La sorellanza, chi se la ricordava più? Pensa che io non li ho manco vissuti, gli anni del femminismo “laico”. Li vivo adesso, mentre si cerca di fare venire alla luce questo femminismo islamico che altrove è una realtà e in Italia era una chimera, fino a pochissimo tempo fa.
E mentre dentro e fuori dai blog si discute di Islam e femminismo, eccola qui, la sorellanza messa in pratica.
Quella che segue è una lettera presa integralmente dal blog di una signora che, sull’argomento, non ha nulla da imparare: Dacia Valent.
E l’obiettivo è quello di ogni femminismo, islamico o laico che sia: aiutare gli uomini ad essere migliori. Siamo certe che ce la possano fare.
“Caro Grand Frère:
diciamo che questa lettera te la dovevo scrivere un po’ di tempo fa. Ma, lenta ed inesorabile, ci arrivo anche io alle cose brutte della vita.
Mi sono accorta che non riesco più a parlare con te. Non che non ci sentiamo quotidianamente, come una volta, non che gli argomenti manchino e nemmeno le emergenze sono meno di prima.
No.
Non riesco davvero più a parlare con te.
Mi piacerebbe pensare che ti sei trasformato. Ma ho la tragica, precisa, impressione che tu sia sempre stato così.
Penso all’amicizia. Io ne ho un concetto elevatissimo. Per gli amici si muore, a volte si vorrebbe addirittura uccidere.
Certo, più ci penso e più mi accorgo che vivo in un mondo tutto mio, dove le persone contano veramente e non fai del male a nessuna, meno che mai a quelle a cui tieni.
Tu, invece, sei cattivo.
Lo so, detta così sembra una cosa da bambini, ma non mi viene un’altra parola in grado di spiegare quanto male tu riesca a fare, consapevole e gaudente del dolore che causi.
Penso ad una delle madri dei tuoi figli, scelta da bambina e presa da grande, che dopo aver tentato di vivere la sua vita di ragazzina sposata ad un vecchio, privata della giovinezza, è oggi costretta al velo – e perché no? anche al bacio dei piedi – perché a lei la poliginia non sta bene, e perché – dopo averti dato figli e anni – se non ti avesse soddisfatto, rinunciando alla sua indipendenza, simboleggiata da quei boccoli scuri sulle spalle accarezzati da dita di vento, avrebbe perso ciò che più assomigliava ad un padre, qui in Italia, e cioè suo marito.
Penso alla sorella che ti ama da lontano, in silenzio, troppo brutta – dici tu – per poter solo pensare di averti come vorrebbe, lei e le sue labbra che ti aspettano vergini.
Penso anche a me, che in te ho creduto e che ti ho amato ed ammirato come solo io so fare con le persone che amo e ammiro.
Ma penso soprattutto alla mia amica. E ancora non avevo capito. Immagina, la storia del povero marito incompreso, costretto a divorziare, aveva incantato anche me.
Hai costretto una donna potentemente libera ad un matrimonio che a lei non serviva, solo per mettere a posto la tua coscienza di maschio allupato. L’apoteosi dell’ipocrisia, nevvero? Ma poi, quando era il momento di comportarsi da marito – in quei modi che non prevedono l’eiaculazione – sei scomparso nel nulla dell’indifferenza.
Penso a te, caro amico. Penso a te e alla profonda solitudine che prova uno che racconta ogni cosa di se – e di chi gli è vicino o nemico -, alle persone alle quali sta per fare tanto ma tanto male. E dalle quali si aspetta, sorprendentemente, una lealtà che è incapace di accordare a chiunque.
Rifletto anche sulla tua incapacità di pensare a noi donne come soggetti reali, portatrici di cambiamento: o siamo facili da copulare, o brutte per copularci, o ci comportiamo così perché non copuliamo a sufficienza. Una vita vissuta intorno al pene è, caro fratello, una vita del pene.
Penso a te e alla tua totale mancanza di responsabilità, che non si ferma di fronte a nulla, nemmeno alla potenziale dissipazione del patrimonio che una rispettata organizzazione ha accumulato in anni di duro e sofferto lavoro.
E tutto questo perché? Perché pensi sul serio di essere “il sogno erotico di ogni donna musulmana in Italia”. Cioè, ma ti sei visto????
Non so le altre, ma a questa donna qui, che ti scrive, gli uomini piacciono come il caffè: neri, forti e senza zucchero. Io ti volevo bene, semplicemente perché avevo di te un’opinione forse immeritata, ma dalla quale ho avuto parecchia difficoltà a discostarmi. Almeno fino ad adesso.
Hai ammesso di aver fatto del male alle donne della tua vita. Almeno alle tue mogli. Lasciamo stare la sorella che per te sospira senza sapere che tu di lei ridi crudelmente.
