Ma era poi così spietato, questo popolo Maya? Davvero questi signori smembravano corpi e strappavano cuori con le mani? Veramente mozzavano teste che poi facevano rotolare verso le genti che bramavano sangue? Siamo sicuri che giunsero a sacrificare anche ottantamila prigionieri in soli quattro giorni? Possiamo realmente credere che fossero cannibali? Ma non è la stessa civiltà che a scuola ci descrivevano come avanzata nelle scienze e che aveva elaborato mappe celesti e concetti algebrici complessi? Non era insomma una società evoluta? Vogliamo davvero ritenere probabile che fossero sanguinari e spietati come li ha descritti Mel Gibson?
Sì.
La discussione su Apocalypto impazza in tutto il mondo, ma almeno su questo c’è una buona convergenza: la storiografia sui Maya negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante, e sono lontani i tempi in cui Jane Fonda sparava che “i Maja avevano una migliore religione di quella imposta con la violenza dai cristiani”, e pure lontana, tutto sommato, appare anche la retorica relativista di Eduardo Galeano che in “Memoria del fuoco”, ancora nel 1989, sosteneva che “I sacrifici umani li facessero anche in Europa”.
La ricerca storica più aggiornata, tra distinguo vari, ammette che i massacri descritti da Gibson sono sostanzialmente fedeli, e ritiene verosimile che abbiano potuto inorridire persino un avventuriero non di primo pelo come lo spagnolo Hernàn Cortès. Ammessa definitivamente tra le fonti di prova, dunque, anche la concitazione descrittiva di Bernal Diaz del Castillo, uno dei conquistadores spagnoli che dovette assistere al sacrificio di alcuni compagni:
“Vennero suonati un cupo tamburo e molte altre buccine e corni e strumenti come trombe, e il frastuono era terrificante, guardammo in direzione della grande Piramide da dove giungeva il suono, e vedemmo che i nostri compagni venivano portati a forza su per i gradini per essere sacrificati. Quando li ebbero portati sulla piccola piazza, davanti al santuario dove sono custoditi i loro maledetti idoli, vedemmo che gli mettevano delle piume sulla testa dei ventagli in mano; li costrinsero a danzare, e dopo li stesero riversi su pietre piuttosto strette preparate per il sacrificio, e con coltelli di pietra squarciarono loro il petto ed estrassero i cuori palpitanti e li offrirono agli idoli. Quindi, a calci, gettarono i corpi giù per la gradinata, e i macellai che li attendevano sotto tagliarono le braccia e i piedi e scuoiarono la pelle dei volti, e quindi la prepararono come fosse pelle da guanti, con le barbe, e la conservarono per le loro feste. Allo stesso modo sacrificarono tutti gli altri, e mangiarono le gambe e le braccia, offrirono agli idoli i cuori e il sangue”.
Andrebbe specificato che la carne umana veniva accompagnata con del mais, e che il Gran Sacerdote usava un pugnale di pietra con un manico a mosaico. Gibson mostra un pugnale del genere, ma in mano a un guerriero, e cannibalismi invece niente. Questo pugnale veniva piantato sotto il capezzolo sinistro per poi farsi largo nella cassa toracica, dopodichè il cuore, ancora pulsante, veniva strappato a mani nude.
I Maya credevano che sacrifici come questi, grazie all’energia liberata durante l’esecuzione, potessero sanare gli squilibri fra le forze cosmiche.
Lo storico dell’università di Harvard David Stuart, coautore di quattro fondamentali libri sui Maya, ha smentito che questo popolo si cibasse di carne umana per un’improbabile deficit di proteine: il cannibalismo era una parte integrante della loro cultura. I Maya credevano di vivere in una sorta di Quinta età che sarebbe stata distrutta come le quattro precedenti, e i sacrifici servivano soprattutto a scongiurare il tramonto del Quinto Sole: ma le ricorrenze buone per offrire altre vite agli dei erano almeno altre diciotto, tre per la pioggia, una per l’acqua, due per il mais, sei per diverse divinità femminili e una per ciascuno degli dei supremi.
La procedura di ammazzamento cambiava ogni volta: le vittime immolate agli dèi della pioggia per esempio venivano affogate, quelle immolate agli dèi del fuoco erano arse vive, gli altri finivano perlopiù decapitati o trafitti. C’è il caso particolare del giovane scelto per il sacrificio del quinto mese, trattato con riguardo per un intero anno e corredato di quattro spose nei venti giorni precedenti l’esecuzione: poi gli veniva strappato il cuore. Gli spagnoli furono colpiti anche dal cosiddetto Sacrificio gladiatorio: il prescelto, un guerriero nemico che avesse dimostrato indubbio valore, veniva armato con un arma avvolta nel cotone e costretto ad affrontare quattro avversari; nel caso fosse sopravvissuto, doveva affrontarne un quinto ma stringendo il pugnale con la mano opposta rispetto a quella abituale. Alla fine veniva scorticato, e un sacerdote indossava la sua pelle. Il fatto che i sacerdoti Maya fossero astronomi eccezionali non contrasta con la scena dell’eclissi proposta da Gibson, fenomeno che i sacerdoti Maya paiono riconoscere, per quanto lo colgano come un presagio.
Gli storici, di cui non forniamo tedioso elenco, concordano nondimeno anche sull’improbabilità di alcune testimonianze diffuse per giustificare le indubbie crudeltà dei conquistatori europei.
Andrès de Tapia, soldato di Cortès, per dire, raccontò di un altare con 136mila crani sospesi con dei pali che li trapassavano per le tempie: ma messi uno accanto all’altro coprirebbero un perimetro di 130 chilometri.
Per l’inaugurazione del tempio di Tenochtitlan, poi, nel 1487, le fonti parlano di 80mila vittime uccise in soli quattro giorni e in quattro punti di diversi: ma anche ipotizzando un sacrificio al minuto, decapitando e scuoiando giorno e notte, i Maya avrebbero dovuto impiegare non meno di cinquanta giorni.
E’ ritenuto plausibile, per contro, che ad aver riempito d’orrore gli spagnoli di Cortès possano esser stati i centoquattordici gradini insanguinati del Tempio Mayor di Mexico, ma ecco, è qui che comincia il casino.
