Johann Strauss fu invitato in America a dirigere il Giubileo delle Nazioni e fu un evento grandioso e magniloquente: il Danubio blu, l’orchestra con migliaia di elementi, i colpi di cannone, gli isterismi hollywoodiani, le donne che pietivano ciocche di capelli e lui che però non aveva abbastanza capelli, e allora spediva riccioli di cane. Riuscì a mettere d’accordo il coro più incredibile della storia, quasi ventimila cantanti.
Fu irripetibile.
Era il 1872.
Strauss era austriaco. E così pure erano austriaci i musicisti Fritz Beda-Lohner ed Hermann Leopoldi: e quando offrirono loro di comporre un’opera destinata a un coro di undicimila persone, alla stregua di com’era capitato a Strauss, non poterono tirarsi indietro.
Entrambi avevano conosciuto il velluto dei teatri, l’odore dei belletti, la violentissima luce dei riflettori. Beda-Lohner, un boemo, era un affermato compositore di testi nonché un conosciuto librettista di operette; Leopoldi invece era nato a Vienna e componeva canzoni alla moda nel periodo in cui impazzavano il foxtrot e l’one-step; i suoi spartiti erano stati pubblicati nei fascicoli di musica viennesi e berlinesi e americani, e una delle sue operette contiene una melodia notissima ancor oggi: “Tu che m’hai preso il cuor / sarai per me il solo amor”.
Non poterono tirarsi indietro anche perché li avrebbero fucilati. In quell’inverno del 1938 tutti i lager avevano ormai un proprio inno, una loro canzone: e a Buchenwald invece niente.
Il capo, il cosiddetto lagerfuhrer, certo Rodl, uno sempre alticcio, era imbarazzato e furibondo: che i prigionieri si dessero da fare. Per la preannunciata Canzone di Buchenwald furono messi in palio dieci marchi.
Al comando piovvero decine di opere improvvisate, tutte via via respinte. Sinchè non spuntò il Buchenwalder Lagerlied appunto di Beda-Lohner e Leopoldi, e scelsero quello: ma tutto il merito se lo prese infine un cosiddetto kapò, un triangolo verde, uno di quei criminali comuni che facevano la guardia agli altri detenuti. Si chiamava Fritz Gruebau, come appurerà il processo di Norimberga: si prese i dieci marchi. Nessuno osò smentirlo.
Tutti dovevano studiare la canzone, sicchè passò un po’ di tempo. Poi, un giorno, dopo l’appello serale, con una temperatura freddissima e la neve abbondante, Rodl ordinò: “E adesso cantate la Canzone di Buchenwald”.
Quelle undicimila persone tutte in piedi, Rodl ubriaco fradicio, e un inferno nell’inferno in cui ciascuno cantava per conto suo: fu uno strazio. Il lagerfuhrer ordinò che i vari blocchi di prigionieri si esercitassero separatamente per poi ricongiungersi, ma il frastuono si fece ancor più sfasato e intanto le ore passavano, e il freddo aumentava.
Alla fine Rodl volle dirigere tutti personalmente, strofa per strofa, e a ogni errore si ripeteva tutto da capo.
La canzone diceva: “ Buchenwald / non potrò mai dimenticarti / sei il mio destino / solo chi può lasciarti / può sapere / quanto meravigliosa sia la libertà”.
Intanto i violentissimi riflettori delle sale da ballo berlinesi glorificavano Johann Strauss, anche se giusto due anni prima, nel 1936, nella Cattedrale di Santo Stefano, avevano trovato un vecchio certificato da cui si arguiva l’incontestabile origine ebraica di tutti gli Strauss. La Gestapo convocò i topi d’archivio e vietò loro di render noto il documento: il registro dei certificati fu confiscato e interamente copiato, dunque restituito alla Cattedrale privo della pagina riguardante Strauss. L’errore fu corretto, e l’originale saltò fuori solo alla fine della guerra. E si continuò a ballare.
E a Buchenwald, quella sera, a marciare.