E allora fai quello che è giusto, senza raccontarci né raccontarti storie.
Io soffro, fratello mio.
Sono stata io a mettervi in contatto, sono stata io ad assistere impotente all’accelerazione stupida che hai voluto imprimere a questa relazione utile solo a giustificare – bigottamente – la tua lussuria, perché quella donna forte – che io amo e che tu hai insistito nello sposare -, il suo amore l’avrebbe vissuto con gioia, senza provare né la vergogna di una presunta colpa né il bisogno di quelle povere giustificazioni costituite dalle carte bollate fornite da sedicenti ministri di Dio, che nella città che fu di Giulietta e Romeo, il veleno lo spacciano consapevolmente, sapendo benissimo di fare del male, dal basso del loro pulpito simil-islamico.
Sono stata io a far soffrire lei, tua moglie e te.
Così come sono stata io a chiederti – inascoltata – di starle vicino durante i tre mesi della Idda, e sempre io a creare il gruppo di “testimoni” che avrebbero dovuto assistervi nella risoluzione economica – così come prevista dalla religione che tu hai abbracciato con quasi tutto te stesso – del contratto di matrimonio da te così pervicacemente voluto, e ancora io a chiedere la mediazione di una persona con la quale lavori da anni, e che avrebbe garantito giustizia, ma che per te, evidentemente, non era – né è – degna di fiducia.
Nessuno ti chiede di fare qualcosa che sia contrario a ciò in cui credi, e che sbandieri con così tanta sicumera ed orgoglio. Anzi. Ti si chiede di comportarti come Dio e il Profeta hanno stabilito che gli uomini decenti si comportino con le donne. Gli uomini decenti, appunto.
Oddio, potresti sostenere che tutto si riduce ad una specie di TFR. Non è così. Si tratta di ciò che tu hai voluto. Il matrimonio – come tu lo intendi – ha dei vantaggi, certo, ma comporta anche degli obblighi. Nella stessa maniera in cui lo imponi all’oggetto del tuo desiderio, sei tenuto ad assumere – in toto ed in solido – gli obblighi che la Sunna ti impone.
Ho tentato, con tutte le mie forze, di tenere questa storia spiacevole all’interno della comunità. Perché una comunità matura questo fa, le sue beghe le risolve – quando possibile – al suo interno, con giustizia e discrezione.
A tutto questo hai detto di no. Sembra quasi che tu sia deciso a tirare la corda per vedere fino a dove puoi spingerti, incurante di quanti e quali danni tu possa causare a tutti per un capriccio da ragazzino mal cresciuto, di uomo mai diventato tale e di musulmano noncurante.
Sei disposto a trascinare tutti noi nel divorzio del secolo, quello che ci travolgerà tutti, solo per la tua arroganza e stupidità.
Chiedi atti di fede e di responsabilità, quando quello che tu offri è un semplice simulacro formale di ciò che le musulmane e i musulmani dovrebbero garantirsi gli uni alle altre, inclusi i loro partner di altre religioni. Amore, assistenza, rispetto.
Invece tu hai trasportato nel tuo Islam di facciata i peggiori stereotipi del macho sfigato di periferia. Ti manca solo di masticare uno stuzzicadenti e ficcarti un calzino nelle mutande, per aumentare le dimensioni del pacco, e saresti il perfetto bullo di borgata.
Chiedi a tutti noi, tutti i giorni in cui predichi, di essere responsabili, mentre tu continui a vivere un Islam fatto di forma e, calpestandone le donne – le tue mogli, le tue figlie, le tue sorelle -, ne calpesti la sostanza.
Caro fratello, fai male a cercarti una seconda moglie. Ho la certezza che a te serva piuttosto una seconda madre. Ma di quelle che ti dia tutte le pedate che avrebbe dovuto darti la prima.
Dal bambino refrattario alla buona educazione, all’uomo che non ha capito un membro virile della vita, se non la banale vita del proprio membro virile, il passo è breve. Un po’ come quello che esiste – diceva Napoleone Bonaparte – tra il sublime e il ridicolo.
Fai la cosa giusta. Fallo“.
Dacia Valent
è meraviglioso: una tipa che scrive post sconclusionati ci propina un’altra tipa che scrive post sconclusionati.
nella fattispecie quest’ultimo, che dovrebbe “aiutare gli uomini ad essere migliori”, si conclude e sostanzia, nell’ultimo capoverso, in questo modo:
“Dal bambino refrattario alla buona educazione, all’uomo che non ha capito un membro virile della vita il passo è breve…Fai la cosa giusta. Fallo”.
anch’io sarò breve: sig. neri, esiste un meccanismo popolare per revocare l’assegnazione delle password?