Le discussioni e le polemiche sul film di Gibson, infatti, perlomeno ad alto livello, riguardano solo in minima parte la questione dello splatter, o tantomeno, come in Italia, le eventuali metafore sullo scontro di civiltà o sull’adorazione di dèi falsi o sul saccheggio della natura. Il punto di discussione è se i Maya descritti da Gibson fossero effettivamente Maya, e non, come resta probabile, Aztechi.
A complicare le cose è il fatto innegabile che il sacrificio umano fu praticato in tutto il mesoamerica da diverse popoli, anche se la palma delle efferatezze pare appartenga appunto gli Aztechi, popolo che persino molti studiosi scelgono di confondere deliberatamente con i Maya così da chiudere ogni diatriba.
Non servono grandi ricognizioni storiche per accorgersi che in effetti qualcosa non quadra. Sul sito del Corriere della Sera, nei giorni scorsi, bastava cliccare sulla pubblicità che prefigurava “Il Messico dei Maya sulle orme di Apocalypto, il film di Gibson” per accorgersi che le orme portavano a rovine non Maya ma azteche.
Sono i tempi a non quadrare, più che i luoghi. La cronologia dei Maya è quella che è, sicchè lo sviluppo delle grandi città risale almeno al 300 dopo Cristo, quando cioè si affermarono tipi architettonici costanti (tra questi il tipico tempio-piramide a gradoni) e insomma quando l’apogeo di questo popolo, attorno all’anno Mille, coincise con la sua rapida e misteriosa fine. E’ appurato che le grandi città vennero progressivamente abbandonate, e non è chiaro se ci sia un legame diretto con l’eccezionale siccità che portò carestie e desertificazione, sta di fatto che i Maya vennero progressivamente sopraffatti dai Toltechi e che lo spagnolo Cortès, quando il 10 febbraio 1519 sbarcò nello Yucatan, trovò sì uragani e pestilenze come descritto dal film di Gibson, ma le popolazioni strettamente Maya erano ormai da tempo disperse e balcanizzate.
E’ vero che nel film non si capisce benissimo la zona, ma il periodo è quello, e non v’è dubbio che attorno al 1500 di templi Maya ancora attivi non ne esistevano più da secoli. L’area Maya era certo gigantesca, e culti e cerimonie non saranno decadute tutte nello stesso tempo: ma il gigantesco centro cerimoniale che si vede nei trailer, e poi nel film, secondo gli studiosi non può che essere quello di Tikal, il più grande ritrovato sinora e che però si trova nella zona del Peten, in Guatemala, in piena civiltà azteca.
Vero è che dal Belize, passando per il Guatemala sino al nord del Messico, ci sono state svariatissime sovrapposizioni di popoli, partendo dagli olmechi e passando quindi ai Maya che raggiunsero il proprio zenith nei primi secoli dopo Cristo, prima di essere rimpiazzati dai Toltechi e poi dagli Aztechi.
Resta che gli Spagnoli, storicamente, in America latina si ritrovarono a combattere seriamente con due sole popolazioni semi-civilizzate: gli Aztechi nel Messico settentrionale e gli Incas in Perù.
Gibson in sostanza ha posticipato di un mezzo millennio la grandezza militare e religiosa dei Maya, e ha traslato di almeno un paio di secoli i segni incontrovertibili della loro decadenza, ciò che più gli interessava. I Maya del 1500 erano di fatto degli indigeni senza arte nè parte, non troppo dissimili dal gruppo linguistico che è sopravvissuto sino ai giorni nostri.
La sola spiegazione che taglia la testa al toro, oltrechè alle centinaia di vittime del film, è che Gibson si sia limitato a far proprio il senso comune di tutte le persone normali che non abbiano passato la vita a studiare il Sudamerica: ha considerato Maya e Aztechi, ossia, come la stessa cosa, peraltro dediti ai medesimi sacrifici indubbiamente notevoli.
Gibson non ha dunque dimostrato la preparazione storica per esempio di un Maurizio Porro, che sul Corriere della Sera ha ribadito a più riprese che il film è “zeppo di errori”.
Tantomeno Gibson ha osato l’accuratezza ricognitiva di Natalia Aspesi, che su Repubblica del 4 gennaio si è detta certa che il popolo in questione trattavasi non dei Maya, e neppure degli aztechi: erano i Toltechi.
Da non confondere con gli Huaxtechi e coi Zapotechi.
La domanda è: che senso ha fare del realismo la propria bandiera (cioè mostrare gli ammazzamenti per come si ritiene che fossero, far parlare i personaggi in Maya) senza il rigore storico (cioè capire di che cazzo di popolo e di periodo parla il film)?
A me The Passion ha fatto ridere: c’erano delle scelte registiche troppo tamarre. Lo ricordo con piacere però per la deliziosa compagnia con cui l’ho visto (e per le risate che ci siamo fatti quando a Giuda lanciavano i 30 denari a rallentatore).
Se vogliamo ridurla ai minimi termini, Steve, SI’.
La cultura si adatta per rendere eticamente accettabile quello che è utile dal punto di vista materiale.
E’ evidenza storica che gli Dei (prodotto culturale)affamati di carne umana esistono in civiltà con deficit nutrizionali acclarati.
Dove c’è cibo a sufficienza, gli Dei (prodotto culturale)sono molto più magnanimi e i prigionieri di guerra sono più utili come schiavi che come fonte diretta di nutrimento.
Sto citando comunque una corrente non minoritaria dell’antropologia contemporanea, non solo una mia opinione… (sul libro divulgativo di Harris Marvin – la nostra specie, c’è una blobliografia chilometrica)
Se fossi vissuto in una cultura con cannibalismo sdoganato, penso che mi sarei gustato mia nonna in salmì con gusto!! ;-)
Marta, la cazzata grande come una casa l’hai sparata tu e poi rilanci dicendo di voler capire. Cioè, dopo 2 anni vieni qui per capire The Passion.
Come questo studioso che ci viene a spiegare l’antropofagia dei Maya con l’assenza di carne.
Giopana, grazie del consiglio. Ti farò sapere. Il fatto è che non so se fidarmi dei gusti di uno a cui piacciono i film Herzog e Tarkovskij, con tutto il rispetto.
Ti smentisco subito citando l’India e l’induismo.
Carestie vs estremo rispetto di qualunque forma di vita, anche animale.
