Ma era poi così spietato, questo popolo Maya? Davvero questi signori smembravano corpi e strappavano cuori con le mani? Veramente mozzavano teste che poi facevano rotolare verso le genti che bramavano sangue? Siamo sicuri che giunsero a sacrificare anche ottantamila prigionieri in soli quattro giorni? Possiamo realmente credere che fossero cannibali? Ma non è la stessa civiltà che a scuola ci descrivevano come avanzata nelle scienze e che aveva elaborato mappe celesti e concetti algebrici complessi? Non era insomma una società evoluta? Vogliamo davvero ritenere probabile che fossero sanguinari e spietati come li ha descritti Mel Gibson?
Sì.
La discussione su Apocalypto impazza in tutto il mondo, ma almeno su questo c’è una buona convergenza: la storiografia sui Maya negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante, e sono lontani i tempi in cui Jane Fonda sparava che “i Maja avevano una migliore religione di quella imposta con la violenza dai cristiani”, e pure lontana, tutto sommato, appare anche la retorica relativista di Eduardo Galeano che in “Memoria del fuoco”, ancora nel 1989, sosteneva che “I sacrifici umani li facessero anche in Europa”.
La ricerca storica più aggiornata, tra distinguo vari, ammette che i massacri descritti da Gibson sono sostanzialmente fedeli, e ritiene verosimile che abbiano potuto inorridire persino un avventuriero non di primo pelo come lo spagnolo Hernàn Cortès. Ammessa definitivamente tra le fonti di prova, dunque, anche la concitazione descrittiva di Bernal Diaz del Castillo, uno dei conquistadores spagnoli che dovette assistere al sacrificio di alcuni compagni:
“Vennero suonati un cupo tamburo e molte altre buccine e corni e strumenti come trombe, e il frastuono era terrificante, guardammo in direzione della grande Piramide da dove giungeva il suono, e vedemmo che i nostri compagni venivano portati a forza su per i gradini per essere sacrificati. Quando li ebbero portati sulla piccola piazza, davanti al santuario dove sono custoditi i loro maledetti idoli, vedemmo che gli mettevano delle piume sulla testa dei ventagli in mano; li costrinsero a danzare, e dopo li stesero riversi su pietre piuttosto strette preparate per il sacrificio, e con coltelli di pietra squarciarono loro il petto ed estrassero i cuori palpitanti e li offrirono agli idoli. Quindi, a calci, gettarono i corpi giù per la gradinata, e i macellai che li attendevano sotto tagliarono le braccia e i piedi e scuoiarono la pelle dei volti, e quindi la prepararono come fosse pelle da guanti, con le barbe, e la conservarono per le loro feste. Allo stesso modo sacrificarono tutti gli altri, e mangiarono le gambe e le braccia, offrirono agli idoli i cuori e il sangue”.
Andrebbe specificato che la carne umana veniva accompagnata con del mais, e che il Gran Sacerdote usava un pugnale di pietra con un manico a mosaico. Gibson mostra un pugnale del genere, ma in mano a un guerriero, e cannibalismi invece niente. Questo pugnale veniva piantato sotto il capezzolo sinistro per poi farsi largo nella cassa toracica, dopodichè il cuore, ancora pulsante, veniva strappato a mani nude.
I Maya credevano che sacrifici come questi, grazie all’energia liberata durante l’esecuzione, potessero sanare gli squilibri fra le forze cosmiche.
Lo storico dell’università di Harvard David Stuart, coautore di quattro fondamentali libri sui Maya, ha smentito che questo popolo si cibasse di carne umana per un’improbabile deficit di proteine: il cannibalismo era una parte integrante della loro cultura. I Maya credevano di vivere in una sorta di Quinta età che sarebbe stata distrutta come le quattro precedenti, e i sacrifici servivano soprattutto a scongiurare il tramonto del Quinto Sole: ma le ricorrenze buone per offrire altre vite agli dei erano almeno altre diciotto, tre per la pioggia, una per l’acqua, due per il mais, sei per diverse divinità femminili e una per ciascuno degli dei supremi.
