Sapete cosa significa se domani in Iraq scoppia una guerra civile?
Che le cose stanno rapidamente migliorando.*
* Battuta geniale. Peccato non sia mia ma di Kofi Annan. E che, soprattutto, non sia una battuta
Se ci fate caso, dell’Iraq non ne parla più nessuno. Nelle classifiche degli argomenti meno trattati dai media ha risalito diverse posizioni, tanto che tra i giornalisti italiani c’è la viva preoccupazione di vedersi ordinare dai loro direttori un servizio sul Darfur, senza nemmeno avere il tempo di consultare una Lonely Planet.
In realtà l’Iraq non è scomparso dalle carte geografiche (perlomeno non del tutto).
Ieri Robert Gates, nuovo capo del Pentagono nonchè successore designato di Donald Rumsfeld alla Difesa (spero ve lo ricordiate Rumsfeld: il grande teorico della gastroscopia col metodo Innocenti*), ha dichiarato che gli Stati Uniti in Iraq stanno perdendo (dichiarazione che ha gettato nel panico molti tra i bookmaker inglesi), e che è giunto il momento di coinvolgere l’intera regione, in particolare Siria e Iran, nella crisi irachena (apparentemente lo stesso proposito di Rumsfeld: coinvolgere l’intera regione). Le preoccupazioni di Gates sull’Iraq sono talmente tante che in Nicaragua la gente si è convinta di essere in Svizzera.
Sembrerebbe insomma essere alle porte una svolta programmatica non indifferente, suffragata anche dai risultati del rapporto stilato dall’Iraq Study Group, che prevede un ritiro graduale delle truppe americane dal suolo iracheno (non appena verranno ritrovate), e una collaborazione futura con l’esercito del paese.
Lo studio compiuto dall’ISG giunge a conclusioni tutto sommato ottimistiche (se siete stati allevati da una famiglia di scorpioni):
La situazione in Iraq è grave e si sta deteriorando. Non vi è una strada che possa garantire il successo, ma le prospettive possono essere migliorate. […] Se la situazione continua a deteriorarsi, le conseguenze potrebbero essere gravi. La discesa verso il caos potrebbe scatenare il crollo del governo iracheno e una catastrofe umanitaria. Paesi vicini potrebbero intervenire. Gli scontri fra sciiti e sunniti potrebbero espandersi. Al Qaeda potrebbe ottenere una vittoria propagandistica e ampliare la sua base di operazioni. La posizione globale degli Stati Uniti potrebbe sminuirsi. Gli americani potrebbero diventare più divisi.
Insomma, quella che nel gergo in uso sulle portaerei si definisce una “vittoria“.
* Quando Donald Rumsfeld è stato interrogato sull’alimentazione forzata dei detenuti a Guantanamo, una pratica che prevede l’inserimento di tubi larghi come dita direttamente nelle narici e negli stomaci senza l’uso di anestetici o sedativi, causando ai prigionieri indicibili sofferenze oltre che lesioni interne, Rumsfeld ha (sagacemente) replicato, “Non sono un medico”. (Risate, applausi)
Il “ritiro graduale” sarà qualcosa simile al ritiro graduale dal Vietnam? Con i marinai a buttare in mare gli elicotteri per far stare più persone sulle portaerei (e li ti immagini il comandante della portaerei che gira la chiave per accendere i motori, con l’avviamento che va a vuoto, “parti bella su, non mi lasciare proprio adesso, partiiii”).
E’ tutto molto bello.
Son queste le tragiche conseguenze a cui si va incontro quando la politica estera americana e’ affidata a personaggi che sembrano usciti dalla matita di Walt Disney, stupendamente disegnati ma con molta meno intelligenza di Paperino, Ciccio e Nonna Papera.