Ahahaha mi piace la definizione di “studioso”! Fa retrò! :-D
Steve, io l’India te la spiego rivoltando la frittata: a parte che le vacche c’erano eccome (e sono loro che fanno la “CARNE”), poichè conveniva tenerle vive vista la loro produzione di latte, burro e formaggi rispetto al consumo immediato, guarda caso le hanno fatte SACRE.
Le popolazioni dell’India settentrionale fanno un consumo di prodotti caseari talmente spropositato che se noi ci nutrissimo come loro per un paio d’anni schiatteremmo con il fegato spappolato…ma loro ci campano, eccome!! Si sono adattati ad una dieta di quel tipo col tempo (la cultura che modifica il corpo…ci avreste creduto? ..feedback..)
Poi in India settentrionale è culturalmente accettato (anzi benvoluto) che la moglie bruci assieme al marito sulla stessa pira funebre perchè sennò altrimenti sarebbe un peso morto….le donne non coltivano bene la terra dura ed arida….
Insomma, la teoria è coerente in sè. Poi, potete pure non crederci, per carità. Però sappiate che c’è gente che ne parla spassionatamente!!
Non trovo nulla di male nel mangiare carne umana.
Tutto sta nell’abbinarla con il vino giusto.
La cosa divertente è che qui a parlare non c’è nessuno che abbia visto il film, a parte Facci.
Io non ho visto nemmeno The Passion: diciamo che non è esattamente una storia che abbia qualcosa di nuovo da dirmi (ho fatto anni di chierichetto…), e sono troppo ignorante per apprezzare regia, fotografia, aramaico, questo genere di cose. A me è piaciuto Indipendence Day, ho detto tutto, no?
Bischerate però ne son state dette. Non so su Apocalypto, ma dire che “The Passion” debba essere storicamente accurato mi pare una scemenza. Come fa ad essere *storicamente* accurato un film che racconta una storia su cui nemmeno i quattro testi ufficiali sono del tutto concordanti, per non parlare di quelli non ufficiali, e che comunque non possono nemmeno essere definiti esattamente testi storici?
Che Gesù non sia morto in mezz’ora, caro Leo che quando vedi Facci perdi la testa, lo dicono anche Matteo, Luca, Marco e Giovanni. E’ stato crocefisso la mattina, da mezzogiorno si fa buio, alle tre grida “Dio mio perché mi hai abbandonato” e muore.
Se devi criticare la verosomiglianza della morte di Gesù con l’anatomia umana, forse dovresti partire dai Vangeli, più che da Gibson.
Io l’ho visto. Però sto zitto.
Joe, Facci qui ci scrive tutti i giorni. Io non lo commento quasi mai. Intervengo se ho qualcosa da dire e non faccio attacchi personali (al massimo rispondo ad attacchi personali).
Poi di solito arrivi tu.
Tu Passion non l’hai visto, e probabilmente non hai capito il punto. Il problema non è che non sia storicamente accurato (tante grazie): il problema è che sia stato lanciato come una specie di documentario, mentre è pieno di inesattezze storiche e fisiologiche che Zeffirelli al confronto è il National Geographic.
Se i vangeli ci danno la tempistica, senz’altro non ci raccontano che Gesù si sia fatto un volo dal burrone con una catena al collo (ancora prima di arrivare al Sinedrio). E non troverai nei vangeli il numero impossibile di frustate che Cristo si prende. Un numero che ha deciso unicamente Mel Gibson, non credo ispirato dallo Spirito Santo.
Su Apocalypto non ho naturalmente nulla da dire, a parte il famoso problema cronologico che ha sottolineato lo stesso Facci: ripeto, non riesco a capire cosa serve tanta pretesa accuratezza (lingue originali, ecc.) se poi si fanno errori di 4 o 5 secoli di differenza. L’unica spiegazione è che l'”accuratezza storica” sia solo un feticcio che serve a vendere prodotti splatter a un pubblico che un po’ se ne vergogna. Insomma, Apocalypto sì e Cannibal Holocaust no. Ma Cannibal Holocaust magari è un film più accurato, chi lo sa.
giudicare The Passion sulla base di parametri come verosimiglianza storica o anatomica, è tanto inutile quanto giudicare il Cristianesimo con gli stessi parametri.
Un cristiano crederà tanto alla realtà storica dei fatti quanto al fatto che il Cristo per motivi teologici abbia dovuto sopportare sofferenze insopportabili per chiunque altro. Se non sbaglio Gibson diceva di avere tra le sue fonti le visioni di una mistica riconosciuta dalla Chiesa (Katharina Emmerick) che avrebbe assistito in estasi alla passione. Tutto ok quindi.
Un non cristiano criticherebbe il film per gli stessi motivi per i quali non crede alla religione cristiana: fonti storiche dubbie, impossibilità dei miracoli, e quindi di certe sofferenze fisiche etc etc.
A questo punto la discussione sul film diventa una discussione sulla religione, e quindi perde di senso.
Oddio, Virginia, mi hai fatto cadere le braccia. Sono libera di domandarmi quello che voglio e quando voglio. Non credo ci sia niente di male nel chiedere a chi ha visto il film e a distanza di tanto tempo.
“The Passion tutto è tranne che un film che non dice assolutamente niente.”
Sono parole tue e poi ti stupisci se qualcuno vuole parlarne anche se parte da un punto di vista diverso dal tuo. Come non detto.
Ma le persone certe volte sanno di che cosa scrivono?
“Il problema non è che non sia storicamente accurato (tante grazie): il problema è che sia stato lanciato come una specie di documentario, mentre è pieno di inesattezze storiche e fisiologiche che Zeffirelli al confronto è il National Geographic”.
In altre parole: il problema non è che non sia storicamente accurato, quanto piuttosto che non è storicamente accurato.
E poi abbiamo capito che stavolta a Leo piace mettere un po’ di splatter nei commenti.
Limitare il giudizio su The Passion all’accuratezza o al fatto religioso è pretestuoso.
Filippo, a me The Passion è piaciuto molto, e mi ha anche turbato, sebbene immaginassi che Gesù avesse passato una cosa del genere (che poi sia accaduto veramente, non è così importante, è la forza della metafora che conta, no?). Vedrò questo perché non è la prima buona recensione. Una domanda in tema/ fuori tema: che tu sappia, a parte il Lumiere, dove si possono vedere i film dei Karismaki – non sono sicuro che si scriva così, ma credo tu abbia capito di chi parlo, “Vita da boeme” “Leningrad cow boys” ecc – (mi piacciono sia Aki che Mikka) al cinema? Zona Milano, intendo.