Una lettera magnifica, peraltro inserita nel contesto di una storia (chi si è perso le “origini” e post a seguire, consiglio di visitare il blog di Lia) che parte dal personale e che si fa politico, che parla di diritti delle donne e di Islam, “dall’interno” dell’Islam.
A puntato, non mi sembra assolutamente la peggior cosa che mi sia capitata di leggere qui o altrove.
Per quanto riguarda il meccanismo di revoca popolare, disprezzerei il Neri se lo attuasse.
Per quanto riguarda la firma A. , quando infili commenti su tipe sconclusionate che propinano post sconclusionati, abbi almeno la decenza di firmarti in modo almeno vagamente riconoscibile e rintracciabile.
Meglio ancora, astieniti da commenti che odorano di spazzatura, sembrano spazzatura e in effetti… spazzatura sono.
Ed invece a. non è del tutto in torto: se ad uno non piace quelli che scrivono qui e quello che scrivono, che possibilità gli restano ?
Accidenti, mi scervello per pensare ad una soluzione ma mi viene in mente quella vecchia storia del telecomando e del cambiare canale che non c’entra niente…
Personalmente condivido le parole di mauro: di più, l’evidenza del ruolo ‘attivo’ della donna che si sta dando in questi scritti ha certamente qualcosa di sorprendente (spero di dirlo senza sembrare affetto da pregiudizi), sicuramente di educativo…
ehilà bleek, mi dispiace che tu abbia dovuto penare per riconoscermi e rintracciarmi,
probabilmente sarai stato costretto a vedere cos’era scritto in basso a destra nel commento, subito dopo “inviato da:”
eh, lo so, son fatiche
dispiace anche che tu abbia considerato spazzatura il mio commento,
dispiace perché significa che trovi profonda e condividibile la conclusione della valent
A. potresti spiegare cosa non trovi di condivisibile nella conclusione di Dacia Valent? E poi, perchè solo la conclusione? Il resto ti va bene? Non sarà che ti sta sulle balle Dacia Valent e anche se ricopiasse il vangelo ci troversti qualcosa di sconclusionato, poco profondo e non condivisibile? Z.
se non la banale vita del proprio membro virilese sì certo.
dunque, come ho già detto, l’autrice del post ci propone questa lettera della sig.ra valent, ritenendola scritta in funzione di “aiutare gli uomini ad essere migliori”.
quest’aiuto, questo sforzo pedagogico, si sostanzia però nell’invito finale che trascrivo nuovamente per una più agevole comprensione:
“Dal bambino refrattario alla buona educazione, all’uomo che non ha capito un membro virile (N.D.R.: cazzo) della vita, se non la banale vita del proprio membro virile (N.D.R.: cazzo),il passo è breve…Fai la cosa giusta. Fallo”.
dici che ha senso, Z? dici che aiuta gli uomini ad essere migliori? dici che ‘sta cosa è al livello del blog italiano con la maggiore capacità di penetrazione?
A., io non lo so. Ho letto la lettera e mi sembra abbastanza incisiva per far si che chi abbia orecchie da intendere intenda. A me il paradosso barocco non dispiace come espediente letterario e mi sembra che la frase che tu riporti ne sia un perfetto esempio. Non so se possa aiutare gli uomini a essere migliori, so che da donna mi son sentita molto in sintonia con quello che ho letto. Dipenderà dalla differente sensiblità e dalle differenti prirità, ma così è, se ti pare. Parlare di maggiore penetrazione, quando il post si chiude con “FALLO” mi è sembrato delizioso. Z.
@A.
Alle mie pene ci penso io.
Il fatto che io abbia considerato spazzatura il tuo commento non è direttamente riconducibile al fatto che io approvi le conclusioni a cui arriva la Valent, tuttavia esistono modi piu’ civili per esprimere il proprio dissenso che non invocare l’intervento di Neri.
Questo non è un blog democratico, alcuni , scelti dal Gianluca, hanno diritto di postare, altri no.
Se non ti piace quello che trovi scritto,o sei comunque in disaccordo, prova a controbattere in maniera piu’ civile, quantomeno in principio.
Oltremodo, non è assolutamente carino scrivere un post e ritrovarsi in apertura un commento simile, specie se (almeno per quello che posso sapere io) in forma anonima.
