa Costanzo non era un’impresa da nulla- è la nona impresa in materia di appalti pubblici in Italia- e non si è saputo cogliere, e per questo ancora ho profondo rammarico, l’importanza addirittura deflagrante (adesso ne stiamo vedendo le conseguenze) di un imprenditore come Costanzo cui è stato praticamente impedito di poter denunziare nelle opportune sedi che in Sicilia tutti gli imprenditori pagano la tangente. Lui, Costanzo, lo dice: >. In un sistema in cui fino ad allora si era sempre negato da parte della classe imprenditoriale addirittura l’esistenza del pizzo della tangente, della guardenia ecc., ecco che Costanzo, uno degli imprenditori più forti, se non il più forte della Sicilia, era stato messo in condizione di poter esprimere tutta una serie di verità molto, ma molto importanti (e badate bene che eravamo appena agli inizi, perché finora Costanzo aveva parlato dei suoi rapporti con i Calderone),, tutto il resto bisognava convincere a dirlo con molta pazienza, con molta calma e così via: tutto questo, praticamente, non è stato possibile farlo. E’ subentrata quella violentissima polemica con Meli (non voglio rivangarle queste cose, non ho affato gusto di polemica, tanto meno oggi), ma è chiaro che mentre un giudice istruttore pensa di fare qualcosa in un determinata maniera, viene il tuo capo e, a tua insaputa, ti fa altro tipo di cose. Nel concreto Costanzo è un personaggio sicuramente importante nell’ambito imprenditoriale, ma nell’ambito mafioso di Cosa Nostra non poteva contare nulla e su questo fatto Calderone ha reso delle dichiarazioni molto precise.
Se lo avesse fatto diventare uomo d’onore, poi avrebbe dovuto presentarlo agli altri e tutti quanti si sarebbero recati da Costanzo- gli uomini d’onore- per chiedergli un favore; lui a un certo punto avrebbe potuto dire di no a qualche favore troppo importante e allora sarebbe stato espulso da Cosa Nostra e Calderone non poteva più proteggerlo. Costanzo è il personaggio per cui è nato il divieto dei sequestri di persona in Sicilia. I Costanzo avrebbero dovuto essere utilizzati in un contesto molto, ma molto più ampio e con prospetive molto più profonde.
Avrano fatto, probabilmente si sono resi autori di tutta una serie di delitti specifici, per esmpio favoreggiamento, per esmpio, addirittura, c’è qualche fatto in cui io avrei potuto ipotizzare un concorso in omicidio, perché c’era un malavitoso che aveva fatto delle estorsioni e che era stato ammazzato- gruppo Santapaola-ma, a parte questo,>. Tutto lì era il discorso. Mentre avanzo questa richiesta, il consigliere istruttore, a mia insaputa, sollecita la procura a emettere mandato di cattura nei confronti dei Costanzo. E’ tutto documentato, io l’ho cui con me.
Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo”.
***
Nota: Orlando e compagnia facevano riferimento in particolare a una serie di documenti (otto scatole) lasciati da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte. Le abbiamo viste e non contengono nulla di nuovo, spiegò Falcone al Csm dopo l’esposto presentato proprio da Orlando.
Sembra ieri…
io in questo giorno della memoria voglio dire grazie a tutti i magistrati che in Sicilia e in altre regioni quotidianamente lottano contro questi signori del male in condizioni di carenza cronica di mezzi, di ostracizzazione forzata dal resto della comunità, di indifferenza delle autorità e di pericolo
forza. non mollate.
Facci, il problema non è smentire i tuoi dati (alcuni l’hanno fatto). Il problema è che prendere una serie di critiche a Falcone, molte delle quali provenienti dalla Dc o da destra, e farne il simbolo dell’attacco della sinistra a Falcone, è ridicolo.
Falcone, come scrive Sansonetti, fu criticato, anche se molto meno di quanto fosse osannato. Alcune di quelle critiche erano infondate, altre no (o hai cambiato idea sulla legge sui pentiti?). Ma erano tutte normali critiche, non coperture agli assassini.
Insomma, mentre una parte della Dc collaborava con gli assassini di Falcone, una parte della sinistra, un’altra parte della Dc e una parte della destra ne criticavano alcuni atti (peraltro più che discutibili).
Diciamo che preferisco prendersela coi secondi che coi primi, ecco.
ma ancora commentate i post di FF?
uff…
non volete proprio imparare…
Mah, credo che attribuire alla Dc, pur se ad una sua parte, il monopolio della collaborazione con gli assassini di Falcone non sia del tutto corretto. Bisognerebbe peraltro distinguere i passaggi dalla corrente fanfaniana a quella andreottiana, ed esaminare poi i motivi della consegna di Riina dell’87: votate il Psi. Starei piuttosto sui singoli casi, invece di tracciare equazioni tra partiti e cosa nostra.
“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.