Dopo quattro ore nel gelo più rigido, Rodl impartì che tutti rientrassero nelle baracche, e in genere si rientrava a passo di strada: ma quella volta tutti vennero allineati in file da dieci e obbligati a marciare come in una parata, cantando e sfilando al cospetto dei vari comandanti ubriachi. I gruppi che non cantavano bene venivano obbligati a tornare indietro e quindi a ripassare davanti ai gerarchi.
La neve era alta e brillava. La luce dei riflettori era violentissima.
A Buchenwald c’erano i forni crematori, alcune sale di dissezione, più altri scantinati con dei ganci fissati nei muri: i prigionieri venivano appesi e torturati a morte. Hermann Leopoldi sopravvisse, e dopo la guerra riprese l’attività teatrale.
Fritz Beda-Lohner morì di fame.
(Il Giornale, mia rubrica, quattro o cinque anni fa).
Permettimi f.f.
sono convinto che davanti a certe cose ci sia sempre modo di tirarsi indietro.
Forse non c’è abbastanza fegato per farlo, ma il modo per tirarsi indietro c’è.
In ogni caso, per quale motivo Fritz Beda-Lohner morì di fame ?
Nel lager.
Bleek, non ho parole.
Tu che da dietro il tuo computerino, al calduccio miserabile del 21mo secolo italiano nel quale (grazie a chi sappiamo) i lager sono solo un argomento di conversazione impegnata, che ti permetti di GIUDICARE gente che ha vissuto sulla propria pelle quell’inferno.
Tu, che levi il tuo ditino indolenzito dall scrivere il tuo ultimo inutile post per dire che no, non si fa, che a 20 gradi sottozero, denutriti umiliati picchiati e torturati e con l’incubo di finire attaccato ad uno di quesi ganci o in uno di quei forni, no, tu certamente ti saresti tirato indietro, e da questo pulpito di cartone che ti sei costruito puoi permetterti di giudicare quello che altri, che vissero veramente quell’inferno, fecero o non fecero.
Vergognati, e taci.
@Franchman
Ehmm forse non hai capito: i due erano prigionieri nel lager e il lagerfuhrer ordino’ che tutti componessero un inno.
Il post di Filippo riporta la storia, io non ci leggo nessun giudizio ne positivo ne negativo su i due compositori, anche perche’ in quelle condizioni la loro volonta’ contava molto meno di niente.
Nella frase “… e quando offrirono loro di comporre un’opera destinata a un coro di undicimila persone, alla stregua di com’era capitato a Strauss, non poterono tirarsi indietro.” la parola -offrirono- e’ molto ironica mentre le parole -non poterono tirarsi indietro- sono maledettamente serie.
Una parola per sintetizzare: AGGHIACCIANTE.
per non dimenticare, ogni tanto dovremmo rileggere pagine di storia. e poi tacere.
Non penso che i due compositori abbiano composto quel brano per paura di essere fucilati.E neppure per i 10 marchi, che all’interno del campo di concentramento gli sarebbero serviti a poco a niente.
La cosa piu sconvolgente dei campi di sterminio nazisti non erano le torture e le continue privazioni…Non erano i numerosi sopprusi che dovevano subire….la cosa peggiore di un campo di concentramento era il perdere la coscienza di se, il diventare un fantasma in mezzo ad alti fantasmi tutti uguali…quando entravi in un campo ti privavano dei tuoi vestiti, dei tuoi ricordi.veniva privati persino dell’aspetto… tutti rapati a zero e ugualmente smunti…Ti toglievano addirittura il nome e lo sostituivano con un numero, come se si trattasse di una macchina…Il rischio era di diventare la dentro Burattini di carne…
Ora a sti due compositori, a cui era stato tolto praticamente tutto, anche se stessi, viene proposto di scrivere una canzone, una canzone per un coro…. quello che avevano sempre fatto nella loro precedente vita. E questa non e forse un occasione irripetibile per ritrovare, anche solo per un momento, il se stessi che era rimasto chiuso al di fuori del cancello del campo…In quel momento creativo non erano piu soltanto numeri in mezzo ad altri numeri, ma erano tornati ad essere Fritz ed Hermann… e questo vale di piu di 10 marchi…..
Grazie per avercelo ricordato, Filippo.