La procedura di ammazzamento cambiava ogni volta: le vittime immolate agli dèi della pioggia per esempio venivano affogate, quelle immolate agli dèi del fuoco erano arse vive, gli altri finivano perlopiù decapitati o trafitti. C’è il caso particolare del giovane scelto per il sacrificio del quinto mese, trattato con riguardo per un intero anno e corredato di quattro spose nei venti giorni precedenti l’esecuzione: poi gli veniva strappato il cuore. Gli spagnoli furono colpiti anche dal cosiddetto Sacrificio gladiatorio: il prescelto, un guerriero nemico che avesse dimostrato indubbio valore, veniva armato con un arma avvolta nel cotone e costretto ad affrontare quattro avversari; nel caso fosse sopravvissuto, doveva affrontarne un quinto ma stringendo il pugnale con la mano opposta rispetto a quella abituale. Alla fine veniva scorticato, e un sacerdote indossava la sua pelle. Il fatto che i sacerdoti Maya fossero astronomi eccezionali non contrasta con la scena dell’eclissi proposta da Gibson, fenomeno che i sacerdoti Maya paiono riconoscere, per quanto lo colgano come un presagio.
Gli storici, di cui non forniamo tedioso elenco, concordano nondimeno anche sull’improbabilità di alcune testimonianze diffuse per giustificare le indubbie crudeltà dei conquistatori europei.
Andrès de Tapia, soldato di Cortès, per dire, raccontò di un altare con 136mila crani sospesi con dei pali che li trapassavano per le tempie: ma messi uno accanto all’altro coprirebbero un perimetro di 130 chilometri.
Per l’inaugurazione del tempio di Tenochtitlan, poi, nel 1487, le fonti parlano di 80mila vittime uccise in soli quattro giorni e in quattro punti di diversi: ma anche ipotizzando un sacrificio al minuto, decapitando e scuoiando giorno e notte, i Maya avrebbero dovuto impiegare non meno di cinquanta giorni.
E’ ritenuto plausibile, per contro, che ad aver riempito d’orrore gli spagnoli di Cortès possano esser stati i centoquattordici gradini insanguinati del Tempio Mayor di Mexico, ma ecco, è qui che comincia il casino.
Le discussioni e le polemiche sul film di Gibson, infatti, perlomeno ad alto livello, riguardano solo in minima parte la questione dello splatter, o tantomeno, come in Italia, le eventuali metafore sullo scontro di civiltà o sull’adorazione di dèi falsi o sul saccheggio della natura. Il punto di discussione è se i Maya descritti da Gibson fossero effettivamente Maya, e non, come resta probabile, Aztechi.
A complicare le cose è il fatto innegabile che il sacrificio umano fu praticato in tutto il mesoamerica da diverse popoli, anche se la palma delle efferatezze pare appartenga appunto gli Aztechi, popolo che persino molti studiosi scelgono di confondere deliberatamente con i Maya così da chiudere ogni diatriba.
Non servono grandi ricognizioni storiche per accorgersi che in effetti qualcosa non quadra. Sul sito del Corriere della Sera, nei giorni scorsi, bastava cliccare sulla pubblicità che prefigurava “Il Messico dei Maya sulle orme di Apocalypto, il film di Gibson” per accorgersi che le orme portavano a rovine non Maya ma azteche.
Sono i tempi a non quadrare, più che i luoghi. La cronologia dei Maya è quella che è, sicchè lo sviluppo delle grandi città risale almeno al 300 dopo Cristo, quando cioè si affermarono tipi architettonici costanti (tra questi il tipico tempio-piramide a gradoni) e insomma quando l’apogeo di questo popolo, attorno all’anno Mille, coincise con la sua rapida e misteriosa fine. E’ appurato che le grandi città vennero progressivamente abbandonate, e non è chiaro se ci sia un legame diretto con l’eccezionale siccità che portò carestie e desertificazione, sta di fatto che i Maya vennero progressivamente sopraffatti dai Toltechi e che lo spagnolo Cortès, quando il 10 febbraio 1519 sbarcò nello Yucatan, trovò sì uragani e pestilenze come descritto dal film di Gibson, ma le popolazioni strettamente Maya erano ormai da tempo disperse e balcanizzate.