AH,AH,AH, rido, cooooooooooooome rido!
icetaF erangos, us,icetid evod omaissop acculturarci.
“…ripeto, non riesco a capire cosa serve tanta pretesa accuratezza (lingue originali, ecc.) se poi si fanno errori di 4 o 5 secoli di differenza. L’unica spiegazione è che l‘“accuratezza storica” sia solo un feticcio che serve a vendere prodotti splatter a un pubblico che un po’ se ne vergogna.”
Leo, ti adoro. E condivido, davvero.
una domanda mi sovviene leggendo qualche commento: la necessità di carne che in un certo qual senso giustifica i riti non certo “evoluti”..
i vegetariani ( e meglio i vegani) compiranno una strada simile?…quindi la ventilata ipotesi che anche hitler fosse un vegetariano..beh..potrebbe dare una mano nell’interpretazione del suddetto personaggio appartente anch’esso ad una civiltà evoluta? (a tal proposito, forse un piccolo criterio potrebbe essere che qualche civiltà si interroga su quello che compie…nel bene e/o nel male)
una domanda mi sovviene leggendo qualche commento: la necessità di carne che in un certo qual senso giustifica i riti non certo “evoluti”..
i vegetariani ( e meglio i vegani) compiranno una strada simile?…quindi la ventilata ipotesi che anche hitler fosse un vegetariano..beh..potrebbe dare una mano nell’interpretazione del suddetto personaggio appartente anch’esso ad una civiltà evoluta? (a tal proposito, forse un piccolo criterio potrebbe essere che qualche civiltà si interroga su quello che compie…nel bene e/o nel male)
Non solo quasi nessuno ha visto il film, ma alcuni non visto neppure il post. Altri vogliono solo fare casino. Pazienza.
Comunque:
– come detto, Aztechi e Maya nel periodo in questione erano popoli in tutto e per tutto sovrapponibili e in parte sovrapposti, simili esteticamente e nelle pratiche religiose e nei sacrifici e nel templi e in tutto. E’ cos’, non è una mia opinione. Io comunque per spiegare che una differenza comunque c’è ho fatto un articolo, ma è come se l’avessi fatto per distinguere Visigoti e Ostrogoti.
– le ricerche più autorevoli sostengono che il cannibalismo non fosse nè a scopo alimentare nè per carenza di vitamine, ma solo a fine religioso.
– Di Kaurismaki non so un cazzo. Ma puoi trovare molti dvd per esempio qui:http://www.unilibro.it/find_buy/result_registi.asp?regista=Aki+Kaurismaki&idaff=0
– Preciso che per cineforum intendo al limite il De Amicis a milano che proiettava pellicole di Tarkovskij altrimenti introvabili, ma i film preferisco vederli a casa mia anche perchè i cineforum hanno spesso una qualità audio/video/acustica di merda.
Per quanto riguarda The Passion, per me è un film straordinario proprio per il realismo che ha rispetto al tradizionale bisogno di credere banalizzato e parrocchializzato. Nell’impasto di cristianesimo americano e tradizionalismo europeo, questo film sulla Passione, girato e doppiato in lingue come l’aramaico e il latino che nessuno conosce più, è arrivato come un alieno. Della sublime reticenza dei Vangeli questo film non ha nulla, mette in scena tutto quello che essi tacciono per lasciare di fronte al più grande sacrificio della storia, e lo dico da ateo. Là dove i Vangeli si limitano a dire che Gesù è stato flagellato (tre parole in Matteo, Marco e Giovanni, nessuna in Luca) Gibson ci ha semplicemente ricordato che cosa voleva dire, e voleva dire quello.
La scena della flagellazione è una delle più crude e lunghe: lo spettatore deve assistere a più di un centinaio di frustate, alla progressiva distruzione del corpo di Cristo e al sadismo compiaciuto dei carnefici romani e dei giudei. Pensate che fosse una cosa molti diversa?
Anche per descrivere la crocifissione gli apostoli si servono di un’unica frase di Giovanni che dice “Nessun osso di lui sarà spezzato”, e in The Passion neppure questa affermazione viene smentita; a Cristo viene trafitto il costato con una lancia mentre ai due malfattori vengono spezzate le gambe.
I dialoghi di Gibson sono tratti perlopiù dal Vangelo di Giovanni che è quello anche più fedele circa le dispute fra i sacerdoti del tempio e Pilato: e infatto solo nel vangelo di Giovanni Gesù crocifisso afferma rivolto alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”, e rivolto al discepolo prediletto: “Ecco tua madre”.
Se uno è un’insensibile, un giovinastro senza spessore, di quelli che realtà e finzione fa lo stesso, vede The Passion e resta indifferente. Per gli altri, la cosa notevole del film è perlomeno la capacità di far sì che ciascuno vi proietti i propri fantasmi personali. Magari, beninteso, per odiare il film. Nel mio caso, che ripeto non sono credente, ho vissuto la storia con la tensione di chi vede una storia vera e realista, lontana milioni di miglia dalle improbabili ambientazioni alla De Mille con stupende voci di doppiatori fighi e con fonetica alla Gassman; e per un lunghissimo attimo ho provato a immaginare, ripeto per la terza volta da non credente, che possa esser stato tutto vero, che quello fosse davvero il figlio di dio e che noi gli abbiamo fatto quelle cose. Perchè all’epoca si facevano quelle cose.
E’ un film verista. Troppo facile evocare altri film o il solito “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini. Quando i testimoni raccontarono nei Vangeli ciò che era accaduto non avevano bisogno di entrare nei dettagli. Chiunque sapeva che cos’è una flagellazione, che cos’è la morte in croce.?Gibson non neanche poi così crudo: dice come i Romani sovente ammazzavano. E non erano neanche i peggiori.?Durante la fustigazione spesso i condannati morivano dissanguati.?La croce poi era un supplizio: i condannati dovevano morire lentamente e soffrendo, così si insegnava al popolo l’obbedienza, col terrore e col sangue.? Tacito racconta che Nerone, dopo l’incendio di Roma, aveva fatto crocifiggere molti cristiani: alcuni in basso per essere dilaniati dai cani, altri più in alto; venuta la sera, cosparsi di bitume, avevano illuminato, bruciando, la festa che si svolgeva nei suoi giardini.?La crocifissione di Gesù non era arrivata a tanto.?Chissà se Gibson farà un film su Nerone, tanto per restituirci un senso della storia che a scuola certo non t’insegnano.