A volte la memoria è davvero troppo corta e ignorante…
Bleek, perdona: credo che chi non abbia mai esperito personalmente (per sua fortuna) la sopravvivenza in un lager, non disponga degli strumenti per valutarne correttamente la portata. Allora si varcò un limite di disumanità così atrocemente incommensurabile da far perdere il senso e il valore che noi attribuiamo comunemente alle cose.
Parla con un sopravvissuto, visita un campo e lo capirai perfettamente anche tu. Io l’ho fatto e non auguro a nessuno l’angoscia che ho provato nel farlo.
Leggiti “Il flagello della svastica” di Lord Russell (ora l’ha ristampato Newton Compton), “I volenterosi carnefici di Hitler” di Goldhagen e “Se questo e un uomo” di Levi. Capirai come come persino al + coraggioso fra gli internati NON fosse possibile, oggettivamente, “tirarsi indietro”, come tu un po’ingenuamente sostieni. E come fosse molto, molto + facile di quanto non immagini trasformare persone di una banale normalità in zelanti, sadici aguzzini.
E quanto fosse difficile, poi, per i sopravvissuti, dare un significato coerente alla propria sofferenza, pena la perdita della ragione o la depressione (Levi non vi riuscì mai più…)
Non si poteva, semplicemente. E fu quella la disumanità + grande: far credere alle vittime di essere meno d’un numero, vinti in partenza, schiacciati da un meccanismo di umiliazione e annichilimento il cui solo fine era annientarli. E ribadire loro la colpa di essere vivi, dannosi a quel sistema che li odiava e li voleva eliminare. La giustezza di quell’annientamento al quale essi stessi dovevano diligentemente collaborare, pena terribili punizioni, morendo comunque di stenti poco a poco.
In un campo ci si scannava, vendeva, si faceva i delatori mandando a morte i compagni per una sola crosta di pane. E solo i + forti e determinati a sopravvivere ci riuscirono, spesso perdendo quel minimo di umanità che per noi fa da cesura fra uomo e bestia.
NON era una questione di fegato, orgoglio o dignità, ma di mera sopravvivenza. Quella che ti preme quando hai 500 calorie al giorno disponibili in pieno inverno (broda, erbe di campo, pane di crusca e trucioli, margarina una volta la settimana) una tuta di cotone come abbigliamento, gli zoccoli, 20 ore di lavori forzati e di corvée da eseguire alla prefezione ogni santo giorno. Mentre sei senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di -20° e tifo, difterite, dissenteria ti tolgono anche quel minimo residuo di dignità e di forza.
Sfido chiunque a non suonare cose indecenti pur di vivere, se ciò garantiva loro un po’ di zuppa in più al giorno. Tu non l’avresti fatto, forse?
La storia che narra Filippo è simile a quella di Fania Fenelon, che nel suo libro (dal quale fu tratto anche unn film struggente con Vanessa Redgrave, alcuni anni or sono) “C’era un’orchestra ad Auschwitz”, descrive la sua detenzione nel campo dal gennaio 1944 al maggio 45.
(Mi pare che pure Arthur Miller scrisse un dramma dallo stesso titolo, correggimi se sbaglio).
Fania era un membro dell’unica orchestra femminile di tutti i campi di concentramento del Reich, diretta – nientemeno – da Alma Rosè, eccellente violinista ebrea e nipote del grande Gustav Mahler.
Le due donne vissero l’esperienza del lager e del essere musiciste in modo diametralmente opposto:
per Fania, suonare fu il mezzo principe che le consentì di sopravvivere, aggrappandosi unghie e denti alla sua musica. E quindi, di ricordare
per poi rendere noto al mondo quanto vide e visse.
Come Primo Levi, riuscì a conservare anche in condizioni estreme la propria umanità.
Per Alma, invece, la musica invece rappresenta il fondamento della propria identità, un obiettivo da perseguire ad ogni costo: ad Auschwitz le viene affidata la direzione dell’orchestra femminile e da allora null’altro le importerà più, se non fare bene il proprio lavoro e realizzare musiche sublimi. Il che la porterà ad estreme conseguenze e scelte draconiane. In questo, non troppo dissimile dai kapò del campo…
(Dateci un’occhiata, merita. Anche il film non è male…)
un caro saluto a tutti
Scusate, nella foga ho scordato un apostrofo: leggete “dell’essere musiciste” e NON “del”… groan!!!:o((((
su questo blog http://boicottaiisraele.ilcannocchiale.it/ FOTO ESCLUSIVE
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BERLUSCONI TROVA L’ACCORDO INIMMAGINABILE –
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Cyrgon, sei tu che non hai capito.
