Milano è fatta a cerchi se la trovi

Affitto spazi. Doppi quando ne scrivo perché nell’altra metà ci vivo. Stringo le mie parole a caro prezzo in un monosillabo mentre là sotto nomi e pronomi hanno la strada spianata.
Sono quelli nero su bianco dove il resto è grigio. Attraversano altri dentro e altri fuori dalle righe. Li incontro nella Milano da scrivere. Alcolizzati cronici di cronaca. Vanno a capo col Punt e Mes e sono pieni di spirito. Fanno i giri di parole in colonna nel traffico e qualcuno li paga pure.
Poi c’è chi o vivi o scrivi. Raccontano una vita intera con i mezzi termini che costano meno e pesano poco. Sono i poveri di contenuti quelli che vivono a bordo pagina dove nessuno li legge. Si danno via per niente ai lettori di periferia nei quartieri al capolinea della rossa e della verde.
Lì finisce il margine d’interpretazione ma ci vado poco perché ho paura. Di conoscere anch’io la verità per sentito dire. Colpa della tele. Abita anche lei da quelle parti. A leggere troppa tele viene la telepatia. Conosco una bambina che se l’è presa mentre i suoi erano fuori a comprare i dané. La telepatia è bruttissima perché la tele pensa al posto tuo.
Pensare a Milano non è più di moda. La moda invece è sacra. Ha la sua settimana santa. Croce di chi non pecca di un proprio stile. Gli infedeli invece si portano dietro due tre cose da dire così traslocano leggeri da un testo all’altro col loro guardaroba di poche righe.
Stanno nelle soffitte e nelle cantine di palazzi alti molti piani di lettura. Dividono un sottotitolo con certi inquilini anima e corpo venti. Li conosci dalla sintassi. La tengono a tutto volume per sentirsi meglio. Passano l’aspirazione alle due di notte. Mettono in lavatrice parole sporche che poi ti stendono.
Sono i neologismi quei meneghini. Eccone uno eccone. Elidono parole intere anche tre alla volta con una tale sintesi che a chi legge gli viene il mal di testo per le contrazioni. Menefreghisti era più ortodosso ma non c’è più religione.
Viviamo tutti in un luogo comune. È il posto giusto al momento giusto. Quello che non è importante dove vai ma da dove vieni. E chi ti manda. Dì che ti mando io che lei non sa chi sono. Sono quelli che ti rivolgono la parola e la rivogliono subito indietro. Pestano i piedi e masticano la lingua degli altri.
Milano di stranieri è piena. Esteri o foresti. Sbagliano gli accenti. Non è grave se uno è acuto basta che non l’è de Bèrghem. Quelli si mangiano le sillabe.
A Milano il pranzo della domenica è la cena dei cretini. Parenti serpenti sibilano l’un l’altro opinioni divergenti. Passeggiano per digerire concetti triti e ritriti serviti con una manciata di parole grosse. Così difficili da mandar giù e poi il caffè.
Nel giardino dei discordi che si biforcano i discorsi si sprecano e gli amanti si sfiorano. Tra le vocali delle aiuole si dicono le parole dolci. Ma arriva il guardiano del parco detto parcheggiatore. Lo fa di professione e per diletto anche lui scrive. Multe da 35,08 euro.
È il bracciante del Codice Cifrato. Non coltiva l’ortografia. Semina soltanto numeri eppure qualcosa spunta. La matita con cui li appunta e i numeri appunto. Vengono su come lui da giù. In tanti.
A Milano siamo tutti in troppi. Ti dicono le faremo sapere. Il giudizio ha un suo metro. A Milano serve la raccomandazione anche per superare la riga gialla. È la linea della Milano che conta.
Milano 3 Milano 2 Milano 1. Via.

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50 Commenti

  1. Nero, appenderò le tue lusinghe tra copywriter nel mio muretto del pianto, tutto tempestato di layout da intitolare. Dammi una mano ti prego se non facciamo Natale.

  2. Grazie. Lo farò leggere a quelli che si lamentano del traduttore automatico di Google dall’indonesiano.

  3. è incredibile,
    devo aver fatto il giro, all’estremo del fastidio trovo ammirazione, e se prima non ti soffrivo adesso mi piaci.
    il segreto è rinunciare a capirci qualcosa e lasciarsi portare dove vuole lei cioè in nessun luogo e ovunque; difficile per uno che non farebbe mai guidare una donna, anche perchè ha bisogno di una meta e di arrivarci.
    molto femminile, molto bella.

  4. ah ah! scrivi come scrivi e poi fai la nazi-grammar? il suono è lo stesso, dunque…who cares?

  5. Come lettori a volte siamo di un cattivo proprio gratuito. Con le opportune differenze, ché paragonare non è simpatico per nessuno dei paragonati, però se leggo Bergonzoni posso dire di non essere a suo agio in quello stile non certo che sia incapace o deficiente. Così Gaia, questo suo sport estremo tra le parole può classificarla in uno stile che non ci è congeniale, non certo tra l’immondizia dell’incapacità come a volte mi pare di capire da certi commenti. Per una foto avremmo fatto “Ohh” in coro e chiesto se i plugin di Photoshop se li crea da sola. Avessimo noi un decimo della capacità di Gaia, saremmo ricchi. Allora, se proprio difettiamo dei fondamenti dell’educazione (che valgono anche di fronte alla presunzione altrui) di fronte a qualcosa che non capiamo possiamo anche stare in silenzio: non capire potrebbe dipendere da noi. Ma se tra noi qualcuno ha strumenti validi per contestare riscuoterà la gratitudine di tutti esponendoli, tutto sommato la ricchezza dei blogger sta nella partecipazione e nella condivisione. Se vi va.