STANDING OVATION.
Condivido, davvero.
Alleluia, una risposta. Il film non mi ha fatto né caldo né freddo nonostante il mio (recente) passato da credente evangelica fatto di Bibbia alla mano praticamente tutti i giorni. So che lui ha sofferto per tutti noi, ma la scena della flagellazione non mi ha commosso per niente, né quando, trasportando la croce, si rialza e parla alla madre, né quando viene crocifisso né quando muore. Ora tutte le persone che conosco e che lo hanno visto ne sono rimaste sconvolte o affascinate. A me piace solo vedere che schiaccia il serpente o il diavolo che passeggia tra la folla durante la flagellazione, se non sbaglio. Per il resto, amen.
E quando lascia il sepolcro.
Sì, Facci, hai ragione: The Passion è un alieno per la nostra tradizione cattolica.
Se posso aggiungere qualcosa, è un alieno familiare, dall’aria vagamente sciita. Il gusto tipico per il martirio sanguinoso,la flagellazione, ecc. ecc… ricordo pezzi, al tempo, sul successo di The Passion in Libano o in Egitto, dove ci sono copti e maroniti, ma anche sciiti.
Gente a cui piace molto l’esibizione insistita del sangue. E vabbè. Forse ci siamo sciitizzando tutti quanti.
Il problema è che lo facciamo alle spese della verosimiglianza fisica. Perché insomma, non c’è niente da fare: se hai un collare al collo e ti lanciano giù da un burrone, e resti appeso, il collo ti si spezza e muori. E finisce lì, dopo mezz’ora di film.
Se questo per te è realismo, ok.
Se la fonetica di Gibson ti sembra diversa da quella di Gassman, è solo perché ti hanno fregato col bidone del latino. Ti sembra realismo, ma è solo una marca diversa di fiction, più simile alle produzioni indopakistane. Ma te la ricordi la luce che c’è all’inizio nel Getsemani? E’ una roba che sa di riflettore lontano da un miglio. Le visioni in digitale? Realismo? I trenta denari stile Matrix? La gag di Gesù Cristo che inventa il tavolino? Ma dai.
I latini flagellavano. E’ cosa nota: voglio dire, Gibson in realtà scopre continuamente varietà di acqua calda. I latini flagellavano anche a morte. A volte si fermavano quando vedevano il bianco delle ossa. Il fatto è che non possono aver flagellato Cristo così tanto, se lo stesso Cristo poi è spirato dopo diverse ore in croce. Sempre se partiamo dal presupposto che Cristo fosse un uomo (prospettiva laica) o si fosse fatto uomo (prospettiva cattolica). Altrimenti sì, ci sono i deliri della famosa beata che ha sognato un Cristo-superman che soffre ad oltranza.
Però non parlate di realismo. Dite la verità: avete assistito a due ore di tortura disumana e vi è piaciuto. Non c’è bisogno di scomodare nessuna pretesa artistica: anche perché il film è girato male, scritto male, interpretato male, montato male.
Però il sangue vi piace. Ok.
The Passion è un film meraviglioso, rivoluzionario nonchè il film più realista su Gesù Cristo mai giurato.
Saluti a tutti.
Ora Leo è regista. Ci apre di nuovo gli occhi e resta sempre sul punto con l’ostinazione di un mulo. Addirittura ci spiega che cosa abbiamo visto con i nostri occhi.
The Passion non è realista in assoluto, ma in rapporto ad altre trasposizioni edulcorate e alla “sublime reticenza dei Vangeli”, come dice FF.
L’esempiuccio del collare al collo è fantastico. Da tramandare ai posteri, nel caso fossero attirati da una qualche forma di fede o dai trucchetti cinematografici.
The Passion magari è un film pulp o espressionista. Gibson ha una sua originale capacità di deformare le fonti più note privilegiando l’emozione attraverso l’uso della violenza, in qualche modo giustificata dal contesto. E le fonti più note in materia non sono le cronache degli storici o i filmini di youtube. Quindi, non ha senso tacciare il film di non verosimiglianza. Non si tratta di prendere il metro e misurarne la credibilità, oppure di assimilare velocemente crudezza a realismo.
Comunque sono ammirata dalla vostra memoria dettagliata.
Non ricordo così bene tutte le scene. Ho visto il film una sola volta, al cinema. Ma quella del Getsemani è una delle scene più belle, a presagire tutto ciò che seguirà. E il riflettore proprio non mi è venuto in mente. Sarebbe da chiedere a ciascuno dei beoti che si sono sorbiti l’aramaico e che gli hanno fatto incassare oltre 600 milioni di dollari. Quasi fosse un Titanic qualsiasi. Misteri della fede.
Ringrazio davvero Leo, sublime esponente degli Orfani del Dubbio, possessore della Verità, con la missione di rivelarla agli altri. Tutti gli altri. Che pur vedendo non hanno capito.
Leo, mavaffanculo, và….
Mah, veramente The Passion l’avete capito voi, non io.
Da leonardo.blogspot.com, giovedì, aprile 08, 2004
“Lethal Weapon, 5″
The Passion of the Christ è un film perverso.
Qui non è questione di sangue, chiodi, gatto a nove code. Di tutti i Gesù cinematografici, è indubbiamente il più splatter, perfettamente in linea con l’arte di Mel Gibson: quando per accomodare Gesù sulla croce i legionari gli tirano le braccia fino a incrinargli le costole, viene subito in mente Arma Letale. Ma in fondo, perché no? Se c’è piaciuto Jesus Christ Superstar possiamo anche provare Jesus, The Lethal Weapon. Purché sia chiaro che si tratta della libera interpretazione di un cineasta.
Invece questo è un film con delle pretese. Vorrebbe essere aderente al testo evangelico. Vorrebbe essere iper-realistico, raccontare la Passione “as it was”. Gibson non è il solito eretico alla Pasolini o alla Scorsese, no: lui si vende come il cineasta della Sacra Chiesa Cattolica Apostolica, con tanto di imprimatur. Vedi la storia per cui, quando il film è stato proiettato in Vaticano, il Papa avrebbe esclamato proprio “it is as it was”. Balla sapientemente propagata dall’ufficio stampa e più volte smentita. Tanto ormai l’effetto era ottenuto: mobilitare le comunità cattoliche ai botteghini.