Io rispondo al signor BLEEK, quello del primo post. Quello che dice che secondo lui ci si può sempre tirare indietro e che quindi si permette di giudicare i due compositori, internati in quell’inferno.
Ma immagino che abbia le idee molto confuse su ciò che doveva essere un lager, visto che non riesce a capire che quando Facci scrive che Beda-Lohner muore di fame, non riesce nemmeno a fare il collegamento e capire che il compositore non esce vivo dal campo.
A me il post del Facci è molto piaciuto.
ciao Filippo Facci.
giusto stanotte pensavo ai tuoi articoli su Strauss e in genere sulla musica classica (guarda tu le coincidenze) – quello in cui ad un certo punto scrivi mi pare “il pianoforte di Beethoven. ti fermi. ci ripensi. il pianoforte di Beethoven.” Si. certo. quattro o cinque anni fa non sono poi così tanti ma tantissimi perchè in giro non si trovi niente. e la ricerca sul motore di macchianera quando non scade è comunque scadente. senti. non voglio farti un pompino di ordine pubblico ma privatamente non saprei come contattarti e avrei bisogno di quegli articoli perchè mi fanno fare colpo in giro quando ne parlo con le donne – anche quando non dico che è roba tua. è possibile?
No.
ma mandaglielo st’articolo, tanto a te non costa nulla se l’avevi già pubblicato su macchianera,
e avrai fatto contento qualcuno,
e poi ti senti contento anche tu
:D
meno male che c’è in giro gente come il tozzini che ci fa fare 4 risate e allenta la tensione
No nel senso che è impossibile mi facciano fare colpo sulle donne? giuro ha sbalordito pure me. oppure no perchè le motivazioni addotte sono bieche?
oppure no perchè non ho chiesto per favore? è possibile per favore? [al che possibilmente risponderai “oppure perchè no è no.” e io la smetterò qui e continuerò a pensarti di notte. eccetera eccetera].
per gli altri: ma che cazzo volete?
saluti,
a.
Tozzini ma come le fai le ricerche? Spero per te, peggio di come fai sesso.
Google, il pezzo di frase che avevi citato tu -“il pianoforte di Beethoven”- e il nome dell’autore, shakera un po’ e voilà:
http://www.macchianera.net/2005/12/23/gli_strauss.html
e come unico risultato se usi le virgolette.
Auguri
ma che ore sono a tokyo ?
Oh Tozzini
1) Aho. Ma io scrivo roba per altri che poi coi miei pezzo seducano donne senza neanche citarmi? Aho.
2) E poi si può sapere di che articoli parli? Me ho scritti tanti. Quello del pianoforte di Beethoven peraltro è in rete.
3) E poi a chi cazzo dovrei spedirlo? A che indirizzo?
“e io la smetterò qui e continuerò a pensarti di notte.”
di fronte alla minaccia di essere pensati dal tozzini la notte io spedirei, anche a casaccio, ma spedirei..
gimondi, grazie avevo bisogno di contatto umano.
1. di solito la menziono sempre Sig. Facci, però mi venne il dubbio, d’un tratto, che il potere seduttivo di ciò che cito dipendesse direttamente da lei in qualità di autore. così la omisi nel sedurre, ottenendo comunque lo stesso risultato. è pur sempre un complimento a ciò che scrive, mi pare.
2. della maggior parte. e certo che è in rete ma speravo – avendo notato la sua presenza addirittura su wikipedia – che esistesse un qualche repository o roba del genere – qualcosa di comodo come ilgiornale.it ma più esteso nel tempo.