E’ vero che nel film non si capisce benissimo la zona, ma il periodo è quello, e non v’è dubbio che attorno al 1500 di templi Maya ancora attivi non ne esistevano più da secoli. L’area Maya era certo gigantesca, e culti e cerimonie non saranno decadute tutte nello stesso tempo: ma il gigantesco centro cerimoniale che si vede nei trailer, e poi nel film, secondo gli studiosi non può che essere quello di Tikal, il più grande ritrovato sinora e che però si trova nella zona del Peten, in Guatemala, in piena civiltà azteca.
Vero è che dal Belize, passando per il Guatemala sino al nord del Messico, ci sono state svariatissime sovrapposizioni di popoli, partendo dagli olmechi e passando quindi ai Maya che raggiunsero il proprio zenith nei primi secoli dopo Cristo, prima di essere rimpiazzati dai Toltechi e poi dagli Aztechi.
Resta che gli Spagnoli, storicamente, in America latina si ritrovarono a combattere seriamente con due sole popolazioni semi-civilizzate: gli Aztechi nel Messico settentrionale e gli Incas in Perù.
Gibson in sostanza ha posticipato di un mezzo millennio la grandezza militare e religiosa dei Maya, e ha traslato di almeno un paio di secoli i segni incontrovertibili della loro decadenza, ciò che più gli interessava. I Maya del 1500 erano di fatto degli indigeni senza arte nè parte, non troppo dissimili dal gruppo linguistico che è sopravvissuto sino ai giorni nostri.
La sola spiegazione che taglia la testa al toro, oltrechè alle centinaia di vittime del film, è che Gibson si sia limitato a far proprio il senso comune di tutte le persone normali che non abbiano passato la vita a studiare il Sudamerica: ha considerato Maya e Aztechi, ossia, come la stessa cosa, peraltro dediti ai medesimi sacrifici indubbiamente notevoli.
Gibson non ha dunque dimostrato la preparazione storica per esempio di un Maurizio Porro, che sul Corriere della Sera ha ribadito a più riprese che il film è “zeppo di errori”.
Tantomeno Gibson ha osato l’accuratezza ricognitiva di Natalia Aspesi, che su Repubblica del 4 gennaio si è detta certa che il popolo in questione trattavasi non dei Maya, e neppure degli aztechi: erano i Toltechi.
Da non confondere con gli Huaxtechi e coi Zapotechi.
(Il Foglio, 24 gennaio)
A parte la correttezza storica, non mi piacciono le scene crude, che tra l’altro ben poco apportano al film..
ps. ti devo chiedere scusa, una volta in un blog ho scritto peste e corna di te.. :) mi perdoni?
anvedi la Aspesi, chi l’avrebbe mai detto…
Non ho ancora visto il film e bramo in tal senso, ma neppure tanto. Sono scettica a-priori e non mi meraviglierei di scoprire che Gibson, come tanti cazzoni americani, abbia fatto confusione.
La realtà sanguinaria, sempre così “comoda” per i posteri, sarà stata certamente esasperata seppure non fu aliena a questo popolo,la cui civiltà, come è noto, spero, fu avanzatissima e all’avanguardia per tanti aspetti.
Morosita Piumata
e finalmente ho un piccolo apparato di argomenti incontrovertibili
da propinare al prossimo rompicoglioni che mi chiederà se ho visto il film.
grazie facci.
Un momento, forse non è chiaro: io giudico il film bellissimo, assolutamente da vedere.
Fossero Maya o Aztechi, o entrambi, poco ci cambia: è uno splendido documentario per adulti e tutta questa violenza peraltro non c’è, se non in termini di verismo che sarebbe stato artificioso dissimulare.
Rodo, nun lo guardà, dai retta a me!