Questa è una frase di Giovanni Falcone. Secondo me è stato lasciato solo dalle istituzioni, anche per questo è morto. Probabilmente la mafia nell’uccidere Falcone aveva dei complici più o meno consapevoli…
salpetti.wordpress.com
Magistratura democratica, il fronte di Orlando e della Rete, gli andreottiani, il Pds, il Csm legato alla sinistra, l’Unità, Repubblica, il fronte antimafia, giornalisti della più varia estrazione, il pool Mani pulite, magistrati di destra come Marcello Maddalena, Antonino Meli e Piero Giammanco, il Giornale di Montanelli.
Io ho parlato e documentato di questa gente che contribuì a isolare Falcone prima di santificarlo da morto.
Se avete da indicarne altri, parlate e documentate a vostra volta.
Se volete occuparvi di colpevoli e ‘mandanti’ che non si sa se esistano e che non sono mai stati individuati, nonostante uno sforzo notevole, fate pure.
Io mi sono occupato di cose già acclarate, e che nessuno ricorda mai.
Su questo sono d’accordo con Facci: meno ipocrita a forse anche piu’ utile delle solite prefiche e’ ricordare i grandi e piccoli Giuda, come li chiama Paolo Borsellino. Occorre pero’ distinguere: se per Giuda si intende chi almeno in una occasione non ando’ d’accordo con Falcone, allora ci dobbiamo mettere anche Borsellino stesso: Falcone non era d’accordo sul suo trasferimento a Marsala -anche se per motivi ben diversi da quelli di Sciascia- e Borsellino quattro anni dopo non sara’ d’accordo sull’idea della superprocura. Lo stesso si puo’ dire dei giudici di Mani Pulite, da non confondere con Magistratura Democratica: con Falcone ci furono possibili divergenze di vedute, ma mai, che io ricordi, ostruzionismo pretestuoso.
Non sono poi d’accordo con chi sostiene che Falcone ebbe in vita piu’ onori che insulti: Falcone fu quasi unanimamente demonizzato dal 1983 (quando, dopo l’uccisione di Chinnici, si intui’ che era il suo erede naturale) al tardo pomeriggio del 23 maggio 1992. Destra centro sinsitra alti bassi giganti nani ballerine. Il capolavoro fu sulla bomba all’Addaura, quando la stampa coralmente disse che Falcone la bomba se la era messa da solo.
Sull’esistenza di mandanti esterni, invece, io farei poca ironia (a questo proposito mi permetto di consigliare un libro non a tesi ma ricco di documenti: “La trattativa”, di Maurizio Torrealta). L’attentato a Falcone fu probabilmente endogeno, nel senso che cosa Nostra lo aveva in serbo da tempo: la tempistica pero’ e’ decisa in merito a scadenze politiche precise (l’elezione del Presidente della Repubblica, la necessita’ di far saltare Andreotti che, almeno secondo i mafiosi, non aveva rispettato i patti). I retroscena dell’attentato a Borsellino restano invece molto piu’ misteriosi: sempbra certo che a primavera 1992 l’attentato a Borsellino non fosse previsto, almeno non tra le priorita’, mentre acquista un’accelerazione improvvisa dopo la strage della Palermo-Punta Raisi. Sugli attentati del 1993 alle citta’ d’arte sembra che ci fosse convergenza tra gli interessi mafiosi e quelli di altri soggetti, ma di certo allo stato e’ impossibile fare nomi precisi.
Orlando. Poco simpatico e sudaticcio, Orlando ha comunque interpretato i sentimenti della palermo per bene per almeno un decennio. Ha escluso imprese in puzzo di mafia dagli appalti per la ricostruzione del centro storico, ha incoraggiato tutti i movimenti antimafiosi. Ricordiamo che nell’80 sindaco di palermo era tal martellucci che sosteneva che, a quanto ne sapeva lui la mafia era una marca di formaggini! Insomma, un bel salto. Concordo che sarebbe l’ora che Orlando si facesse da parte, ed e’ strano per me approdare alle medesime conclusioni di Pippo Baudo!
Da ultimo: a quindici anni dalla morte bisognerebbe ricordare i risultati ottenuti da Falcone: e non in astratto (combatte’ la mafia), ma in concreto: fece il maxiprocesso e porto’ i mafiosi a condanna definitiva. Per ottenere la condanna definitiva, approdato a Roma introdusse un meccanismo di rotazione delle sezioni di cassazione in modo che la famigerata prima sezione, quella presieduta da Carnevale, non si occupasse del maxi.
Introdusse una nuova giurisprudenza in materia di formazione della prova tramite l’uso dei collaboratori di giustizia: moderna, avanzata, ispirata a quella americana e che avrebbe a sua volta ispirato analoghe misure nel resto d’europa.
Fu sempre contro i garantisti piu’ o meno pelosi, gli astratti, quelli che “il maxi e’ un mostro giuridico”. Sapeva di essere in guerra, ma al contrario di chi lo aveva preceduto si armo’ e vinse numerose battaglie (a partire dal mitico processo Spatola).
Non sono mai riuscito a trovare una sola nota stonata nella sua vita professionale. Forse una: era troppo migliore degli altri. E’ un peccato che il nostro paese non perdona mai.
John Charles, i tuoi commenti sono una boccata d’aria fresca. Nonchè utili e informativi.