3. mi scuso. speravo che l’indirizzo email non fosse solo un obbligo morale richiesto per evitare interventi alla OVE(marchio registrato addirittura!). in ogni modo a.tozzini@oltrelinux.com
senta lasci pure stare. mi piace come scrive di musica perchè suono. e quando scrive di altro è significativamente molto più interessante. e questo ripaga in pieno la sua incapacità di trattare coi fan…
Tozzini, secondo me Facci è riluttante nel mandarle i suoi articoli in parte perché già lo ha detto lui:
“Ma io scrivo roba per altri che poi coi miei pezzo seducano donne senza neanche citarmi?”
Mancando di citarlo lei lo priverebbe dell’adorazione anche indiretta delle donne. In parte perché è da anni che Facci seduce sempre nella stessa maniera: con il suo libro sulla musica e altri piccoli trucchetti tutti sempre noiosamente uguali, ma assolutamente efficaci: le donne a volte sono creature molto semplici e prevedibili.
Le pare dunque che possa correre il rischio di rivelare il suo repertorio a chicchessia?
Non sia ingenuo, via!
Ho fatto un post su un racconto vero e molto serio, non prendetevela con me se poi i commenti vanno in vacca.
Giusto.
C’erano montagne di argomenti da discutere e invece si parla del Tozzini, dell’imbrocco guidato e delle ricerche su google.
Proprio vero che sui blog se non “provochi” non esce niente di buono.
E per una volta che il buon facci non provoca ma fa cronaca, le risposte (con qualche eccezione) sono più che mosce e disinteressate.
FF, hai tutta la mia solidarietà per quel che può valere.
è l’istinto dell’uomo che gli fa distogliere lo sguardo dalle cose spiacevoli. e mi pare di aver spiegato che il mio era un “alleggerimento”.
per il resto quoto tale francesca:
“per non dimenticare, ogni tanto dovremmo rileggere pagine di storia. e poi tacere.”
chissà che musica era. rassicurante bugiarda, malinconica crudele. chissà che musica puoi scrivere in quelle condizioni, senza traccia di futuro, se non vuoi umiliare ulteriormente te stesso e altri undicimila disgraziati come te.
Frenchman, ha gia’ risposto cyrgon per me nel post dopo al tuo.
So’ perfettamente di cosa parlo, so’ perfettamente cosa hanno visto e patito gli internati, so’ perfettamente quali sono le ferite che si portano dietro gli scampati.
Io davvero non avevo colto il motivo per cui Fritz Beda-Lohner morì di fame, e solo x questo motivo ho fatto la domanda.
Il dramma della shoa è una delle cose che nonostante la mia giovane eta’ piu’ mi hanno colpito e segnato, è una cosa su cui sono molto informato e per cui provo una tristezza di sottofondo incancellabile, per motivi miei e per motivi personali di persone che conosco.
Se vuoi aprire una discussione sulla cosa, ben lieto di farlo, ma senza finire in bagarre e non sul post di f.f.
Nel caso contrario, i tuoi commenti azzardati, infilateli nel culo.
Fatti un giro al Museo dell’Autorità per il ricordo delle vittime e degli eroi della Shoah di Gerusalemme se vuoi capire di cosa parlo.
La mia non è mancanza di comprensione nei confronti di chi, trovandosi in condizioni disumane, si vide costretto a fare determinate scelte.
La mia è un obiezione tesa al ricordo delle vittime, neanche poche, che si rifiutarono e pagarono con la vita.
“e poi tacere.”, bleek, “e poi tacere.”…
@ove e gli altri.
Penso di evere espresso il mio punto di vista con il precedente commento.
Ho alrtresi’ chiarito che il mio primo commento è stato male interpretato, e probabilmente scritto con troppa fretta e pochi dettagli.
Se la risposta continua ad essere ” e poi tacere”,vedi OVE, in questo caso ascoltero’ il consiglio.
Primo, perchè non voglio scannarmi su un argomento cosi’ delicato.
Secondo, perchè non vedo il motivo di rispondere a chi si firma con nick non rintracciabili.
Dietro al mio nick c’è una faccia, un nome ed un cognome.
bah, volvevo solo aiutarti, i tuoi “so’ perfettamente” da ragazzino mi sembravano stridenti e ridicoli.
per quanto riguarda il resto, anche dietro il mio nick c’è una faccia, un nome ed un cognome solo che, come io non provo interesse per la tua di faccia o nome o cognome, penso che anche agli altri non interesserà o non dovrebbe interessare. accontentati delle idee.