  6. Amen, Francesco Cataldo.
    Ora però, finito il sermone, ti inviterei a riflettere sul fatto che la prima a trascendere – l’elegante “fottiti” – è stata l’autrice.

  7. evviva i capitani coraggiosi armati di cipiglio.
    a me sembrava che la sigorina sapesse difendersi più che bene, anzi, forse come si difende è la cosa più interessante, più interessante sicuramente dei vostri scodinzolamenti.
    puro caso, sto asoltando “good mornig, captain”, anche se forse nel caso sarebbe più indicato “good night..”

  8. ah, non difendevi.. era tipo un discorso generale che dal teorico ha trovato magistrale esempio pratico nell’autrice del post.. che poi cmq evviva il buonismo, evviva il natale, evviva la “gratitudine di tutti” la “partecipazione” e la “condivisione”.
    mi dispiace solo per gli slint che ho ciccato il titolo della canzone..
    cerco di essere costruttivo: la “ricchezza” nasce dallo scontro, più duro è questo è più avrò imparato, più sarò “ricco”.

  9. Mi è piaciuto leggere questo resoconto della Milano (ormai solo) da sorseggiare. Poi, vedo che, in positivo o negativo, ravana nel midollo degli astanti.
    Buona giornata a tutti. Buonissima se siete a Milano.

  10. Con educazione: quello che Gaia Giordani ha scritto sin qui su Macchianera a me non è piaciuto. Ho strumenti validi per criticare? Se questo all’improvviso è assurto a circolo letterario, no, sono una persona normale che legge. È risaputo che i commenti di MN non siano teneri. Altrove càpita meno, anche perché la percentuale di spocchia degli autori è meno elevata. Poi che spesso gli autori s’indignino per critiche brutali e incivili è solo una mezza verità, secondo me ci si divertono molto.

  11. Barynia, hai ragione: in parte l’autore sbeffeggiato si diverte. Anche perché dai commentatori di MN si aspetta _anche_ questo.
    Barynia, hai torto: tra la manifestazione di scarso gradimento e lo sbeffeggiamento corre una certa differenza. E l’uso della pernacchia non dà una bella immagine di chi la produce.

  12. No.
    E’ una cosa insulsa e contorta che si auto-bea delle connessioni che riesce a stabilire tra parole apparentemente lontane tra loro.
    Ecco. Una critica senza pernacchie.

  13. Esatto! E’ un esercizio di stile. Più precisamente è un’astrusità che si arrotola su se stessa e se ne compiace alquanto. E’ così difficile disinnamorarsi del suono delle proprie parole a caso.

  14. temo che “i cerchi” sia un gioco di parole su “chi cerca trova”, uno dei tanti nel testo giocati sui luoghi comuni.
    comunque arrotolata su se stessa di solito è la carta igenica.. questa è decisamente una pernacchia, vero petu? aah, ho una pessima immagine, pessima..

  15. si arrotola su se stessa: questo “pezzo” non può esser altro che un’opera d’arte, del genere di questa http://tinyurl.com/ykrp7k

    peccato solo che cotanto scritto venga rovinato da stucchevoli commenti di solidarietà tra scrittori vittime del grande pubblico zoticone.

    ci vorrebbe un intervento fisso con cadenza periodica della chioccia selvaggia a difesa degli incompresi stilisti barocchi della scrittura fine a se stessa.

  16. non so se si era capito, ma io apprezzavo.
    non il testo, ma l’atteggiamento, quel fare da bambina incazzata che gioca con le parole.
    “Cicca cicca, frrrr frrrr..” è stata la svolta.
    poi uno scade volentieri, anche perchè gli accondiscendenti non li può soffire.
    gaia mi piaci, ci beviamo un caffè?

  17. gaia, il tuo pezzo accatasta tecnicismi. e basta.
    è senz’anima, non si fa ricordare
    neanche per un gioco di parole tra i tanti.
    è troppo lungo, lascia pesantezza, ripetitività, noia.
    è poco comprensibile. bisogna leggerlo troppe volte, per poi solo intuire che è un lamento di giovane copy nella milano tracimante parolai e scribacchini raccomandati.

    in my not humble opinion.

  18. I pezzi di Gaia possono piacere o non piacere, perchè indubbiamente sono particolari e scritti con obiettivi non comuni a molti blog.E secondo me, è giusto che Gaia si diletti in virtuosismi semantici e sintattici, se è questo che vuole. Così come è giusto che chi vuole criticarli li critichi, portando argomentazioni consone al pezzo. Quello che , ogni volta, mi pare molto inelegante e fuori luogo è la “difesa” che Gaia fa dei suoi scritti. Se sei uno scrittore – reale od aspirante – e decidi di esporti al pubblico, sai che le tue “opere” si dovrebbero “difendere” da sole, senza giustificazioni, ironie o contrattacchi alla baionetta. E’ il valore del pezzo in sè a giustificarne l’esistenza.
    Gli interventi “difensivi” di Gaia – ma anche quelli di Luca Sofri in difesa di “Playlist”, ad esempio – mi sembrano sempre lievemente goffi, compiacenti e – passatemi il termine – autocondiscendenti.
    Detto da uno che scrive malissimo e legge poco, sia ben chiaro.

  19. Mr White, i miei pezzi sono alle prime armi e, con tutta evidenza, non riescono ancora a cavarsela da soli. Se li difendo con i ferri corti è per una questione etica: pratico la paternità intellettuale responsabile.

  20. Io invece penso che tu, Gaia, non riesca a farti capire. Probabilmente anche quando parli fai quest’effetto. Il che naturalmente non è un’eccezione trattandosi di donne.

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