( niente, lo volevo dire e lui non ha sito o indirizzo email , cancellate pure questo commento
john.charles@no-log.org
Ciao e grazie.
Quanto detto su Sciascia pecca fortemente di poca informazione, leggi “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)” e poi parliamo di questa rapporto tra intellettuale e società (interessante anche cosa dice Sciascia degli intellettuali). Sciascia spiegò successivamente (e a quanto risulta da http://www.cuntrastamu.org/mafia/speciali/falcone/borsellino1.htm anche direttamente con Borsellino oltre che in articoli) che non aveva mai voluto attaccare Borsellino ma un modo di gestire il sistema giudiziario che poteva mettere in pericolo le garanzie costituzionali e lui da “illuminista” Queste le metteva sopra ogni cosa. Ricorda anche la polemica sul caso Tortore e in generale sull’uso dei pentiti sia per fatti di mafia che di terrorismo. In quanto a Dalla Chiesa essere “figlio di” non costituisce patente di intelligenza, in quella polemica Sciascia aveva mille volte ragione, era stato attaccato sguaiatamente e si difese da suo pari
Quale sarebba la ” poca informazione”
Dal link che ha mandato Maurizio io leggo…Io ero uno dei professionisti dell’antimafia. L’altro, in campo politico, era Orlando. Successivamente Sciascia, quantomeno con riferimento ai professionisti dell’antimafia in campo professionale, ritengo che abbia cambiato profondamente idea. C’è un’intervista poco conosciuta che Sciascia rilasciò al mensile palermitano Segno – credo nell’89 – in cui sosteneva che le sue idee espresse nell’articolo del Corriere della Sera, e in quelli successivi sull’onda della polemica innnescata dal comunicato del coordinamento antimafia (definì Sciascia un quaquaraquà, ndr) erano state parecchio travisate. Sinceramente debbo dire che non fui mai tanto convinto che le sue idee fossero state travisate, però ritengo che lui in seguito ebbe un ulteriore momento di riflessione. E soprattutto con riferimento ai professionisti antimafia in magistratura, cambiò profondamente idea. In quell’intervista a Segno sostenne a spada tratta di non essere stato capito a suo tempo quasi da nessuno. E diede merito a me – a suo giudizio: uno dei pochissimi – di averlo invece capito. Non aveva inteso indicare magistrati, ma aveva inteso criticare un certo metodo di comportamento del Consiglio superiore. A voler essere leali il senso dell’articolo sul Corriere era ben altro.
Attaccava lei?
No. Non attaccava me. Mi citava come esempio di magistrati che facendo antimafia facevano carriera. Poi Sciascia, rimeditando sulla faccenda, convenne sul fatto che in magistratura con l’antimafia non aveva mai fatto carriera nessuno. Nè tantomeno l’avevo fatta io. Sono estremamente convinto della sua buona fede, e del fatto che lui abbia rimediato, arrivando ad altre conclusioni, anche perchè fu lui a dirmelo personalmente in un paio di incontri che abbiamo avuto, e in un paio di lettere che mi ha scritto.
Ancora
“…Confesso che non glielo feci rilevare: io ebbi l’impressione che Sciascia, nel dirmi quello che mi disse, fosse profondamente imbarazzato nei miei confronti anche se mi parlava sinceramente riferendomi quella che era la sua opinione in quel momento del nostro incontro. A mio parere perchè lui sapeva che nell’articolo originario del Corriere aveva invece detto cose diverse. Bisogna riconoscere a tutti il diritto di cambiare opinione. ..
IO ne ricavo che Borsellino ritiene che Sciascia gli chiese, sè, scusa, e che disse di essere stato frainteso, etc…ma Borsellino chiaramente pensa che Sciascia era imbarazzato, perchè si era reso conto di avere sbagliato, e che con Borsellino abbia detto che l’articolo del Corriere era stato mistificato, ma che quello che aveva scritto a suo tempo era davero criticabile. Anche perchè. Borsellino dice chiaramnte che Sciascia intendeva riferirsi a lui.
Per, cui, quale poca informazione? Ma li leggete i link che mandate? Qui non era importante il fatto che Sciascia avesse chiesto scusa, ma il fatto che in nome di quel suo articolo fu fatta una campagna sciagurata. Cosa con cui in parte concorda anche Sciascia, a detta di Borsellino.
Per cui?
poca informazione su quanto detto e scritto da Sciascia sulla mafia e sulla giustizia, per documentarsi suggerivo un libro (di Sciascia) e non il link.
Nell’articolo linkato IMHO Borsellino riconosce a Sciascia di non aver attaccato lui ma un certo modo di fare le nomine (esattamente quanto avevo scritto, ma li leggete i commenti prima?)
poca informazione su quanto detto e scritto da Sciascia sulla mafia e sulla giustizia, per documentarsi suggerivo un libro (di Sciascia) e non il link.