Bene, è il caso di dirlo: le comunità cattoliche sono state truffate (come del resto le comunità protestanti e perfino quelle islamiche, che in Medio Oriente stanno apprezzando molto il film sul martirio del noto profeta palestinese). The Passion non è la Passione “as it was”. Non è nemmeno la Passione com’è raccontata sui Vangeli. Quello di Gibson è il Vangelo meno realistico e più apocrifo di tutti.
Cominciamo da una piccola cosa: la pronuncia. Si sa che gli attori hanno recitato in due lingue morte, l’aramaico e il latino. Il tutto per dare al film una maggiore “impressione di realtà”. È una sciocchezza, uno specchietto per le allodole, un trucco per mascherare la debolezza dei dialoghi. Se Gibson avesse avuto la metà degli scrupoli documentari che pretende di avere, si sarebbe almeno dato pena di far parlare i latini con la pronuncia del tempo, e non come dei poveri liceali italiani. Bastava un consulente serio – bastava un giro su Internet. Noi naturalmente non conosciamo la vera pronuncia dei Romani, ma abbiamo abbastanza elementi per sapere che non parlavano come gli attori di Passion. Pilato non poteva dire “Ecce homo”: al massimo “Ekke homo”. I legionari non potevano salutarlo al grido “Ave, Rex”: piuttosto “Aue, Rex”. “Flagellare” si pronunciava “Flaghellare”; “Stultitia” proprio com’è scritto, non “Stultizia”. E così via. Il latino degli attori di Passion è una lingua inventata, per niente realistica. Ma se non sei un addetto ai lavori, non puoi fare altro che cascarci. Passion è esattamente questo: un tranello teso a chi non maneggia bene la materia.
[…]E il cattolico “medio”, che il Vangelo lo ascolta a spizzichi una volta alla settimana, quando va bene? Entra in sala ed è convinto di trovarsi davanti alla Passione “as it was”. E invece si trova più spesso davanti al mondo immaginario di Mel Gibson – un mondo non privo d’interesse, popolato di mostri antropomorfi e aguzzini sadici – ma che sta al Vangelo più o meno come Lethal Weapon sta a Serpico. Era molto più onesto Jesus Christ Superstar. Almeno lì sapevi di non poterti fidare degli sceneggiatori. Ma il “realismo” di Gibson è un’arma subdola. “Fidatevi”, sembra dire, “le cose sono andate così…” Uno si fida. Come fai a non fidarti? È talmente serio che ha i sottotitoli…
Che idea, per esempio, portare il diavolo nell’Orto degli Ulivi. In realtà Satana, in quanto personaggio, è quasi del tutto assente dai Vangeli. Solo una volta si racconta di un colloquio tra lui e Gesù, durante un digiuno di 40 giorni nel deserto. Il diavolo non è mai descritto fisicamente. Per Gibson è una donna calva, che si compiace ad abbellire la Passione con siparietti da film horror di serie B. Perché?
Il Satana gibsoniano sembra raffigurare la disperazione, che tenta continuamente Gesù cercando di convincerlo a rinunciare al martirio. (Non a caso il regista racconta di avere avuto l’idea del film “mentre pensava al suicidio”). Nell’Orto degli Ulivi il diavolo solleva appena un po’ la gonna e fa uscire un serpente a sonagli: sembra suggerire a Gesù un modo spiccio per farla finita ed evitare la Croce. Gesù ci pensa un po’ su, poi schiaccia il serpente di tacco. Scena efficace: ma totalmente inventata. Tra noi si era sempre pensato che l’esitazione di Gesù di fronte al martirio fosse un tratto di umanità. No, per Gibson ogni tentennamento proviene dal demonio.
(Lo stesso vale per il delirium tremens di Giuda: la sua disperazione non ha nulla di razionale, è un incubo popolato da mostri).
Altra macroscopica invenzione gibsoniana è l’incredibile resistenza di Lethal Jesus. “Vir robustissimus”, come dicono più volte i legionari. Ma anche una persona robusta, sotto tutte quelle legnate, non arriverebbe al secondo tempo. Perché tanto sadismo? Riguardo alle torture, i Vangeli sono estremamente spicci. Qui sembra che l’immaginazione di Gibson si faccia prendere un po’ la mano, come gli aguzzini romani che, una volta presa in mano la frusta, non riescono più a fermarsi. Tutto questo va sotto la voce di realismo. Ma lo è davvero? È realistico un Gesù che riceve più di sessanta frustate e poi si porta la croce fino al Golgota? È realistico un terremoto che squarcia il tempio in due (quando tutte le versioni ragionevoli del testo parlano solo di “velo del tempio” squarciato a metà?)
Più in generale: cosa c’è di “realistico” in Passion? È “realistica” la moviola stile Matrix nelle scene d’azione (che ha un po’ rotto, tra parentesi)? È “realistica” la roboante colonna sonora, che ci tiene sulle spine casomai ci distraessimo con le luci di emergenza? È “realistica” una scena notturna con una Luna da centomila watt? (E si sentono già critici parlare di “luce caravaggesca”…) Passion in realtà non è più “realistico” di qualsiasi film in costume holliwoodiano con effetti digitali. La perversione sta nel volersi presentare come qualcosa di più: un’esperienza religiosa, da consumarsi nelle sale più vicine.
Prima o poi dovremo liberarci anche da questa idea. Che vedere il sangue sullo schermo basti a farci sentire partecipi di un dolore. Che una lacrima sul grande o piccolo schermo sia sufficiente a farci piangere. È una cosa che amiamo raccontarci: in realtà non piangiamo e non soffriamo, stiamo seduti in poltrona e ci saziamo d’immagini. Gli aguzzini di Gibson infieriscono sul corpo di Cristo nel tentativo di far passare un po’ di dolore dall’altra parte dello schermo. Hanno un bel da frustare e frustare, non funziona più. A chi in questi giorni volesse sentirsi un po’ in comunione con Gesù martire consiglio di riempire uno zaino (non eccessivamente) e farsi una salita di montagna. Dopo qualche chilometro avrà capito più cose della passione di Cristo che uno spettatore di Lethal Weapon 5. Spendendo anche meno.
