È deviante e criminale uno che ha ancora la voglia, e quanta, d’aspettare il giorno in cui sarà possibile leggere su La Repubblica (o sul Corriere della Sera, fa lo stesso) articoli come quello che segue (incorniciato), tratto dallo straordinario blog di Gennaro?
Di più: qui non si crede che i giornali siano meglio dei blog, o che i blog siano meglio dei giornali: cretinate. Cionondimento: quanti quotidiani, oggi, sanno raccontare quella “patria incerta” che è l’America Latina?
Per dire: si moltiplichi il numero delle testate (crescente) per un indice che esprima la ricchezza e la varietà delle idee, quelle di fondo, quelle cruciali, e non le quotidiane puttanate su cui si gioca a dividersi: un’operazione a risultato zero.
Mica si aspetta il Messia sulla Terra, mica si chiede al Giornale di essere ciò che non è, mica si chiede un atteggiamento ribelle ad ogni quotidiano in edicola: capisco che scrivere su Cuba, sul Venezuela, sulla Bolivia, da L’Avana, Caracas, e La Paz – e non già da Washington, Washington, Washington – è troppo, un azzardo, un atto di insubordinazione, uno spunto etico anacronistico.
Leggo un articolo sull’America Latina, che può essere la traduzione di Álvaro Vargas Llosa o il risultato intellettuale di uno dei “nostri” da New York, e ritrovo la brillante lungimiranza dei “cremlinologi” rimasti a bocca aperta il 9 novembre 1989, per poi dichiararsi convinti che di lì a poco la Revolución cubana sarebbe finita.
Questi non se ne accorgono, ma i cremlinologi erano avanguardisti: per i nuovi (le retroguardie), a forza di giocare con il folklore, di raccontare Chávez e la vittoria della Sinistra latinoamericana rimanendo nella superficie degli slogan, sarà un brutto colpo scoprire che l’emergente Democrazia latinoamericana non è in nulla inferiore alle implose democrazie d’Europa e Stati Uniti d’America (questa sì folkloristica, circo sponsorizzato).
di Gennaro Carotenuto Il dodicesimo trionfo elettorale di Chávez, il più chiaro e monitorato di tutti, ma soprattutto il discorso politico con il quale gli ha conteso la presidenza Manuel Rosales, un Achille Lauro venezuelano, testimoniano che l’agenda politico-economica latinomericana è definitivamente cambiata e che nessuno può più vincere elezioni proponendo liberismo economico. CARACAS – Bisogna vederlo il popolo venezuelano festeggiare. Nel metro di Caracas un anziano sulla settantina, in testa un improbabile cappellino con il volto del Che, che copre una pelata color carbone, stringe il braccio di sua moglie. Gli occhi le brillano di felicità. Tiene a bada una nipotina minuscola, 3-4 anni, anche lei in camiciola rossa, rojo-rojita come direbbe il Presidente. Festeggiano Chávez, il loro Presidente. Vanno verso un cerro, un ranchito, una favela. Questi anni bolivariani hanno dato loro salute, educazione, ma soprattutto una cosa che gli esclusi di questo paese non avevano mai avuto prima: partecipazione, il sentirsi parte di un progetto di paese, la speranza di non essere più esclusi. Non è più il calvinista sogno americano dell’individualismo neoliberale, è l’essere parte di un progetto di paese solidale. In America Latina, nel giro di sette giorni, per due volte i candidati delle destre, Noboa in Ecuador e Rosales in Venezuela, appoggiati dagli Stati Uniti, dal neocolonialismo spagnolo del Grupo Prisa e dal sistema mediatico mondiale, si sono fermati alla metà dei voti dei loro avversari di sinistra, Chávez e Correa. È un disastro matematico. Tra dittature militari e neoliberismo in mezzo secolo le società latinoamericane hanno raddoppiato il numero di esclusi. Questi sono passati da un terzo a due terzi e oggi non credono più alla retorica del neoliberismo fallito. Nessuno sano di mente crede più alla balla, ancora oggi ripetuta da eminenti cattedratici nel nord del mondo, per la quale chiudere scuole e ospedali e ridurre le tasse ai ricchi sia la miglior maniera di aiutare i poveri. Ancora ieri il Fondo Monetario Internazionale ordinava di chiudere scuole e mense infantili. I governanti eseguivano; più impresa e meno stato, più precarietà e meno servizi pubblici, più privatizzazioni e più poveri. Chi non ricorda autocrati come Alberto Fujimori, Carlos Ménem, Carlos Andrés Pérez? Tutti furono eletti con voti di sinistra –Pérez fu perfino vicepresidente dell’Internazionale Socialista (sic!)- ma tutti, in politica economica e non solo, non si distinguevano da Augusto Pinochet, che l’inferno non gli sia lieve. CAMBIO NEL LINGUAGGIO POLITICO Il ventennio neoliberale, per il quale il genocidio delle dittature fu necessario e propedeutico, è finito. Ed è finito il 3 dicembre 2006 con Manuel Rosales. Se infatti fino allora la parte sinistra di sistemi politici bipolari, per vincere si vedeva obbligata a parlare ed operare come la destra, da oggi è quest’ultima a parlare (operare chissà) cercando di imitare un discorso politico di sinistra. Manuel Rosales, il candidato delle destre sconfitto in maniera durissima da Hugo Chávez ne è un perfetto esempio. E’ un golpista dell’11 d’aprile 2002, uno che si fece fotografare con l’effimero dittatore Carmona nel palazzo di Miraflores. Ma il suo discorso è stato depurato da qualunque parola d’ordine