Mentre condivido appieno i commenti positivi su questo post, ho un paio di perplessita’ sul fenomeno che citano ad un diverso livello:
1) sono forse ignorante, ma i post sono scritti in Italiano da due italiane. Musulmane quanto si vuole, ma due italiane che vivono in Italia (non so se Lia viva ancora in Egitto, non credo), svolgono attivita’ politica e no in Italia, e godono di tutti i diritti (diretti ed indiretti) loro spettanti in quanto italiane. Non leggo l’arabo ma non mi pare siano traduzioni di post scritti in arabo, che mi diano un’idea reale dell’apertura del mondo islamico su queste tematiche. Non avevo bisogno di questi post per capire quanto le donne italiane siano auto-coscienti dei loro diritti e pronte ad armarsi e partire lancia in resta per i propri diritti. A me sta bene cosi’, ma non mi meraviglia.
2) Abbiamo sempre e solo sentito una parte solo della faccenda. Non voglio fare il guidice Santi-Licheri qui a Macchianera, ma visto che voi ci state coinvolgendo, permettetemi di farmi un’idea completa della vicenda, che sempra particolarmente complessa, in cui interagiscono figure del costume legale islamico in un contesto legalemnte ‘altro’, in cui probabilmente l’altro avra’ altresi’ cose interessantissime da citare. Perche’ non ci proponete qualcosa scritta da lui o gli chiedete di venire qui a spiegare le sue posizioni?
Ma mi pare che “lui”, come lo definisci tu, abbia sempre fatto sentire la sua voce. Lo stesso Corano è nato da una voce maschile.
Caro Cannonball:
ti dirò, esiste un’ampia ricerca, un’ancora più ampia letteratura ed un gigantesco impegno in tutto il mondo in proposito del femminismo islamico. Tanto per dirne una, qualche giorno fa si è concluso a Barcellona il secondo congresso europeo delle femministe musulmane.
L’arabo può essere la lingua dal Corano, ma le musulmane parlano tutte le lingue del mondo, e le nostre rivendicazioni attengono più la sfera sociale/politica scaturita da un’interpretazione patriarcale e totalitaria della religione che la religione stessa.
Per una suffragista dell’800 il femminismo era strettamente correlato al conseguimento del diritto di voto e di rappresentanza politica, così come per le femministe marxiste degli anni 70 era connesso alla lotta di classe. Il nostro essere femministe, e femministe musulmane, è solidamente strutturato al fatto che noi non riteniamo che la nostra fede religiosa sia incompatibile con la rivendicazione delle pari opportunità e della pari dignità. Queste rivendicazioni vengono elaborate da ciascuna delle donne nei propri ambiti e nelle proprie nazioni, a partire dal loro vissuto, personale e collettivo.
A dire il vero, le femministe musulmane in Italia sono una minoranza, potremmo definirla – in termini “antichi” – un’avanguardia, e il confronto al quale ci siamo decise parte proprio da prassi che sono lontane da noi anni luce.
Tra le varie cose che si ricordano di Kim Il Sung, sono in pochi a menzionare il concetto di Juche. In questo caso lo faccio io: ogni femminismo si attaglia alla teorizzazione del conflitto dato in una determinata società ed alle prassi che le donne adottano per indurre il cambiamento.
In soldini, se fossi una femminista musulmana in Indonesia, le mie priorità potrebbero non coincidere con al femminista musulmana dell’Australia, perché i contesti economico, sociale, politico e culturale sono radicalmente diversi.
Il femminismo non si limita ad un “combattimento corpo su corpo” tra donne e uomini, al fine di limitare il potere dell’uno e aumentare il potere dell’altra. Il discorso è molto più complesso.
Il femminismo islamico è, anche, una battaglia contro il fondamentalismo, che ha origine nella stessa errata interpretazione e contestualizzazione del Corano e della Sunna. Ma non è solo questo.
Si tratta anche di cambiare radicalmente la percezione che le donne hanno di se all’interno non solo della società primaria (la famiglia musulmana), ma anche all’interno della società in generale.
E siccome molte donne musulmane non sono nel loro paese d’origine, ma per via delle migrazioni economiche si ritrovano in altre latitudini, questa battaglia si interseca anche con quella per i diritti civili. E potrei continuare così ad infinitum.
E comunque, ti sorprenderebbe sapere quante donne italiane, di tutte e nessuna religione, siano completamente a digiuno di concetti come autocoscienza e selfconfidence. Se così non fosse, i giornali scriverebbero – estasiati – lunghi articoli per presentare i “ministri azzurri”, 3 o quattro su un esecutivo a maggioranza femminile.
Quanto invece all’assenza della versione dell’ex-musulmarito di Lia, ti assicuro che sa leggere, scrivere (e fare di conto), ti assicuro anche che non è legato o in situazione di privazione sensoriale. Legge, ma suppongo che preferisca non rispondere. Anche perché non è che ci sia molto da dire, se non: “Ehm, mi dispiace e prometto di non farlo più. O quanto meno di non farmi beccare.”.
Baci, Dacia Valent
p.s.: Azz… che pippone, sorry. D.V.