Di sicuro,stesse cazzate di “Passion”, con la chicca che lì si parlava in aramaico e latino per stupire gli astanti.
A parte la Bellucci, una dea, che in quell’occasione fu anche meno “cagna” (cinematograficamente parlando),ricordo ben poco.
A, dove hai lasciato tuo fratello.?
In ogni dove ti troverò.
?
Domanda senza malizia: ma l’arrivo delle caravelle non è una semplice premonizione di ciò che accadrà circa trecento anni dopo, anche se essendo nel film stilisticamente non discontinua non si direbbe? Così almeno avevo letto per bocca dell’autore, anche se non ricordo dove. Questo chiarirebbe meglio di chi, cosa e quando si sta parlando.
Paolo: non mi risulta.
Morosita: spero di conoscerti mai. Ogni tanto capitano delle cose che fungono magicamente da spartiacque, e The passion è una di queste. Non ho incontrato una sola persona, a cui il film non sia piaciuto, che poi piacesse a me.
Rodo: il mio consiglio è di andare. Di sicuro non ti annoierai.
Pensi, dunque, che dovrei impiccarmi? In prossimità dello spartiacque? Il criterio di preselezione cinematografica è valido e incontrovertibile almeno come quello del telefono
Ma no che non devi iimpiccarti, Morosita. Sii felice, che probabilmente sei pure portata. A una che sceglie di chiamarsi Morosita nessuno del resto chiede particolare competenza o sensibilità cinematografica.
Oddio: a meno di certi altri film. Filmini, diciamo.
Bravo, Facci, per una volta dimostri di capire!
Sì, in effetti, capisco una minchia di film(tanto per restare in tema).
……come mi capisce lei, meno male che l’hanno inventata! Comporrò per Lei un epitaffio in aramaico.
Bravo, Facci, per una volta dimostri di capire!
Sì, in effetti, capisco una minchia di film(tanto per restare in tema).
……come mi capisce lei, meno male che l’hanno inventata! Comporrò per Lei un epitaffio in aramaico.
qualcuno ha una nocciolina?
Come hai fatto? E muoviti!Aahhh..(ho la bocca aperta da mezz’ora e avrei anche una lussazione al condilo destro).
qualcuno ha un fazzolettino?
Mah, neanche a me è piaciuto The Passion. E quel tavolo che “Gesù” costruiva affiancato nella scena solo dalla mamma. Tipica famiglia ebrea dell’epoca. Davvero.
altro che cinema aò
er grande cinema se fa qua.
ci vorrebbe del popcorn.
lA verosimiglianza della pellicola alla storia è accettata,cinematograficamente parlando;sono numerosissime le pellicole che hanno avuto successo,pur non rispettando la verdicità degli eventi narrati.Penso ad un film strepitoso che è “A beautiful mind” di Ron Howard:storia appassionante di un matematico fuori di testa e della sua battaglia vincente sulla schizofrenia.Dopo aver visto il film,ho letto la biografia di John Nash e di certo non si può dire che la versione cinematografica ne rispecchiasse fedelmente i contenuti.Eppure è stato detto che la trama di un film è spesso “addomesticata”,la fantasia che si intreccia alla realtà.Succede allo stesso modo per le pellicole controverse di Gibson,prima per The passion,ora per Apocalypto.Nel primo caso sono stati i vangeli apocrifi a suggerire la versione sanguinaria della morte del Cristo,scritti che già da secoli sono ritenuti commistioni di fantasia e fatti reali.In ogni caso,entrambe le pellicole sono imperdibili,a patto di non dimenticare che sono pur sempre “prodotti di largo consumo hollywoodiano”.
P.S. Anche in Apolycapto gli attori si esprimono in una antica lingua indigena e gli spettatori si “godono” i sottotitoli (come in The Passion)
P.S. “Anche in Apolycapto(IH IH IH)…”.toria di un polipo che si fa gatto, nel nome del padre e del figlio e di qualcos’altro.
“prodotti di largo consumo hollywoodiano”
Bravo, Margine, era esattamente quanto volevo asserire prima. Solo questo era il mio FONDAMENTALE commento.