Nell’articolo linkato IMHO Borsellino riconosce a Sciascia di non aver attaccato lui ma un certo modo di fare le nomine (esattamente quanto avevo scritto, ma li leggete i commenti prima?). Poi che altri sfruttarono quell’articolo ai fini di una campagna “sciagurata” non è che possa essere imputato a Sciascia e quindi lui poteva ritenersi imbarazzato di questo ma non chiedere scusa per una cosa che non aveva fatto lui. Ripeto, se uno legge Sciascia non può accusarlo di connivenza o indifferenza alla mafia, le sue posizioni sono sempre coerenti. Chiunque può sbagliarsi, anche Sciascia certamente, accusarlo però di aver attaccato Borsellino per amicizia con Alcamo (dove sta scritto che erano amici? Mi piacerebbe conoscere la fonte) e di essere il mandante spirituale dei demolitori del pool antimafia (e per fortuna non lo possono più sbattere in galera come Sofri) a mio giudizio non è troppo intellettualmente onesto.
No, Maurizio, leggi su
” Io ero uno dei professionisti dell’antimafia. L’altro, in campo politico, era Orlando. Successivamente Sciascia, quantomeno con riferimento ai professionisti dell’antimafia in campo professionale, ritengo che abbia cambiato profondamente idea.”
Borsellino dice espressamente che parlava di lui. E di Orlando. Poi, entrambi concordano su alcune ALTRE critiche al CSM , ma ciò non cambia la questione che l’articolo passò come attacco ai due e che ebbe un impatto fortemente negativo.
Di questo, si trattava. Se ti interessava difendere le buone ragioni di Sciascia potevi semplicemente dire che sì, quell’articolo generò pessime reazioni, ma Sciascia fece anche questo e ques’altro, senza tacciare gli altri di essere poco informati.Perchè nel caso non si fosse capito, qui non si parlava di ciò che scrisse SCiascia su mafia e politica , ma di quell’articolo.
Scusa per prima ma ho difficoltà a inserire commenti, mi vengono fuori messaggi di errore che non mi fanno capire se il messaggio è stato postato o meno. Per cui ho poi aggiunto in calce ulteriori commenti. Spero che adesso vada meglio
Per me ha molta importanza l’interpretazione autentica che l’autore attribuisce a quanto scrive. In quel libro che suggerivo sono raccolti (tra gli altri) proprio quegli articoli scritti sul Corriere e sull’Espresso che hanno alimentato la polemica. In articoli posteriori di pochi giorni o settimane Sciascia ha espresso le stesse posizioni che poi Borsellino dice secondo lui maturate dopo attenta riflessione. E in un articolo (adesso non ricordo se di quella serie o un’altra) riconosce come colpa la troppa schiettezza e la poca diplomazia che può far ritenere alcuni suoi interventi duri. Nell’intervento di Jonn Charles si leggono diverse accuse a Sciascia e non solo per quell’articolo, siccome si tratta di una polemica di vari anni fa mi sembrava utile suggerire materiale documentale da consultare, il sito suggerito sarà anche ottimo ma sentire anche altre campane fa bene
Premesso che John Charles è commentatore di spicco, questa volta offre una ricostruzione assai opinabile, per non dire preconcetta ed errata, del pensiero di Leonardo Sciascia. Questi non ha mai sostenuto che i magistrati volessero far carriera mercè l’antimafia, né che la loro progressione in carriera dovesse avvenire necessariamente per anzianità: semmai ha attaccato il criterio applicato dal CSM, per la prima volta e senza base normativa o regolamentare, nel promuovere un magistrato (nella specie Borsellino) in luogo di un altro, più “anziano”, per essersi occupato di processi mafiosi; e l’affermazione assurda, assai significativa del clima che si viveva, che il dott. Alcamo avesse perso il confronto col collega assai più giovane pur essendo un ottimo magistrato che non ha “pietito” processi contro i mafiosi.
Quindi i professionisti dell’antimafia li inventò, prima del titolista del Corriere, il CSM, delineando il principio, non codificato, per il quale l’aver condotto processi di mafia avrebbe garantito progressioni in carriera, con conseguente, possibile incentivo al malcostume di quelli che “pietivano” incarichi di tal fatta.
Sciascia criticò il metodo (assenza di supporto normativo) e il merito (che il criterio di promozione fosse almeno quello dei processi mafiosi andati a buon fine, non già quello del numero di processi svolti) di tale scelta.
L’analisi è stata condivisa da Borsellino, il quale restò convinto che Sciascia, in quel primo articolo, lo avesse delegittimato, pur se in buona fede.
Giudizio tanto opinabile quanto meritevole di rispetto.
Minor rispetto merita la calunnia di John Charles circa l’amicizia tra Sciascia e Alcamo: anche ai grandi capita di scrivere cazzate.
Quanto al maxiprocesso, Sciascia ne diede pubblicamente un giudizio positivo e chi tentò di strumentalizzare l’articolo dei professionisti dell’antimafia, ebbe il fiato corto come la memoria di John Charles in questo caso, avendo lo scrittore reiteratamente chiarito in ogni dettaglio il suo pensiero a beneficio dei non capenti (tanto che Borsellino ritenne di leggere in quei “chiarimenti”, un revirement di Sciascia).