Bleek:
non vedo perché dovrei rendermi rintracciabile, tramite indirizzi mail (immediatamente spammabili, e poi per che fare? scrivermi in privato? non possiamo farlo qui?), blog (non ne ho) o nomi e cognomi (che non usi neanche tu, neanche sul tuo blog a quanto ho visto in 2 minuti di visita).
Su MN sono da sempre Frenchman, e tanto ti basti. Inoltre io rispondo di tutto quello che ti ho scritto, e lo ribadisco. Sei tu che devi vergognarti per
1) il tuo rispondermi con insulti (“Nel caso contrario, i tuoi commenti azzardati, infilateli nel culo”)
2) il tuo primo commento, con il quale ti permetti di giudicare i due musicisti nelle circostanze spaventose in cui si trovavano.
Ti cito: “sono convinto che davanti a certe cose ci sia SEMPRE modo di tirarsi indietro.Forse non c’è abbastanza FEGATO per farlo, ma il modo per tirarsi indietro c’è.”
Hai mancato di rispetto a quei due uomini, hai sotterraneamente suggerito che i due non avessero il fegato (o le palle) per tirarsi indietro. Se tu fossi un sopravvissuto alla Shoah, se tu avessi vissuto sulla tua pelle le circostanze che ti permetti di giudicare, forse (e dico ancora forse) potresti permetterti un tale giudizio.
Mi spiace, ma l’esserti fatto qualche museo e aver letto qualche libro o parlato con qualche sopravvissuto non si avvicina neanche lontanamente a questo. Triste, ma significativo, che tu lo pensi, come mostra il tuo intervento successivo.
In un altro dei tuoi interventi scomposti dici che Cyrgon ha già risposto. A cosa, visto che ha completamente mancato il bersaglio e pensava che ce l’avessi con Facci e non con te?
Per un po’ ho sinceramente sperato che avessi avuto lo stile e il coraggio di riconoscere lo sbaglio, e quindi di tacere.
Hai perso un’eccellente occasione per farlo.
Frenchman,
1- se rileggi i miei interventi ti renderai conto che ho riconosciuto lo sbaglio “Ho alrtresi’ chiarito che il mio primo commento è stato male interpretato, e probabilmente scritto con troppa fretta e pochi dettagli.” e ancora “La mia non è mancanza di comprensione nei confronti di chi, trovandosi in condizioni disumane, si vide costretto a fare determinate scelte”
2- sul mio blog sul profilo c’è sia nome che cognome .
3- Prima di attaccarti al mio commento come una iena, potevi almeno chiedere delucidazioni, te le avrei date, mi sarei risparmiato l’insulto e probabilmente saremmo arrivati alla conclusione che le nostre posizioni non sono cosi’ distanti.
4- Cito da mail arrivatami dopo la lettura di questo post “Ci sono libri interi su chi “non ha accettato di suonare” ed è stato
ucciso, e ci sono giudizi sofferti della comunità ebraica sui prigionieri
che, per esempio, lavoravano nei forni. Posto che i colpevoli restano e
sempre resteranno i nazisti, però; quindi io avrei pietà di tutte le
vittime, che si siano comportate bene o male.”
Questa frase riassume in pieno il mio pensiero.
E qui’ chiudo con questo post.
Volevo solo dire che “I volenterosi carnefici di Hitler” di Goldhagen, suggerito da anvedichejedi, è un libro pessimo, pericoloso e pieno di stronzate.
Facci,
se hai tempo mi interessa se argomenti il tuo giudizio sul libro di Goldhagen. A me e’ piaciuto anche se mi ha disturbato.
Non sono in grado di commentare sull’evidenza storica ma il libro mi pare ben strutturato. Lui si oppone all’argomento che, alla fine, dato che tutti rispondevano a degli ordini, nessuno era colpevole. DG invece mostra, tanto per fare un esempio, che, durante lo sterminio, alcuni (non pochi) tedeschi si innamoravano e facevano una vita normale senza soffrire i dilemmi morali di uno che, obbedendo ad un ordine, ammazza degli innocenti.