“Passion” resta uno dei miei film preferiti (non ci credete, lo dico solo per un motivo).
“….largo consumo hollywoodiano..”: un film parlato in aramaico ed uno in “…un’antica lingua indigena…” ?
Sarei curioso di vedere la faccia del primo produttore a cui hanno detto che il film sarebbe stato in aramaico…
Perchè, Benso, secondo te l’avranno capito, i PRODUTTORI? Campa cavallo….
IO scherzo,eh? So’na sega IO.
Non vorrei essere sgradevole, Morosita, ma se non sai una sega (per ripetere le tue parole), puoi anche evitare di commentare. Specialmente se il film non l’hai visto.
Margine, non occorre scomodare i vangeli apocrifi per sapere che la morte di Cristo è stata atroce. Hai bisogno di una descrizione dettagliata per immaginare quanto possa essere terrificante morire dopo essere stato flagellato, aver trascinato il legno a cui verrai appeso su una collina e poi venirci inchiodato?
IO parlo come voglio e quando voglio e parlo, spesso, per partito preso.Anzi scrivo. E nessuno mi deve dare il permesso? OCCHEI?
Nell’ultimo libro di Isabelle Allende che ho letto, “Ines dell’anima mia”, è riportata la autobiografia di Ines Suarte, spagnola, fondatrice con Pedro de Valdivia di Santiago del Chile nel 1500. Descrive, tra l’altro, le barbarie che i conquistadores spagnoli perpetravano a discapito delle popolazioni indigene in nome di Cristo e quelle degli Indios stessi, in nome..del rispetto della natura umana. Il film non l’ho ancora visto, ma i pochi trailer mi hanno riportato alle immagini che “vedevo” durante la lettura, pur essendo ambientazioni diverse. Confesso che nulla di ciò che ho letto mi ha fatto figurare i nativi come barbari massacratori, piuttosto come figli di una natura selvaggia e non evoluta. E’ retorica?
Visto che siamo in tema, aggiungo anch’io un libro letto qualche anno fa: “La conquista dell’America” di Todorov. A proposito di barbari non evoluti.
Morosita, tu parli come vuoi e quando vuoi, ma poi se io chiudo i commenti è un problema che riguarda tutti perchè in genere è dovuto al basso livello che non hanno un cazzo da dire ma lo dicono male.
In particolare, poi, non fare la voce grossa com GIOPANA che sennò giuro che non c’è nick che tenga e giuro che ti trovo e ti faccio masticare da tutto il mio quartiere, e il mio quartiere non scherza un cazzo.
io di Gibson non capisco una cosa:
perché insiste tanto sulla verosimiglianza, e poi commette strafalcioni così evidenti?
Per esempio, far recitare i legionari di The Passion nel latino dei preti. E sbaglio o ci sono selle con le staffe in quel film? (Ma forse sbaglio)
Stavolta però è enorme. Confondere i Maya con gli atzechi è come scambiare i fenici coi longobardi. Per carità, al 90% del pubblico pagante importa una sega. Ma poi non insistere sulla verosimiglianza.
Questa mania di vendere splatter con l’etichetta di documentari.
Sarà un caso, ma questa storia della verosimiglianza, dell’addomesticamento, dell’irrealismo scatta sempre in presenza di film americani.
E tutti dotti a fare le pulci al polpettone americano.
Se Apocalypto o The Passion non fossero stati un “prodotto di largo consumo hollywoodiano”, ma l’opera di qualche bel cineasta da Festival, si sarebbe parlato di “rilettura” di testi o della storia.
Mereghetti sul Corriere parlava di grezza spettacolarizzazione, dei soliti trucchi emotivamente ricattatori cui fa ricorso Mel Gibson nei suoi film. Mentre in altri contesti avrebbe citato l’iperrealismo del messaggio o chessò d’altro.
Sicuramente non bisogna prendere le recensioni come oro colato. E il film di Veronesi è un esempio di quanto poco contino ai fini degli incassi.