Infine, fu lo stesso generale Dalla Chiesa a riconoscersi nel capitano Bellodi; Sciascia, dopo l’assassinio del generale, si disse infastidito della retorica che circondò quella morte, affermando che anche Dalla Chiesa, da ottimo ufficiale qual era, prendeva delle topiche, come quella di non utilizzare la scorta.
Sciascia aggiunse che FORSE questo errore fatale – per il generale medesimo, per sua moglie, per l’autista e per la lotta dello Stato allo strapotere mafioso – discendeva dal suo indentificarsi con un eroe letterario del passato, in un contesto mafioso profondamente mutato che avrebbe richiesto maggiore cautela.
Quest’ultima ipotesi, a mio avviso, non avrebbe dovuto essere formulata e fu certamente inopportuna, come Sciascia stesso riconobbe implicitamente in uno dei suoi ultimi scritti. Nando Dalla Chiesa, dal canto suo, lo accuso di “allenza oggettiva con la mafia”: giudizio quest’ultimo invero ripugnante.
Se mi sono permessa di definire ” sciagurata” la campagna basata sull’articolo di Sciascia è prima di tutto perchè effettivamente fu molto utile ai nemici di Falcone e Borsellino. E secondo, perchè è lo STESSO Borsellino che indica in quell’articolo uno dei punti di partenza per la campagna contro di loro.
NOn so quanto Sciascia abbia chiesto PUBBLICAMENTE scusa per gli EFFETTI di quella campagna. Aldià del merito. Nè se ne ha preso le distanze.Perchè se anche l’interpretazione autentica testimoniava la sua buona fede, non erano in buona fede quelli che ne approfittarono.
Perchè cerchiamo di ristabilire le proporzioni. Capisco che Maurizio voglia difendere le ragioni di Sciascia.Però, Sciascia al più ha pagato con aspre critiche, magari sguaiate, ingiuste, volgari, quello che si vuole. Il che mi pare debba essere anche messo in conto da chi attua la polemica aspra come lui. Mentre Borsellino e Falcone hanno perso la vita.E a me premerebbe di più rendere il punto di vista di Borsellino.
NOn so di Alcamo ( risponderà Charles ), ma non sarebbe male che facesse autocritica ANCHE chi cavalcò quella campagna in modo improprio. E costoro non si trovano certo tutti a sinistra.
grandissimo facci, e penosi molti dei commenti, che continuano a blaterare senza documentare.
Io fossi in te tornerei al vecchio sistema del non lasciare la possibilita’ di commentare. Perche’ tanto lo sai di che pasta e’ fatta il 90% di chi scrive commenti e scrive articoli qui. Quanto a me,questo e’ il mio ultimo commento, e l’ultima volta che visito sto blog, che e’ in palese agonia e dove ben pochi sono ormai gli articoli interessanti e non inneggianti all’internazionale comunista.
Il tempo e’ poco, e le cose da fare sono molte. Facci, dammi retta, non perdere tempo qui.
L’amicizia di Alcamo e Sciascia non solo non e’ una calunnia (Alcamo non era un mafioso e l’amicizia tra due persone per bene non e’ un reato) ma era pubblicamente nota ai tempi della polemica; e’ possibile che ne parli lo stesso scrittore in uno degli articoli ristampati in “a futura memoria”, libro che anch’io mi sento di consigliare: ad una lettura serena porta ad un ridimensionamento della figura di intellettuale di Sciascia, figura costantemente sopravvalutata, spesso strumentalmente.
Trattasi comunque di dettaglio del tutto ininfluente, la cosa importante e’ che, piaccia o meno Nando dalla Chiesa, in quella occasione Sciascia il gioco dei mafiosi lo fece, e lo fece per davvero. Sottostimo’ il peso delle sue parole? Se cosi’ fosse avrebbe implicazioni che non ritengo di svolgere, specie in presenza di disinvolti dispensatori di “patenti di intelligenza”, quali l’ottimo Maurizio: ci pensino loro.
Sciascia aveva un bel dire che il suo era un discorso astratto: chi legge l’articolo si accorge che c’e’ un solo nome additato come antieroe: e per somma sfortuna (oltre che naturalmente sfrontatezza e altrettanto somma ignoranza delle cause e delle cose) del romanziere, si tratta di un eroe.
Ora, non solo uno scrittore, ma chiunque sa perfettamente cosa vuole dire additare un nome al pubblico ludibrio, specie dalla prima pagina del primo giornale di Italia, specie quando la persona che a quel nome corrisponde lavora a quotidiano rischio della propria vita, specie quando una creatura delicata ma importantissima come il maxiprocesso sta per portare a termine la sua prima fase. Sciascia lo sapeva e se poi mi viene a raccontare che fu “frainteso” o che faceva un discorso di principio mi metto a ridere: oggi come vent’anni fa, vent’anni che rido amaramente.
Non risero, invece, non solo Borsellino e Falcone, ma neppure, ad esempio, Riccardo Orioles, che scrisse una risposta documentatissima ma certamente assai meno diffusa di quella del maestrino di Racalmuto. Chi vuole la trova sempre su http://www.contrastamu.org, al solito link degli “speciali”.