della destra economica. Gli spin doctors mandati dagli Stati Uniti lo hanno trasformato in un socialdemocratico, uno statalista impresentabile per la buona società che si riunisce a Davos. Gli editoriali dei quotidiani di destra, dall’Universal al Nacional, sono pieni di affermazioni paradossalmente pietose: “è insopportabile che in Venezuela ci sia un terzo di popolazione in estrema povertà”. Peccato che lo scoprano solo adesso e soprattutto dimentichino che prima di Chávez in povertà estrema vivevano due terzi dei venezuelani. Oggi sono dimezzati e sono protagonisti della democrazia partecipativa che è nella Costituzione del paese. Anche se Rosales si presenta come un moderno socialdemocratico che prende i voti della destra golpista, la differenza tra Chávez e Rosales resta abissale. Mentre dal basso il movimento bolivariano usa lo stato, e soprattutto l’impresa pubblica petrolifera PDVSA, per generare diritti, inclusione e sviluppo, il programma di Rosales prometteva di usare lo stato per creare un clientelismo che ricorda da vicino quello della destra monarchica di Achille Lauro, che regalava ai sottoproletari napoletani la scarpa destra prima delle elezioni, con la promessa che la scarpa sinistra sarebbe stata consegnata ad elezione avvenuta. Il punto centrale del programma sociale di Rosales, “Mi negra” – già il nome è indiscutibilmente razzista – ha distribuito in piena campagna elettorale 2.5 milioni di carte di credito – la scarpa destra – a cittadini poveri. La carta di credito sarebbe stata attivata – scarpa sinistra – ad elezione di Rosales avvenuta. Questa avrebbe concesso ai poveri l’inalienabile diritto umano a diventare clienti di banche private, e avrebbe girato direttamente nelle loro tasche i soldi che sarebbero serviti per pagare i servizi privatizzati che oggi con Chávez ricevono gratuitamente. Ci vuole molto cinismo per accusare Chávez di assistenzialismo per aver dato impulso alla costruzione, da zero o quasi, di sistemi sanitari e scolastici pubblici. Ma bisogna essere in malafede per non accorgersi del gioco sporco e del trasferimento di risorse pubbliche dai poveri –che sarebbero stati comprati con l’inflattiva illusione di ricevere contante- all’impresa privata dietro iniziative come “Mi negra”. Il cambio di discorso di Rosales, che non è stato creduto ed è stato polverizzato elettoralmente da Chávez, testimonia una svolta epocale. Chávez, i molti Chávez dell’America Latina, quelli già al governo e quelli che ancora mancano all’appello, a partire dal Messico, non sono una meteora. E il discorso neoliberale non compra più nessuno. (di Gennaro Carotenuto) |
E’ dura pensare che questi possano essere avanti a noi anni luce. Ma ci vuole veramente la miseria nera per accorgersi che il liberismo selvaggio lascia solo molti morti e macerie sotto i piedi di quelli che si arrichiscono spaventosamente ?
Credono davvero che i miliardi di poveri e di esclusi dalla vita nel modo prima o poi non trovino chi darà loro voce? Nel caso di Chavez, e Lula non dimentichiamolo, questa gente si è fatta sentire in modo pacifico, in altri posti in modo più esplosivo. Lo so è retorica ma il terzo e quarto mondo danno segni di movimento e non sempre chiedono il permesso al FMI.
Di sicuro questi uomini (forse davvero di sinistra) rappresentano una speranza per tutta quella gente che vive nell’indigenza più assoluta. Però dire che queste democrazie superino di gran lunga quelle implose di Europa e U.S.A. mi sembra un’affermazione ancora prematura. Basti vedere le condizioni dei carceri venezueliani per rendersene conto (da un servizio delle iene). Comunque bel pezzo.
Dopo 8 anni di governo “chavista” tutti gli indicatori mostrano un peggioramento della situazione sociale ed economica delle classi bassa e media (quest’ultima in via di stinzione), una ulteriore concentrazione della ricchezza nelle mani del settore tradizionalmente ricco e la nascita di una nuova classe economica e politicamente potente: i militari e politici che fanno grossi affari all’ombra di Chavez. Al popolo pane (le “misiones”) e circo (il discorso antimperialista).
Bravo Diego che hai parlato di queste cose, e soprattutto di come i nostri mezzi di comunicazione stiano ignorando quello che succede in America Latina.
Più che Chavez, che trovo un po’ “border line”, a me ha dato molto piacere la vittoria di Correa (che non gestiva da presidente in carica le consultazioni e che partiva nettamente sfavorito). La scorsa settimana ho letto il suo blog, il suo programma, ho guardato le sue interviste. Allego gli indirizzi per gli interessati:
http://www.rafaelcorrea.com/
http://rafaelcorreatv.blogspot.com/
Mah, la mia opinione è positiva: Correa mi piace e spero enormemente abbia davvero intenzione di mantenere le sue promesse, con tutte le difficoltà che dovrà fronteggiare (giusto per dirne una, la prima riunione del suo consiglio di futuri ministri l’ha dovuta tenere in un albergo).
Lasciatemi essere ottimista guardando questi eventi. Certo non è molto consolante che per trovare una bella notizia di politica bisogna guardare agli eventi dell’Ecuador.
Quando il prezzo del petrolio si abbasserà, vedremo cosa fara il populista Chavez.