Per tipi come Margine, largo consumo è sinonimo di hollywoodiano, pur dinanzi a pellicole girate in lingue incomprensibili e solo sottotitolate. Anche se si tratta di film imperdibili, è meglio non cadere in tentazione di fronte al made in USA.
Non ho visto Apocalypto, ma The Passion sì. Tuttora non riesco a dire di averlo trovato bello, perché è oltre. L’ho trovato assolutamente sconvolgente.
Come anche è stato sorprendente il successo di pubblico riscontrato per un film assai poco popolare.
Ma lei minaccia, ma come si permette?
Ma lei SA CHI SONO IO?
P.S. ma giopana è il mostro più cattivo che ci sia?
ohi, ohi, mi è semblato di vedele un facci. brrrr
me ne vado giurin giurello (volevo solo incuacchiare un post, ora posso andarmene…a magnà)
Ultima cosa:
sono ASSOLUTAMENTE d’accordo.
Scambiare fenici per aztechi, se è vero, è GRAVISSIMO. Almeno per NOI(?). Idem dicasi per latino “dotto” con patate.
Basta, non mi sbilancio più; ormai ho perso credibilità e torno nell’angolo dietro alla lavagna, coi CECI!
A mi è piaciuto molto la scena in cui il cattivo sta per uccidere uno dei protagonisti ma arriva danny glover che spara nella schiena al bastardo ,salvando il buono.
Poi pero’ a danny glover gli bruciano la casa.
Bel film.
Maya e Aztechi sono popoli quasi sovrapponibili per estetica, in parte per tempo, per usanze (quelle sacrificali descritte nel film) e ci sono studiosi che deliberatamente li considerano sinonimi.
Le selle con staffe non ricordo; sicuramente, nonostante non esistessero, c’erano ne Il gladiatore.
I testi di The Passion erano in aramaico per i vari personaggi ebrei e in latino per quelli romani; furono tradotti da padre William Fulco, direttore degli studi sul Mediterraneo, il che non significa che fossero fedeli.
Per Apocalypto era ancora più complicato perchè nella regione Maya/azteca (Yucatàn, Chiapas, Belize, Guatemala, Honduras ed El Salvador) si parlano tipo 30 lingue diveerse tutte riconducibili alle lingue maya. Gibson ha scelto il maya yucateco che è parlato da nello Yucatan e che è la lingua più conosciuta e studiata, ma alcuni Maya hanno protestato.
quale latino: è questo uno dei punti.
Con questo nessuno intende dare dell’idiota al grande filologo di cui sopra.
Ma che ha di tanto speciale The Passion? Possibile che solo a me non dica assolutamente niente?
Non lo so, quale latino. Credo che il punto (la velleità del regista) fosse non far parlare Gesù Cristo o un maya-azteco con la voce di Brad Pitt, così da calarci di più in quel tempo. Fdeli o similari, tanto noi non ce ne accorgiamo. Gibson c’è riuscito guadagnando milioni di dollari.
Dunque, “prodotto di largo consumo hollywoodiano” non significa invitare la gente a non andare al cinema o disprezzare le pellicole oltreoceano! E di certo il fatto che siano recitate in aramaico e che siano corredate di sottotitoli, non serve a salvarle dalla considerazione di pellicole “di largo consumo”.Basta solo considerare i numeri al botteghino di “The Passion”.Ancora vorrei aggiungere che non è certo la provenienza del regista che caratterizza un “prodotto di largo consumo hollywoodiano”;le ragioni sono ben altre (e non attengono con la verosimiglianza); che dire di autorevoli registi europei e delle loro incursioni nel cinema di “largo consumo”? Ken Loach (“Un bacio appassionato”), Lasse Hallstrom (“Casanova” e il recente “L Imbroglio”).Infine, non ho citato i vangeli apocrifi perchè ho bisogno di una descrizione dettagliata dei supplizi del Cristo..ma forse Giopana è ansioso di fornircela!P.S. Chiedo scusa a Morosita se ho battuto male Apocalypto: io farò confusione con le parole,lei con i nomi di persona,poichè Margine è un nome femminile.
scusa tu, sai com’è..pensavo fosse Margie, a cui, per sbaglio, ti era scappata una ‘n’.