Non rise Giampaolo Pansa, giornalista dal fiuto finissimo, la cui risposta, che ricordo molto circostanziata, non ritrovo in rete.
Forse gli sciasciani ancora inestinti dovrebbero chiedersi onestamente perche’ prima di morire, alla domanda quando Falcone comincio’ a morire rispose il 10 gennaio 1987.
E un’ultima cosa: basta dare addosso al titolista: “i professioniti dell’antimafia” fu titolo infame quanto l’articolo: in cui c’e’ un paragrafo che si intitola proprio “per far carriera” ed una chiusa infamantissima. E ancora: benissimo fece il CSM a dare quel posto a Borsellino: ma forse gli sciasciani appartengono alla generazione e/o alla filosofia del non merito e dell’egualitarsimo: astratto, si intende.
La domanda d’obbligo ora e’: perche’ Sciascia scrisse un articolo cosi’ malevolo, sgradevole, calunnioso? E perche’ proprio in quei giorni?
Non era la prima volta: ribadisco che immediatamente dopo la strage di via Carini lo scrittore ebbe l’indelicatezza di sottolineare come dalla Chiesa sottovalutasse la sicurezza personale (falso: e’ che a scortarlo gli avevano dato solo il povero agente Domenico Russo, 32 anni, che con lui mori’ e della cui esistenza tutti, in primis Sciascia, si dimenticarono).
Ma oltre ad un problema di delicatezza c’e’ un problema di filosofia: come il generale aveva spiegato in numerose interviste, voleva evitare che i palermitani avessero di lui l’impressione di un robocop catapultato da Roma per mettere a ferro a fuoco la citta’: una specie di Mori mezzo secolo dopo. Per questo , quando era da solo, girava senza scorta (la sera del 3 settembre c’era con lui la moglie Emanuela Setti Carraro). Ma a Sciascia che gli fregava? Si era dato una funzione sociale esemplare (nella fattispecie: sentenziare sui morti) e la svolgeva suo modo.
Da sottolineare che dalla Chiesa era tutt’altro che uno sprovveduto. Questione di CV ma non solo: nella sua splendida intervista rilasciata a Giorgio Bocca nell’agosto 82 dice:
La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.
Insomma, il generale aveva capito della mafia quello che all’epoca aveva capito solo Falcone, che partiva dalle banche per istruire il processo Spatola.
Sciascia quelle cose invece non le aveva ancora capite. La mia impressione (e sottolineo: la mia, opinabilissima, contestabilissima, con un forte grado di arbitrarieta’ tipico delle opinioni personali) e’ che l’intellettuale che per primo aveva avuto il coraggio di scrivere di mafia temeva di essere superato sul suo campo. Reazione piuttosto comune tra gli intellettuali, specie se sul campo quelli che restano sono altri.
Il fenomeno si ripetera’ nel 1987 con l’ormai famoso articolo, la cui tempistica non lascia dubbi: fu un attentato intellettuale, senza conseguenze: immediate.
(Altri capitoli interessanti potrebbero essere le elucubrazioni sciasciane sul caso moro o sulla scomparsa di majorana, che non c’entrano nulla ma convergono nella trattazione del tema “rapporto intellettuale-societa’” alla medesima consclusione).
Ovviamente la calunnia non è nell’amicizia, ma nel ritenere che essa fosse la motivazione dell’articolo, come hai imprudentemente scritto e ribadito (lasciando perdere che non hai memoria precisa del libro che citi, cosa che può capitare, pirandellianamente, anche di un testo con quel titolo, e fermo restando che è una frottola).
Citi gli articoli pessimi di Orioles (e sai che novità) e di Pansa ma apparentemente ti ispiri a Scalfari, la cui tesi (che lo scrittore fosse mosso da vanità) impregna questo tuo infelice scritto.
Spacci uno sfogo pubblico di Borsellino – a cadavere caldo di Falcone – come risposta resa ad un intervistatore: sfogo che peraltro conteneva una chiamata in correità principalmente indirizzato nei confronti di giudici, politici e società civile.
Seguiti a non considerare che Sciascia (e, nel loro piccolo, gli sciasciani non ancora estinti) amava la meritocrazia e le regole, come dimostra proprio l’articolo “incriminato” e quelli che seguirono; che Sciascia conosceva i meccanismi della mafia, come non mancavano di affermare costantemente proprio Falcone e Borsellino; che l’articolo dei “Professionisti dell’antimafia” (titolo correttissimo ed efficacissimo) criticava una delibera del CSM quale scorciatoia inefficace anzi dannosa nella lotta alla mafia non certo il criterio di specializzazione del magistrato, che era al contrario auspicato; che l’intervento di Sciascia “ebbe il merito di smascherare alcuni politici che stavano salendo su quel carro con molta disinvoltura” (cito Borsellino); che il nome di Borsellino fu fatto inopportunamente – te ne do atto – ma in totale assenza di critiche dirette al suo operato; che la chiusa dell’articolo ironizzava sul linguaggio paludato del CSM e non sul magistrato; che quell’articolo chiedeva concretezza e rispetto delle regole, insomma non ha giovato ai mafiosi, né ha indebolito Falcone e Borsellino e men che meno cagionato la loro morte (tesi davvero assurda, mai sostenuta nemmeno da Borsellino in quel famoso discorso).