Insomma, i nazisti avevano del consenso non banale nella societa’, anche sui lati per noi piu’ scandalosi del loro programma. Anche la “coscienza critica” (?!!) Grass alla fine ha confessato.
Anche a me piace l’idea che certe cose possano essere compiute solo da squilibrati, che gli squilibrati siano l’eccezione e che un governo democratico sia in grado di allontanare gli squilibrati. Ma il fatto che mi piaccia un’idea non la rende percio’ vera.
c’è stata un’unicità del nazismo speculare a quella della Shoah, un nichilismo neopagano scientificamente ordito da pochi e celato tuttavia al popolo tedesco nella sua smisuratezza demoniaca, quel «nazismo magico» sovente rimosso, o liquidato come pazzia, che è cosa diversa dall’antisemitismo variamente diffuso non solo in Germania.
Supporre che i tedeschi fossero in toto consapevoli e responsabili del purismo nazista significa farne un popolo intrinsecamente cattivo e non invece, come si dovrebbe, limitarsi a giudicare storicamente la sua connivenza talvolta volenterosa col Regime. Il Papa ha parlato di «un gruppo di criminali che usò e abusò di un popolo» e però le reazioni le abbiamo viste: ha taciuto le colpe dei tedeschi, hanno detto. Ma i popoli sono frasche al vento della Storia, e non comprenderlo rischia di farci tornare agli anni Cinquanta, quando l’antiebraismo di Lutero veniva ricollegato all’antisemitismo di Hitler in un percorso più o meno lineare verso Auschwitz, il rischio insomma è quello di riavvicinarci alle tesi veementi appunto di Daniel Goldhagen, lo studioso americano che non parlava di fatti compiuti da «uomini comuni» ma da «tedeschi comuni»: col rischio, ulteriore e finale, di ricadere nel medesimo schema nazionalsocialista di opporre a un popolo eletto un popolo abietto. Il peggiore dei pericoli. L’antisemitismo visto di spalle.
Grazie della risposta che trovo interessante. Pero’ non sono molto d’accordo su come interpreti le tesi di Goldhagen, anche se non ho molti dubbi circa il fatto che ad alcuni (non a te, ai suoi sostenitori) abbia fatto comodo presentarle cosi’.
Lungi da me fare dei tedeschi un popolo abietto. Pero’ credo che su questo Goldhagen concordi, lo ha scritto anche nella prefazione all’edizione tedesca, se non ricordo male. Se parla dell’antisemitismo di Lutero e Kant (sic!) e’ per far vedere che le cose non vengono dal nulla e che, in Germania, questi temi, ad un certo punto, per un qualche motivo, sono diventati centrali nell’ideologia politica.
Il punto non e’ stare li’ a puntare il dito contro i tedeschi di oggi o anche contro i tedeschi di ieri, magari usando la Shoah a fini politici come a volte succede. Come ho detto, non mi sembra questo il fine dell’autore anche se magari pecco di ingenuita’ su questo punto. Tra l’altro la maggior parte dei popoli ha la sua buona fetta di abiezioni (la schiavitu’ in USA, le colonie giapponesi in Cina, i gulag in Russia etc.)
Il punto e’: i tedeschi comuni, o meglio, come dici te, degli uomini comuni, compirono quello che hanno compiuto piu’ o meno volontariamente? O erano tutti minacciati e, come si suol dire, “non potevano fare altrimenti”?
Tanto illuminismo si basa sul fatto che alla fine dell’opinione pubblica ci si puo’ fidare. Che le aberrazioni nella storia le compiono pochi cattivi e interessati. Goldhagen ha tutta quella introduzione sul relativismo antropologico in cui schizza la sua visione dell’uomo.
Ecco, io mi sento in qualche modo illuminista e non mi piacciono gli antropologi: percio’ Goldhagen mi ha colpito. Per come lo lessi io, credo che questo fosse il suo messaggio: non raccontiamoci balle che ci fanno comodo su quello che e’ successo. Piuttosto riconosciamo che l’uomo, e non i tedeschi in quanto tali, e’ capace anche di questo.
Saluti.
Per me Goldhagen è solo un pazzo fanatico.