P.S. Non ci credere
Marta, se volevi spararti una posa, hai scelto il film sbagliato.
The Passion tutto è tranne che un film che non dice assolutamente niente.
E non ha neppure senso scavare sulle origini del latino piuttosto che del presunto linguaggio indigeno o delle varie ramificazioni dell’aramaico.
Come se qui si fosse tutti poliglotti.
Margine, non ti arrampicare sugli specchi col largo consumo per The Passion, che non c’entra un bel nulla con gli incassi, Tanto meno con lo scavalcamento da parte di Ken Loach degli argini festivalieri (altrimenti dette incursioni). Senza peraltro i risultati di Mel Gibson.
Continua a frequentare i cineforum.
Io i cineforum li ho frequentati. Mie passioni rimangono Tarkovskij e soprattutto Herzog. E non cambia un cazzo. The Passion per me è un film rivoluzionario (Apocalypto non è paragonabile) ma se a qualcuno non ha detto niente non credo sia utile discutere.
Amen.
Amen a te, Margine. E resta al cineforum.
Io non li ho quasi mai frequentati. Ho passioni più popolari.
Quello che non sopporto è l’habit del frequentatore di cineforum. Quello che contempla una scena muta per ore e subito squittisce al capolavoro. Col solo scopo di far sapere il giorno dopo in ufficio di essere andato al cineforum.
Quando vado al cinema non mi sto preventivamente a preoccupare di errori di regia, annotazioni storiche, verosimiglianza e quant’altro.
Quando vado al cinema è perché ho scelto un film che voglio vedere, in base al soggetto e agli attori.
Poi mi siedo e cerco di estraniarmi dal mondo per immergermi nel plot. È una specie di rito.
Ma deve esserci un plot.
La contemplazione (non quella non sterile, alla Tafazzi) la riservo ai musei.
Sono incerta se andare a vedere Apocalypto, nonostante la mia insana predilezione per Mel Gibson.
Grazie, Filippo.
Morosita sono molto più di un mostro. Tanto che, anche al contrario di Facci troppo buono nel riconoscere il diritto alla parola (salvo poi il suo diritto di chiusura a commenti non pertinenti), ritengo che non tutti possano parlare e dire la loro, ma che debbano riscoprire l’umiltà, il sano pudore e la vergogna di dire minchiate.
Margine, ti rispondevo a margine, appunto, della tua affermazione “sono stati i vangeli apocrifi a suggerire la versione sanguinaria della morte del Cristo”. Perché, esistono versioni non sanguinarie di una morte per crocifissione a seguito di torture? Gibson non ha fatto grandi sforzi di fantasia, nè doveva ricorrere a chissà quali fonti, se non la storia. Ha solo rappresentato l’orrida realtà dello strazio di un corpo.
A Leo, invece, vorrei dire che nei film splatter c’è autocompiacimento nell’esasperazione della realtà e la violenza è fine a se stessa o, meglio, è fine alla reazione dello spettatore (di disgusto, orrore o anche riso).
In The Passion e in Apocalypto la violenza non è gratuita ma assolutamente e imprescindibilmente funzionale alla rappresentazione della sofferenza. Se poi questo non piace è una cosa differente.
Virginia, vai a vederlo. Farai dopo le tue valutazioni, ma frattanto ti immergerai.
Virginia, non mi sparo proprio niente. Ho semplicemente fatto una domanda perché volevo davvero capire. E tu ti sei sentita libera di non rispondere ma di sparare cazzate. Com’è tuo solito.
In the Passion l’autocompiacimento c’è, eccome.
E’ tutto fuorché un film realistico – se avete più o meno presente come è fatto un corpo umano, sapete che al Gesù Cristo di Gibson doveva spezzarsi il collo già entro i primi trenta minuti. Invece Gibson si è inventato (supportato da non so quale tradizione apocrifa) un Cristo-superman che tira avanti anche quando gli hanno spezzato ogni singola vertebra. Il che fa a pugni con un semplicissimo concetto teologico: se sei cattolico credi che Dio si sia fatto uomo e abbia sofferto come un uomo, non come un super-masoch.