La battuta su Moro e Majorana dimostra che non hai letto Sciascia e ciò mi sorprende, data la veemenza della tua critica.
Caro Persinofrancesco,
il tuo tono arrogante si attaglia perfettamente al tuo status, piuttosto deprimente, di sciasciano inestinto. Purtroppo per te ho penna agile anche sulla iattanza, preparati perche’ non sara’ facile (per te).
Ovviamente ho letto tutti i libri che ho citato (e altri: es. le lezioni di fisica di Majorana, sorprendentemente moderne) e confermo: tutti gli interventi di Sciascia su questioni di attualita’ politica rasentano la fantascienza: e una fantascienza piuttosto scadente.
Se tu non fossi cosi’ permeato di sciasciana tracotanza parleresti con piu’ rispetto di Riccardo Orioles, perche’, cosa che spero tu non sappia, altrimenti il tuo disprezzo sarebbe solo vergognoso, Riccardo un bel mattino ha trovato la porta del giornale per il quale scriveva sigillata: il direttore di quel giornale era stato ucciso a pistolettate nella nuca proprio li’ davanti. Questo solo per dirti che se si discute di mafia il pulpito di Riccardo Orioles non e’ attaccabile, specie da chi di mafia ha sempre solo parlato per astrazioni: occorre entrare negli argomenti, cosa che agli illuminsti alle sarde non riesce molto bene. Ma comunque.
Vedo poi che fai mostra (ma con gli sciasciani non si sa mai che la mostra sia fasulla) di conoscere l’articolo di Pansa che non ritrovo. Se e’ vero -e continuo a dubitarne-, ti pregherei di farmene avere copia all’indirizzo e-mail che ho precedentemente fornito ma che ti riscrivo per evitarti fatali sforzi di mouse:
john.charles@no-log.org
Purtroppo la devozione al tuo maestro ti reca in discutibile eredita’ una certa refrattarieta’ alla lettura, o alla comprensione del testo, cio’ che tutto sommato e’ lo stesso. Partiamo dal fondo. Il per te profondissimo e per me semplicemente idiota finale del per te illuminante ma per me criminale articolo di Sciascia e’ il seguente (concentrati: non e’ facile ma ce la puoi fare anche tu).
>
Allora, calma e gesso, persinofrancesco deve e tutto sommato puo’ capire: nel primo periodo l’inclito vate associa l’occuparsi di processi di mafia al carrierismo. Siccome nell’articolo si parla di un solo magistrato che si occupa di mafia (di cosa si occupi l’altro non e’ dato sapere, ma a chi interessa: conta l’anzianita’), non e’ difficile, almeno per chi non si firma persinofrancesco, comprendere a chi il gran mogol dei dietrologi intenda alludere.
(Per inciso, la carriera che ha fatto Borsellino la conosciamo).
La chiusa, per te lezione di linguistica, per me quintessenza di vilta’, allude ironicamente (figura retorica insidiosa, stanne alla larga, povero persino) all’impossibilita’ dell’esistenza di magistrati non galantuomini: e, sara’ un caso, ma e’ posta a suggellare un pezzo in cui di due magistrati si parla: uno che e’ prevaricato dall’altro. (Lo so, e’ difficile, ma puoi farti aiutare).
Non e’ difficile, invece, capire perche’ Borsellino e Falcone non rispondessero direttamente a Sciascia. Ma visto che sulle cose non difficili non sei esattamente un ras (ci aspettiamo un pirotecnico riscatto su quelle difficili), te lo spiego passo passo. Primo: non conviene, ed e’ al limite delle regole deontologiche, che un magistrato entri in polemica con un opinionista. Secondo: chi provo’ ad opporsi a Sciascia fu prontamente sbranato da Sciascia stesso, i cui insulti ai ragazzi del coordinamento antimafia (appunto, ragazzi: ma che cercavano di combatterla concretamente, la mafia) completano il ritratto dell’uomo, e da schiere di ineffabili commentatori, spesso mai scesi piu’ a sud di Codogno, probabilmente perche’ il puro pensiero non si contaminasse di realta’ (a proposito, Persino: ci sei mai sceso tu piu’ a sud di Pavullo nel Frignano? Giusto per capire).
Insomma, chi toccava Sciascia moriva (metaforicamente, bene specificarlo a chi si sta tanto sforzando): era gia’ toccato a Nando dalla Chiesa, sarebbe toccato anche a Borsellino.
E non e’ un caso che a condanna a morte gia’ sentenziata, il macigno che Borsellino si vuole togliere e’ proprio scagliato contro Sciascia e contro quell’articolo sciagurato: ti rendi conto della forza di quelle parole? Giovanni Falcone comincio’ a morire il 10 gennaio 1987, Persinofrancesco. Riflettici, domanda, leggi, informati, fai uno schemino, ma, per carita’, trova uno spazio nei tuoi neuroni per questo. Se lo merita.