Leo, sei pedante e un po’ stucchevole con questa tua voglia di dimostrare quanto sei critico e intelligente. O forse sei solo molto giovane, non so. La verità, in questo caso la verità di un film, la sua autenticità e capacità di toccare certe corde non è direttamente proporzionale al realismo di cui sproloqui.
ANCORA GIOPANA?!
Un tizio, osannato per anni, viene indiziato per un cosiddetto reato ideologico.
Un informatore prezzolato, una notte, conduce la polizia in un giardino dove il tizio sta intrattenendosi con due amici: viene arrestato.
Lui non resiste, ma gli amici sì: rissa, gli agenti lo malmenano, finisce in questura dove è atteso trepidamente perchè l’operazione era preparata da tempo.
Viene interrogato per tutta la notte e lui si limita a confermare le proprie convizioni: il questore, verbalizzato il tutto, ritiene che vi siano gli elementi per condannarlo per direttissima.
Prima del processo viene malmenato ancora, e il giorno dopo il giudice se ne accorge: ma fa spallucce perchè intanto ha deciso la propria incompetenza territoriale e se ne lava le mani.
Tra una scartoffia e l’altra – mentre tizio continua a prenderle – la Suprema Corte decide che la competenza territoriale era giusta e lo rispedisce al giudice.
Sembra profilarsi una condanna minima (tizio è incensurato) ma la pubblica accusa fa il diavolo a quattro e fa capire che per le istituzioni sarebbe uno smacco.
Un teste, presente la notte dell’arresto e già intimidito dagli agenti, rinnega l’amico.
Morale: condanna al massimo della pena nel silenzio della stampa (non c’era) senza che l’avvocato d’ufficio presenti neppure appello.
Durante l’ennesima traduzione, tizio viene ancora durissimamente malmenato. Un calvario. Solo un’ampia pubblicistica, molto tempo dopo, ne riconoscerà l’innocenza.
Ne hanno tratto un film, si chiama The Passion.
Giopana, a nessuno frega niente se sono giovane o vecchio, stucchevole o no. Si parlava di Mel Gibson, lui si è interessante.
Tu parli di verità, verità, ma la verità qual è?
Giuda soffriva di Delirium Tremens?
Satana va in giro coi serpenti tra le gambe?
Cristo è veramente quel falegname innovativo che Gibson suggerisce sia stato? Ah, quid est veritas, davvero.
Da dillinger.blog.tiscali.it/hz1390135/
(Sperando che Dilinger non me ne vorrà).
“Esilerante. The Passion è un film veramente esilerante. Ma non andate a dirlo alla signorina con fidanzato che occupava la poltrona alla mia destra ieri sera, e che a tre quarti d’ora dalla fine ha cominciato a singhiozzare, prontamente abbracciata e rincuorata a suon di baci dal suo compagno. No, quella vi dirà che The Passion è un film vero, intenso, violento perché così successe veramente, e non ci si può non commuovere di fronte alla visione di quell’uomo martoriato nel corpo ma incrollabile nello spirito, non si può non sussultare di fronte a quei brandelli di carne che se ne volano via strappati dalle fruste di cuoio dei romani flagellanti. No, se riesci a ridere di tutto questo vuol dire che sei insensibile.
Sì, ha ragione signorina. Sono insensibile. Ma non (al di là del mio non essere, oggi, credente) verso il dolore di quell’uomo, ma verso la rappresentazione, questa rappresentazione, del suo dolore. Le dirò: ieri ho provato molta più afflizione, e rabbia, vedendo al telegiornale 3 minuti di mattanza delle foche in Canada, che non in 126 minuti di filmica e spettacolarizzata macellazione di un corpo umano. Vede, signorina, il problema credo sia proprio qui: nel tipo di rappresentazione, e non nel soggetto di questa rappresentazione, che, non me ne voglia la sensibilità religiosa di nessuno, alla fine è lo stesso. In quei tre minuti di telegiornale c’era molta più atroce, secca e insopportabile verità, che in tutto il film di questo regista invasato con una sola missione da compiere: quella di sbancare il botteghino. Missione riuscita, perché la violenza fa spettacolo, e la gente la vuole vedere, anche se fa finta di no. Diciamocelo: molto del successo del film dipende proprio da questo. Lo spettacolo della violenza, specie quando morboso, attrae sempre noi stupidi e avidi curiosi. Intendiamoci: di film violenti ne ho visti, e non me ne sono mai scandalizzato troppo, ma di una violenza così assolutamente compiaciuta e insistita non credo (e adesso provate a dirmi che sono violenti i film di Tarantino). L’unico gesto etico di fronte a un film del genere è alzarsi e uscire dalla sala. Rifiutarsi di assistere a questo spettacolo. Non l’ho fatto, e un po’ me ne pento.
Non l’ho fatto anche perchè le dirò, signorina, io ho riso parecchio. Quando? Ogni volta che Monica Bellucci contraeva le palpebre contrita dal dolore, non riuscendo a fingere, da quella pessima attrice che è, ma rivelando splendidamente tutto il falso di questa operazione. Ogni volta che Giuda veniva morso dai piccoli demoni con gli occhi deformati e i denti guasti. Ogni volta che quel diavolo tentatore incappucciato e senza sopracciglia appariva tra la folla. Ho riso ad ogni trionfo di ralenti (che fa molto “spettacolo”). Ho riso quasi ad ogni flashback. In particolare quando Maria, in un crescendo di musica epica, corre incontro al figlio caduto sotto il peso della croce, come quando accorreva ai capitomboli del piccolo Gesù, nel cortile di Nazareth. Ecco, quando quel corpo martoriato accarezzato dallo sguardo della madre e vilipeso dalla folla si rialza sollevando tutto il peso della croce, modello “uno contro tutti”, il mio personalissimo flashback mentale è volato irrispettosamente ad altre scene dove uomini crivellati di colpi camminano ancora, stoici ed irreali, barcollando in direzione del nemico, sotto il sole declinate di un tramonto da far west. E ho esclamato: ma allora sei un eroe! Ma poi, quando in braccio alla Celentano senza sopracciglia, è apparso Ciribiribì Kodak (ve lo ricordate? che sia lui o uno che gli assomiglia poco importa), non ce l’ho davvero più fatta a trattenermi. E ho pensato, mentre Ciribiribì guardava in macchina con quello sguardo da prendere per il culo: adesso ci scatta una foto ricordo, a noi qui seduti in platea a farci prendere per il culo. E ridendo ho capito tutto. E allora, davvero, non mi sono più trattenuto nemmeno di fronte a quel centurione romano finito a farsi la doccia sotto il costato appena trafitto di Gesù, con la stessa faccia sorpresa e contratta di un vacanziero ad agosto che, su una spiaggia assolata della Riviera, per pulirsi dalla salsedine, apre la doccia troppo fredda di un Bagno Margherita qualsiasi.