Io resto convinto che la rappresentazione della violenza sia funzionale a portare un pubblico da splatter al cinema; il pubblico da splatter si beve il latino o la lingua maya come attributi di autenticità quando sono evidentissime patacche; e poi ci sono intellettuali come Facci (ebbene sì, intellettuali) che fanno ricerche approfondite per stabilire che anche se Gibson ha svirgolato di 4-5 secoli, fa lo stesso perché cosa vuoi che sia, è solo un documentario per adulti. Si prende la superficialità e la si rivende come accuratezza.
Ma quando è merda è merda. Se vi piacciono gli sgozzamenti, non c’è bisogno di fingere pretese intellettuali. Celti e Cartaginesi facevano sacrifici umani, ma nemmeno il più cialtrone dei registi di peplum anni ’50 avrebbe mai osato confonderli. Gibson è un cialtrone di tipo nuovo: mi affascina e mi spaventa.
Sui gusti poi non si discute: ma se vi piace the Passion, perché non provate coi sorci crudi?
“Siamo sicuri che giunsero a sacrificare anche ottantamila prigionieri in soli quattro giorni? Possiamo realmente credere che fossero cannibali? Ma non è la stessa civiltà che a scuola ci descrivevano come avanzata nelle scienze e che aveva elaborato mappe celesti e concetti algebrici complessi? Non era insomma una società evoluta?”
Fra mille anni chi ci sarà, se ci sarà ancora qualcuno, si porrà le stesse meravigliate domande sui Tedeschi nazisti e anche sugli Americani di oggi. Che hanno mandato l’uomo sulla luna già 40 anni fa ma che ancora mandano a morte dei poveri disgraziati, a volte minorati mentali, non di rado innocenti.
Anche la Cina è in predicato di diventare un Paese tanto avanzato nella tecnologia quanto arretrata sul resto.
La civiltà tecnica non c’azzecca con l’idea di civiltà tout court come l’abbiamo noi qui e ora.
Molte volte di un popolo si può dire che è avanti venti anni o duecento nella tecnica e indietro duemila sulla civiltà.
Comunque, come si dice, questo film non l’ho visto e non mi piace.
Lo sento come un pretesto per autoconcedersi la visione della spettacolarizzazione della violenza.
Mi sembra che sia lo stesso principio che muove ad andare a vedere i film di Tinto Brass: a chi manca il coraggio di andare a vedere “Ani ruggenti” o “Analità campagnole” c’è la scappatoia rassicurante del soft core.
Le civiltà del mesoamerica avevano poca carne a disposizione. Questo è un dato di fatto facilmente verificabile: niente mucche, cavalli o animali di grossa taglia… bene che andava avevano i tacchini. Quindi la carenza proteica secondo me è veramente poco discutibile, aritmetica delle calorie alla mano.
E i sacrifici umani c’erano, poco da discutere.
E’ una deduzione logicamente coerente in sè ammettere che i due fattori sono collegati?? Sì. E’ che vuol dire, come dice il famoso cultore Maya citato, che “il sacrificio era una questione culturale”? E’ sempre una questione culturale. Il procacciamento e la distribuzione cibo è una questione culturale, come momento fondamentale della vita collettiva di una comunità, carne umana o meno che sia.
Quindi, alla smentita del cultore ci credo poco. Detta così, almeno. Per coerenza logica e semplicità esplicativa, l’altra teoria funziona meglio.
Come numerosi altri antropologi affermano: “Il sacrificio umano nella cultura mesoamericana era radicato nella cultura redistributiva del cibo durante riti collettivi e dipendeva in larga misura dalla carenza proteica di base delle popolazioni urbane in un ecosistema fragile”.
Pablo, stai scherzando vero?
Non c’è carne mi mangio la nonna?
Ma per favore!!!