Perche’, vedi, se sostieni che non fece male all’antimafia devi avere meno di vent’anni, o una forma selettiva e piuttosto sospetta di amnesia. Ti dice niente la parola “delegittimazione”? Magari associata all’attributo “morale”? Ci sono ottimi dizionari anche in rete, Persino, consultali e poi scrivi la definizione dieci volte sul quadernino. Falcone era gia’ assai noto (aveva estratto, fisicamente estratto le rivelazioni di Buscetta), Borsellino meno, anche se quelle dichiarazioni aveva testato con rigore. Sciascia delegittimo’ moralmente Borsellino, e con lui, in un raffinatissimo (per te, per me infame) gioco di sponda anche Falcone e il pool. Certo che nessun magistrato avrebbe attaccato Sciascia, nemmeno quelli non direttamente coinvolti: non si rompe il fronte quando c’e’ una guerra (a meno di non essere idioti).
Sciascia capiva la mafia: un mito da sfatare. Sciascia aveva percezione della mafia rurale o appena postrurale, di quella finanziaria e imprenditoriale non sapeva e non capiva una mazza, come della fisica di Majorana. Sciascia a difesa del merito? santo Iddio, questa e’ buona: Sciascia difende l’anzianita’, che e’ l’esatto opposto del merito. Inventandosi peraltro una regola inesistente, perche’ l’anzianita’ non e’ mai stata considerata criterio unico di avanzamento di carriera per i magistrati.
Comunque, persino, nonostante la vostra visione di arlecchinesca coerenza, tu e il tuo amico vate avete vinto: qualche anno dopo la cassazione scegliera’ il nuovo capo del pool secondo le regole meritocratiche da voi invocate: Meli e non Falcone, perche’ Meli e’ piu’ anziano.
Immagino abbiate brindato.
Ammirazione, indipendentemente dalle posizioni (non sono preparato a sufficienza da permettermi di ammirare a seguito di analisi), per John Charles.
A leggerlo, nonostante il tema difficile, sa di buono e fa venir voglia di attendere il successivo intervento.
Così, volevo solo dire questo con lo stesso tono ammirato usato da Maria José nei suoi complimenti.
Tutto qua.
John Charles, sono contento se hai degli estimatori per ciò che hai scritto, che denota passione e interesse. Ma sono ancora in attesa di sapere che cosa ci sarebbe di “orrendo, vergognoso” nel mio articolo, che, ripeto, è documentale e non pretendeva certo di esaurire l’argomento, pur essendo piuttosto lungo (sul Giornale ho dovuto dimezzarlo).
“Una giornata vergognosa per questo sito”, sei giunto a scrivere. Diciamo che sei stato un po’ caratteriale.
Lunedì mattina, perchi ne avesse il coraggio (è alle 8 del mattino) se ne parla a Omnibus. Io ci vado, forse c’è anche Ayala. E vedrai se non faccio il nome del mio amico Jannuzzi.
Una giornata vergognosa per quell’emittente.
SEmbra che Charles abbia dimenticato di riportare proprio l’ultima parte del’articolo di Sciascia cui si fa riferimento. MI permetto di farlo io.
“…I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. In quanto poi alla definizione di “magistrato gentiluomo”, c’è da restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?..”
Bravo Facci, bella ironia. Purtroppo lunedi’ non potro’ ascoltarti. La mia reazione e’ stata forte soprattutto per due punti: l’omissione di Jannuzzi e l’affaire-Caselli, che ho ritenuto una svista un po’ capziosa ma che tu hai giustificato come fraintendimento. Comunque le parti incriminate sono state corrette e allo stato non trovo piu’ il tuo pezzo ne’ orrendo ne’ vergognoso.
Mi resta l’impressione che non si faccia distinzione tra divergenze di pensiero o rotture momentanee e vere e proprie ostilita’ e invidie. Es.: Orlando, che sta antipatico anche a me, e’ stato il primo sindaco di Palermo a porsi in rotta di collisione con cosa nostra (ok, ci fu anche il povero Insalaco, ma la sua storia non e’ scevra di ambiguita’; certa e’ solo la sua trise fine, e l’altrettanto triste isolamento a cui fu condannato dalla palermo che conta prima di essere ucciso). Puo’ darci fastidio, a Sciascia ne dava moltissimo, ma in Orlando, nonostante il suo stile e certi suoi errori, si identifico’ la Palermo della primavera. Certo, era il secolo scorso.
Recentemente e’ uscito un libro di Editori Riuniti che raccoglie svariate citazioni antifalconiane da penne oggi insospettabili (es: Giuseppe D’Avanzo). In tema di memoria, non ne ricordo il titolo.
Sei poi certo che la voce che la bomba all’Addaura fosse finta la misero in giro gli Orlandiani? Quello che io so per certo, ed e’ cosa ancora piu’ vergognosa, che la voce era data per veritiera a livello di CSM!
Grazie, MJ. Non ho riletto, non mi ero accorto fosse saltato. Deve essere perche’ lo ho virgolettato con il carattere che introduce i tags html.
Merci encore.