E infine, tutti questi turisti del dolore, adesso, in giro per i sassi di Matera a fare ciribiribì kodak. Come a Ground-Zero. In fondo, su un altro piano, non è la stessa cosa? Da ridere. O forse no, questa volta ha ragione lei, signorina. Da piangere”.
Esilerante veramente.
E’ partito il mouse su Google.
Se ne sentiva il bisogno.
Autorevole. Oltre che esilerante.
Concordo con henry smart ;-)
Bene, e anche i Maya – di essi, e assai poco di un film, parlava il mio post – li sbbiamo sviscerati.
Ora pensavo di fare un post su The Passion, che ne dite?
Ottima idea! Comunqe “The passion” l’avevo messo in mezzo io, solo che sono un pò deficiente per sostenere la conversazione, argomentare, espormi, etc. etc.
E, a parte ogni cosa, ci sono impedimenti tecnici. Evidenti.
@puntoevvirgola
6 1 grande
Finalmento ho visto l’Apocalypto.
Un film mediocre, di realizzazione tecnica a livello quasi amatoriale. Se ne parla tanto solo perchè qualche imbecille si è inventato delle polemiche pretestuose e qualcun altro sostiene che è un capolavoro tanto per fare il bastian contrario.
In realtà le polemiche sulle idee di Gibson non hanno senso, e il film è totalmente inutile e di una banalità sconcertante (neanche un po’ di squartamenti decenti mi han fatto vedere).
Dimenticavo di aggiungere:
F.F. scrisse: “Se uno è un’insensibile, un giovinastro senza spessore, di quelli che realtà e finzione fa lo stesso, vede The Passion e resta indifferente.”
Considerando che The Passion è un film, quindi finzione (che qualcuno scambia per realtà solo perchè il protagonista si chiama Gesù), questo discorso è semplicemente ridicolo.
E se facessimo un post su Ranma 1/2 eh ff?
Sull’Apocalippo, un paio di opinioni divertenti.
unodipassaggio.splinder.com:
“Si mormora in giro che in fondo sia solo un film d’avventura. Forse sì ma maledettamente serioso e un po’ disonesto. Perchè non avendo forse la tempra necessaria per sporcarsi le mani col genere nudo e crudo, intontito da deliri autoriali, Gibson ammanta declamatoriamente la sua storia del Grande Messaggio fin dalla didascalia iniziale, nonché di un (presunto) rigore filologico per quanto mi riguarda pleonastico e degno di miglior causa.
Le grandi civiltà vengono conquistate dall’esterno solo quando si sono distrutte dall’interno. All’ombra della logica di questa giustificazione ideologicamente discutibile e velatamente interventista, lo sbarco finale degli spagnoli ha ben poco di minaccioso e molto di inevitabilmente necessario. Sono destinati a scomparire questi indigeni marci e in fondo sconosciuti che probabilmente custodiscono all’ombra delle loro piramidi insanguinate armi di distruzione di massa. E se non le hanno, che scompaiano lo stesso. Perchè così è scritto da qualche parte e così ha detto qualcuno. O Qualcuno.”
giovanecinefilo.splinder.com:
“Si sarebbe tentati, forse proprio per l’estrema ingenuità e per la rozzezza con cui è girato questo mastodontico e interminabile pachiderma da corsa, condito pure dalle risaputissime musiche tribali di James Horner e da dialoghi che (come già fatto notare altrove) nascondono la loro insopportabile banalità dietro il trucchetto del fascino della lingua madre (inutile e perfino dannoso quando non si hanno pretese documentarie bensì idelogiche e/o di intrattenimento), a non demolirlo in toto, a fare in modo che passi inosservato e che qualcuno se ne innamori pure. Che si divertano pure!, a vedere questa cartolina traballante e sentenziosa, questo Rambo dell’isola di Pasqua, questo film d’avventura pura ma ossimoricamente noiosissimo e pretenzioso, quest’opera capace – come già in The passion – di mandare al macero delle buone, o almeno scaltre, idee progettuali”.
Sbirulì,
pur con tutta l’antipatia che mi suscita, non credo proprio che F.F. possa aver scritto “un’insensibile”.
Ehi io ho fatto un copia incolla.
Può anche essere che io abbia attribuito a F.F. una frase scritta da altri (al momento non la trovo), nel caso me ne scuso con l’interessato e rivolgo la mia obiezione al vero autore.
Non solo nel commento 25.01.07 17:11 ha scritto “un’insensibile” – e Virginia non ha avuto niente da obiettare…
Ma nell’articolo del Foglio, se guardate bene, ci troverete anche “un’improbabile deficit”: è talmente improbabile che è diventato femminile, il deficit.
Non male.
Certo, anche “esilerante” era “esilarante”.
morosita, vai a magnà e nun rompe er casssso. cci’ tua
Mi si invoca anche in contumacia?
Ora, Basta!!!!!
Morosita, l’inimitabile.tlin.
Bimbi?! E voi calmi,su. Buoniiini.
(Non puoi gettare l’osso che s’acciuffano. E mamma mia! Manco ci capissimo davvero qualcosa, noi..).
Più che “sviscerato”,l’argomento Maya è stato ampiamente “eviscerato”.A quando un nuovo argomento?
Cazzo, ora mi avete messo il dubbio.
Devo correre in bagno e srotolare le strisce fatte con “il foglio” alla scoperta di apostrofi sospetti… e se fossero su quelle che ho già consumato?
Bleek,
tu manco c’hai un cazzo da fare, vedo…
(buona la seconda, cmq ;)
Leo ma per caso fai il correttore di bozze, sei vittima di una deformazione professionale?